
La reazione da queste parti è invece stata 'e allora?' oppure 'ma che ti stupisci: non sai che le cose funzionano così?'. Persino il ceto dei professionisti, degli intellettuali, degli imprenditori, in breve quella borghesia che in Campania si è sempre vista come la parte nobile, appare incapace di protestare. Possibile che persino loro abbiano barattato il loro voto e il loro silenzio per una manciata di soldi come la plebe famelica e feroce dalla quale da sempre si sentono tanto diversi ed estranei?
No, evidentemente non è così. E allora perché non esigono, una volta per tutte, di essere rappresentati da persone limpide e capaci, perché non chiedono di poter partecipare al mercato e allo sviluppo della loro terra in condizioni non irrimediabilmente compromesse dall'interferenza criminale che non produce altro che marcescenza e stallo?
A Caserta come a Napoli, ci si sarebbe aspettati un vento di tempesta che gonfiasse onde di sdegno. Invece nulla: una grande bonaccia delle Antille, micidiale perché stringe tutto in un'immobilità letale, rassegnata, asfissiante. Anime morte prima ancora che corpi. Avvocati, professori, ingegneri, medici, architetti, industriali, che hanno convissuto con la marea di rifiuti per mesi, rinunciando ai loro diritti minimi di cittadini dell'Europa, non provano un senso di nausea alle notizie sul ruolo di un uomo di governo nella desertificazione tossica di un territorio. La classe politica che loro hanno espresso invece volta lo sguardo altrove e tira a campare, delegando la gestione della regione a una pattuglia di personaggi sempre più invischiati nelle indagini della magistratura per ogni genere di reato, inclusi i patti con i camorristi d'ogni clan. Nessuno reagisce a nulla, nemmeno davanti agli imprenditori uccisi a catena, ai negozianti ogni settimana abbattuti per avere peccato contro la legge dei casalesi. Nessuno chiede un riscatto a Caserta, a Napoli e nemmeno a Roma.
Siamo gli uomini vuoti
Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l'un l'altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando noi
Insieme mormoriamo
Sono quiete e senza senso
Come vento nell'erba rinsecchita
O come zampe di topo sopra vetri infranti
Nella nostra arida cantina
Figura senza forma, ombra senza colore,
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
Coloro che han traghettato
Con occhi diritti, all'altro regno della morte
Ci ricordano - se pure lo fanno - non come anime
Perdute e violente, ma solo
Come gli uomini vuoti. Gli uomini impagliati.
Dicevano i rapper di Marianella che qui non poteva accadere nulla di simile alle sommosse delle banlieue francesi, perché qui ad avvolgere e controllare tutti quanti ci pensa il Sistema: in basso la manovalanza criminale cui paga gli stipendi, in alto quelli che stanno vicino a chi fa le leggi e ne ricevono qualche tornaconto. E in mezzo, rassegnati o conniventi, quasi tutti gli altri.
Invece i neri di Castel Volturno li hanno smentiti. Anzi no: li hanno smentiti e hanno insieme confermato il senso di quella loro analisi scandita a ritmo di rap. Perché solo chi non aveva quasi nulla da perdere, soltanto chi ricopre l'ultimissimo gradino della catena di soprusi e sfruttamento ha saputo esprimere un moto di ribellione a questo sistema fondato sulla violenza. Soltanto quelle persone che magari non hanno il permesso di soggiorno, e come le vittime dell'agguato, lavorano in nero nei campi e nei cantieri, hanno saputo gridare 'basta', protestando la loro estraneità e la loro innocenza. E mi è venuto da pensare che, visti coi loro occhi, forse dovevamo apparire davvero tutti uguali, tutti parte dello stesso Sistema che li sfrutta e che li opprime e che arriva persino a massacrare indiscriminatamente le loro vite.
Questo è accaduto in questi giorni. Ed è anche accaduto che mentre gli altri giornali e mezzi di informazioni ne parlavano poco o pochissimo, diversi colleghi di questo giornale siano stati perquisiti per la seconda volta in una settimana. Perquisiti due volte in otto giorni per aver scritto gli articoli sulla collusione fra politici, imprenditori tra politica e camorra. Per aver violato il segreto istruttorio, secondo la magistratura. La stessa motivazione che ha determinato azioni analoghe nei confronti di Fiorenza Sarzanini del 'Corriere della Sera' e di Guido Ruotolo de 'La Stampa'. Entrambi rei di aver pubblicato pezzi che riguardavano le mani della 'ndrangheta sui lavori dell'Expo 2015 a Milano e sui legami tra gli emissari delle cosche e i politici sari delle cosche e i politici lombardi.
Qui non solo è in gioco l'astratto principio della libertà di stampa, principio che deve misurarsi con l'esigenza di segretezza delle indagini. Qui è in gioco il diritto di capire in che paese viviamo e chi ne determina l'aspetto e le sorti, da Nord a Sud. Perché è inutile sperare che qualcosa muti, che qualcuno alzi la voce, se si cerca di imporre il silenzio a chi ha il dovere di parlare e informare. La lotta contro il marcio che trascina l'Italia sempre più in basso, sarà destinata a non approdare a nulla, se non si potrà continuare a rivelarne i nomi, i luoghi, i ruoli e le responsabilità.
Le procure vogliono lavorare indisturbate, le procure si trovano anche loro sotto una pressione politica costante che concerne il loro operato. I pubblici ministeri avrebbero tutto l'interesse a far sapere all'opinione pubblica quel che fanno, far sapere che stanno lavorando ovunque e lavorando bene, che vanno avanti nonostante organici sempre più deboli e forze dell'ordine che faticano a trovare la benzina per le auto. Avrebbero l'interesse a denunciare la gravità di quello su cui indagano e di quello su cui non riescono a indagare, perché non ci sono uomini, non ci sono mezzi, non ci sono computer e ogni ora in più passata dagli agenti a dare la caccia a un latitante diventa puro volontariato perché lo Stato non pagherà mai lo straordinario di chi rischia la vita per servirlo e garantire giustizia.
Dovrebbero denunciare l'assurdità di un governo che aspetta otto morti per ordinare la mobilitazione nel territorio dei casalesi, come se le morti di Michele Orsi, Umberto Bidognetti, Raffaele Granata e le altre sei vittime cadute sotto la pioggia di proiettili della vendetta casalese dal 2 maggio in poi fossero state insignificanti. Un governo che si preoccupa di sottolineare la stretta contro gli immigrati clandestini come se la rivolta di Castel Volturno fosse l'origine del problema e non l'effetto della volontà terroristica dei killer, come se il problema fossero le braccia che lavorano e non quelle che impugnano il kalashnikov. Quei ministri che accusano la magistratura di mandare i mafiosi agli arresti domiciliari, nel rispetto del garantismo processuale che ispira la loro visione della giustizia, e poi negano a carabinieri e polizia le risorse minime per potere vigilare sui quei potenziali assassini perennemente in attesa di giudizio grazie alla foresta di norme che stravolgono ogni efficacia dei processi.
2008 by Roberto Saviano
published by arrangement with Roberto Santachiara
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