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Economia
settembre, 2009

Strategia bankitalia

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Interventi sempre più frequenti. Sui temi caldi del paese: stipendi, immigrazione e presto sul Sud. Disegno politico o ricerca di un nuovo ruolo?

I sermoni sull'inflazione? Non vanno più di moda. Le geremiadi sul rischio bolla e sulla politica dei tassi? Sentite troppe volte. Sonnolente conferenze sull'economia mondiale e sui cambi? Roba da consessi accademici, di questi tempi ci vuole ben altro: messaggi frequenti, molto focalizzati, che arrivino a destinazione come un pugno nello stomaco. È la stagione del draghismo in via Nazionale. Il nuovo corso che il governatore della Banca d'Italia ha impresso da qualche tempo all'istituzione che guida da tre anni e mezzo, e che negli ultimi mesi ha avuto come un'accelerazione, una sorta di emersione, quasi un outing. Una serie di prese di posizione su immigrati, stipendi, costo della vita Nord-Sud, hanno catapultato la banca al centro della politica nazionale. Un crescendo che potrebbe avere un coup de théâtre con una inedita alleanza: quella con una personalità simbolo dell'Italia condannata alla marginalità, Roberto Saviano, che il governatore ha incontrato e a cui potrebbe affidare un messaggio forte su un fronte a cui tiene molto, quello del Mezzogiorno.

Di questa nuova stagione movimentista, Draghi ha dato prova di persona, esponendosi, prima assoluta per un governatore, all'abbraccio politicissimo della platea del Meeting di Rimini. Con un tale successo, peraltro, da ingelosire il ministro dell'Economia Giulio Tremonti fino a fargli minacciare: "Io non vengo". Capricci da primedonne? No di certo: a rodere il ministro, come poi s'è visto e sentito quando Tremonti ha preso la parola a Rimini, sono stati i messaggi di Draghi. Il gioco degli antagonismi coinvolge sostanza, toni, persino il look. La necessità di una riforma del welfare, per esempio, caldeggiata da un compassato governatore in giacca e cravatta, ha dato il destro a un ministro in maniche di camicia Perón style di fare un po' di populismo sugli 8 miliardi messi a disposizione dal governo per la cassa integrazione, per la serie 'quando la casa brucia prima si spegne l'incendio, altro che riforme'; l'allarme di Draghi sul debito pubblico, il cui rientro è condizione indispensabile per ripartire, ha alimentato i sarcasmi di Tremonti sui fallimenti degli economisti che "non chiedono mai scusa", fantasisti delle previsioni come il mago Otelma ed Harry Potter.

Ma il nuovo corso di Bankitalia non si incaglierà su queste baruffe. Viaggia spedito e con un disegno preciso. Quale? E, per andare subito al punto, si può parlare di un 'partito Draghi', capace di influenzare in qualche modo le sorti della Seconda Repubblica? Di condizionare le scelte politiche della maggioranza, o di far da suggeritore all'opposizione?

Per carità. Solo a porre simili domande, i saloni di Banca d'Italia diventano ospitali come congelatori. Ma certo un programma Draghi, una sorta di manifesto per un buon governo, esiste. Non si trova su Internet, naturalmente, ma si rintraccia nella scelta di entrare con tutti e due i piedi sulle grandi questioni di 'policy' del paese, nozione questa ben diversa dalla semplice 'politica': intende una serie di decisioni da prendere, e di azioni concrete per risolvere i problemi del governo della cosa pubblica. Un terreno accidentato, ma su cui Draghi ha mosso con decisione il suo braccio armato: l'ufficio studi.

Fino a ieri una simile definizione avrebbe fatto sorridere. Lavori pieni di analisi e tabelle, ricerche sfornate con la missione di ottenere la promozione del mondo accademico, erano il pane quotidiano dell'ufficio studi. Adesso ha scelto di parlare anche a un altro pubblico, quello dei soggetti politici. E con un altro orizzonte: "Siamo passati dal macro al micro", sintetizzano in via Nazionale. Cioè hanno incominciato a infilare il naso nei temi caldi del paese, a puntare il dito sui suoi difetti strutturali, a denunciare che cos'è che ci tiene incagliati e ci impedisce di risalire la china e di crescere. Lanciando implicitamente una serie di messaggi.

