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Economia
luglio, 2008

Tremonti social club

Fa il Robin Hood in tivù. Ma da quando è tornato ministro dell'Economia ha favorito gli autonomi benestanti, le società finanziarie, i notai e pure i petrolieri. Con tanti saluti alla class action

Per Giulio Tremonti la classe non è acqua. È appartenenza. E per capire a quale classe appartenga il più britannico dei nostri ministri non è necessario andare a vedere la sua milionaria dichiarazione dei redditi. Basta analizzare con un minimo di sistematicità i decreti, la manovra e il Dpef sfornati con encomiabile attivismo in questi due primi mesi di governo. Così, mentre il reggente dell'Economia ama sempre più atteggiarsi a prosciugatore degli speculatori, siano essi banche o petrolieri, si scopre che quello che toglie loro con un mestolino nella mano destra, lo restituisce poi con la damigiana nella mano sinistra. Si propaganda novello Robin Hood che elargisce spiccioli ai vecchietti con le nuove carte annonarie, ma poi l'economista cresciuto a pane ed Aspen non resiste alla tentazione di gratificare per legge i grandi concessionari autostradali privati. Gli piace sbandierarsi ex allievo socialista di Rino Formica quando promette sgravi fiscali per il lavoro dipendente, ma poi da consumato fiscalista non resiste a eliminare tutte le misure anti-evasione che spaventano il popolo delle partite Iva o le norme antiriciclaggio che danno fastidio all'alta finanza internazionale.

Avrà anche una qualche doppiezza togliattiana, il 'Giulietto da Sondrio', ma al centrosinistra può insegnare almeno una virtù politica fondamentale, al di là delle boutade mediatiche: lui non dimentica mai da dove ha preso i voti. Insomma, può errare su qualche cifra (l'inflazione, ad esempio), ma non è un cavaliere errante.

Alla sua quarta esperienza ai vertici di via XX Settembre, il professore ha capito perfettamente che sui giornali italiani pagano molto le incursioni dotte su Marx, Gramsci e Gandhi ('Quell'Opa del ministro sui miti della sinistra', titolava il 'Corriere della Sera' il 10 luglio), buone a stupire i benpensanti e a parlar d'altro, mentre i sarcasmi che lo avevano avvicinato in simpatia a Massimo D'Alema sono sempre più un ricordo del passato. Come quando ostentava la scatola di pelati Cirio sulla scrivania, strizzando l'occhio alle tante vittime dei maxicrack finanziari made in Italy. Liberatosi di Antonio Fazio, fatta pace con Cesare Geronzi e Giovanni Bazoli, Tremonti torna al governo e con il collega Scajola tira subito una bella riga sull'introduzione della class action. Con tanti saluti alle vittime dei bond farlocchi.

Tanti saluti anche a quelli che in campagna elettorale non arrivavano alla terza settimana. Con l'inflazione programmata dal ministro in persona all'1,7 per cento nel prossimo triennio, il recupero del potere d'acquisto di salari e pensioni è sistemato. Poco importa che i dati dell'inflazione di giugno parlino di carovita al 3,8 (fonte Istat, quindi abbastanza reale). Quando sono in ballo milioni di contatti di lavoro da rinnovare e i buoni rapporti con la Confindustria di Emma Marcegaglia, il richiamo del blocco sociale di riferimento è più forte di ogni realismo economico.

Con gli altrettanto abili e flamboyant Brunetta e Sacconi, come lui ex compagni di garofano, Tremonti ama sfidare il sindacato sul terreno del riformismo. Poi continua il vecchio giochino di strizzare l'occhio a Cisl e Uil per isolare la Cgil e spaccare di fatto l'odiata Triplice. Sgrida giustamente le Regioni con la sanità in rosso e minaccia tagli ai trasferimenti da Roma, chiede alle Asl di ridurre i posti letto e i medici ospedalieri, poi manda avanti i suoi uomini a trattare sull'eliminazione dei ticket sulla diagnostica. Caso strano, quello di radiografie e affini è il settore dove ci sono i ricarichi più scandalosi (un po' come le pizze per i ristoratori) e dove le cliniche private ingrassano a spese del contribuente.

