Al napoletano Fabio Borrelli è sempre piaciuto volare alto: stilista ufficiale del principe Emanuele Filiberto, ha saputo trasformare la bottega di famiglia in un marchio internazionale, conquistando con gli abiti e le camicie dalla tipica arricciatura partenopea persino via della Spiga, il cuore della moda milanese.
Ma l'erede della griffe Luigi Borrelli è da metà giugno agli arresti domiciliari, travolto da un'inchiesta salernitana per una maxitruffa milionaria ai danni dello Stato.
Negli anni '90 Fabio Borrelli assume il timone della ditta ed inizia ad attingere al campionario degli incentivi.
Una pesca culminata nel 2001 con il 'Contratto di programma', un'intesa tra lo Stato e un consorzio di tredici aziende, la maggior parte delle quali riconducibili allo stesso Borrelli. L'investimento approvato dal ministero dell'Industria dell'allora governo Amato è di circa ottanta milioni di euro, cinquanta dei quali a carico dei contribuenti, con l'impegno per le aziende di assumere 762 lavoratori.
Ma qualcosa non quadra: in un progetto praticamente identico presentato dal consorzio poco prima, la richiesta economica a fronte di mille assunzioni previste era addirittura inferiore. Incongruenze che qualcuno al ministero nota, sottolineandole in un appunto saltato fuori durante una perquisizione e riconducibile a un direttore generale. Due giorni dopo, tuttavia, quelle perplessità spariscono e il finanziamento viene approvato.
A gestire tutte le pratiche burocratiche è un noto professionista partenopeo, G. , finito anche lui agli arresti domiciliari con accuse che vanno dall'associazione a delinquere alla truffa. G. è un consulente di primo ordine, a lungo presidente dei commercialisti di Napoli. Secondo le indagini della Guardia di finanza di Salerno, le menti sarebbero proprio lui e Borrelli.
Fatture truccate, delibere di pagamento false, finanziamenti e incentivi incassati due volte: il tutto grazie ad un intreccio contabile orchestrato ad arte. Un'emorragia di risorse che non crea nemmeno i posti di lavoro tanto attesi, con alcune delle aziende beneficiarie dei finanziamenti fallite e con impianti e macchinari in disuso. I sindacati denunciano, la politica nicchia; nessuno controlla, ma le tranches continuano ad essere pagate.
Nell'ordinanza il gip Sergio De Luca parla di "coperture politiche di cui gli indagati hanno potuto avvantaggiarsi anche nella fase successiva di attuazione del programma", e sono proprio alcuni degli indagati a tirare in ballo il Palazzo. G. parla di un impegno diretto del governatore campano: "Borrelli incontrò Bassolino ed ebbe assicurazioni circa la possibilità di accedere al contratto di programma i cui tempi erano, però, ristretti".
Secondo il consulente, Antonio Bassolino si prodigò anche al ministero, dove un ruolo di ulteriore supporter lo avrebbe avuto Guglielmo Vaccaro, allora nella segreteria del ministro Enrico Letta e oggi deputato del Pd. Fabio Borrelli, dal canto suo, accusa il commercialista, sul cui conto un altro indagato, il costruttore Gianluca Rainone, ha dichiarato ai magistrati: "Mi disse che solo una parte del denaro (del suo onorario, ndr) rimaneva a lui, in quanto aveva assunto degli impegni che doveva mantenere".
E aggiunge: "Nel periodo in cui erano in corso i lavori della nuova struttura Borrelli mi riferì che G. aveva relazioni con il Boffa (Costantino, ndr) il quale rivestiva un incarico prestigioso in Regione". Boffa a quel tempo era infatti il capo della segreteria di Bassolino: adesso anche lui ha fatto carriera ed è diventato deputato del Pd.