Paradigmatico il caso delle 'gabbie salariali'. Che ci fossero delle differenze di costo della vita nelle diverse aree del paese si intuiva da sempre, ma nessuno sapeva dimostrarlo. Ed ecco che la Banca d'Italia fotografa esattamente questi differenziali, nero su bianco. Umberto Bossi afferra al volo e spara: ci vogliono le gabbie salariali, paghe differenti tra Nord e Sud perché al Nord la vita è più cara. Un pandemonio. Così, al governatore tocca dare un colpo di barra per riportare il tema fuori della propaganda leghista spiegando, dieci giorni dopo e con un altro prodotto dell'ufficio studi, che i differenziali salariali, tra Nord e Sud, ci sono già. Dunque di gabbie salariali non se ne parla neppure. Semmai, quel che serve è dare maggior peso alla contrattazione decentrata, in modo che le paghe rispecchino gli aumenti di produttività, non certo il costo della vita. Messaggio all'indirizzo del sindacato. E all'indirizzo leghista, subito dopo, recapita un altro messaggio, quello sugli immigrati. Tanto più forte in quanto arriva dopo una legge di stampo restrittivo, e con i respingimenti dei barconi dei disperati. La loro presenza in Italia non ha sottratto lavoro agli italiani, fulmina le coscienze uno studio Bankitalia, anzi: ha creato opportunità, per le donne e per i più istruiti, liberandoli dai lavori più umili.

Ma è sulla grande 'Questione Nazionale' che il governatore prepara il suo messaggio più forte. Un convegno, previsto per questo autunno, promette di nuovo alta tensione tra via Nazionale e governo. Avrà come 'testimonial' Roberto Saviano? Bocche cucite, al riguardo. Intanto, dall'ufficio studi, guidato da Salvatore Rossi, sono in preparazione una serie di analisi che fotografano i grandi fattori di squilibrio di cui è ammalato il paese. Draghi ne ha dato una traccia a Rimini: la sanità, la scuola, la giustizia, i servizi pubblici mostrano differenze che non si spiegano con gap nella spesa, la quale anzi è abbastanza uniforme nel paese. Quello che serve, dunque, non sono nuove leggi sul solco di quelle per l'intervento straordinario, cioè leggi ad hoc per il Mezzogiorno, come ha annunciato Tremonti, ma un attento lavoro per rendere efficace l'applicazione di quelle che ci sono e per migliorare la qualità dei risultati, affinché siano uniformi in tutto il paese.

Tutto questo prelude alla nascita di un nuovo paradigma sul ruolo della banca centrale? Certo, la crisi ha spazzato via le muraglie cinesi che separavano banche centrali e governi. Molti tabù sono caduti: era inconcepibile, fino a qualche tempo fa, che gli istituti centrali aprissero il portafoglio per aiutare le banche, o per comprare bond di imprese, come hanno fatto in questa era di crisi. Il loro mandato deve essere ridefinito, sostiene per esempio 'The Economist'. È stato peraltro, uno dei temi su cui i banchieri centrali di tutto il mondo si sono intrattenuti intorno a metà agosto a Jackson Hole, nell'appuntamento annuale organizzato dal capo della Fed, Ben Bernanke. Sulla terrazza da cui si possono scrutare con immensi telescopi i monti Teton, i super-banchieri hanno definitivamente preso atto che sarà impossibile anche per loro tornare allo status quo di prima della crisi. Alla vita facile in cui bastava tenere sotto controllo l'inflazione e il gioco era fatto. Ormai sono tutti d'accordo che la stabilità dei prezzi non garantisce anche quella finanziaria, e anzi rischia di alimentare le bolle. Ma, com'è chiaro a tutti, ridisegnare i nuovi poteri dei banchieri centrali rischia di entrare in conflitto con i governi, che in tutto il mondo non vedono di buon occhio la crescita di una tecnocrazia finanziaria con cui dover scendere a patti.

Resta il fatto che la reputazione dei banchieri centrali è ancora forte nel mondo. Lo è certamente quella di Draghi, che resta il candidato più accreditato per subentrare a Jean Claude Trichet al vertice della Bce tra tre anni. Ma il governatore sembra aver deciso che non è il caso solo di attendere quel giorno. Che non basta sedersi sulla sponda di quel fiume ideale che scorre su via Nazionale, e che Bankitalia non può vivere sulle nuvole mentre il paese si gioca il futuro. Ha il dovere morale di intervenire. Senza pretese di entrare nel governo dell'economia, certo, e senza posizioni ideologiche. Sono lontani i tempi in cui Guido Carli, da governatore, esercitava una sorta di supplenza rispetto al ministro del Tesoro. Se non è questo un partito Draghi...

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