Ma è sulle tasse che Tremonti non perde mai la sua bussola sociale. Ha tolto subito l'elenco clienti-fornitori inventato dall'odiato Visco e che permetteva alla Guardia di finanza controlli incrociati. Tanti saluti anche alla tracciabilità dei pagamenti sopra i 5 mila euro (il tetto viene elevato a 12.500 euro per la gioia di chi ricicla) e addio anche all'obbligo di segnare il codice fiscale sugli assegni liberi. Nessuno qui avrà mai il coraggio di ringraziarlo pubblicamente, però quantomeno le banche e le finanziarie si troveranno la vita un po' semplificata. Via anche la tracciabilità dei pagamenti ai professionisti che tanto impensieriva chi ha il braccino corto al momento di dichiarare i veri redditi da lavoro autonomo. Dover tenere due conti correnti separati per ricevere i bonifici dei clienti non piaceva a nessuno, anche se è ovvio che i professionisti che non fatturavano prima non avrebbero fatturato comunque. Via anche l'obbligo di far passare la cessione delle quote di srl dalle forche caudine dei notai, come chiedevano da tempo i commercialisti (gli unici che hanno ringraziato pubblicamente Tremonti per la norma).

Poi c'è il capitolo degli scherzetti agli enti locali. In campagna elettorale Pdl e Lega pestavano sull'emergenza sicurezza. Ora l'emergenza sicurezza si limita ai Rom e Tremonti taglia di netto le risorse alle forze di polizia. Protestano soprattutto i poliziotti, fino a ieri presidiati politicamente da Alleanza nazionale, e il ministro concede una mezza marcia indietro. Ma a spese dei sindaci. Tanto erano loro a protestare di più sulla criminalità nei mesi scorsi, no? Prima delle elezioni Berlusconi annunciava meravigliosi piani-casa, ora passa Mago Giulietto e con un articoletto di legge sistema tutto: gli enti locali vendano in prelazione le case popolari agli inquilini, ma non più a prezzi di mercato, bensì a prezzi basati sui canoni. Un vero bolscevico, si direbbe, ma ovviamente con i soldi degli altri. I Comuni s'incavolano ancora? Ma a loro penserà il federalismo fiscale prossimo venturo che, come il taglio delle tasse promesso in primavera, adesso non si può fare perché non ci sono i soldi, ma poi più avanti si farà. Appena smette la crisi internazionale, che come dice la parola stessa non sarà mica ascrivibile all'alchimista di Sondrio.

Lo spirito di classe aleggia anche sui tagli al funzionamento dei tribunali. Mentre agli italiani viene fatto credere che il primo problema della nazione siano le toghe rosse che intercettano mezzo mondo, il bilancio delle spese vive della Giustizia viene sforbiciato di un altro 22 per cento. I risparmi colpiranno in gran parte la già lentissima giustizia civile, l'unica con cui hanno a che fare veramente gli italiani visto che non siamo ancora 60 milioni di delinquenti. E i grandi gruppi privati? E gl'investitori esteri spaventati dalle nostre cause civili? Per loro ci sono gli arbitrati e le soluzioni extragiudiziali: costano un po' tanto, ma loro se li possono permettere. E poi le maxiparcelle ai professionisti del ramo si scaricano dal conto economico.

Poi, certo, c'è la strombazzatissima Robin Tax dal gettito atteso di 2 miliardi di euro. Ammesso che banchieri e petrolieri non riescano a trasferirla sui clienti finali, come ha calcolato uno studio di Silvia Giannini e Maia Cecilia Guerra, economisti indipendenti del sito Lavoce.info, solo un decimo dell'introito previsto andrà al Fondo di solidarietà per i meno abbienti. In compenso, alla faccia delle tante promesse sull'abolizione del Cip6, il micidiale congegno che da tre lustri preleva soldi dalle bollette della luce e li rigira ai grandi gruppi per produrre energie rinnovabili o 'assimilabili' (il trucco ovviamente sta nel concetto di assimilabile), ecco che la sua nuova proroga è un vero regalone da 3 miliardi e mezzo di euro l'anno. In prima fila, dietro alla Edison, figurano i petrolieri di Saras (famiglia Moratti) e di Erg (famiglia Garrone). Forse le famose battute di Tremonti su Moratti che per colpa sua dovrà ridurre lo stipendio al nuovo allenatore interista erano, appunto, semplici battute.

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