Sembra un contrappasso: dopo interminabili discussioni su leggi ad personam e voti di fiducia per salvare chiunque, il "governo del fare" potrebbe cadere su una delle poche leggi che riguarda tutti. Giovedì 3, il federalismo, la bandiera con cui la Lega ha costruito la sua forza politica, segnerà la sopravvivenza del governo Berlusconi. Il ministro Maroni ha fatto sapere: «O il federalismo o tutti a casa», mentre Bossi si dice pronto a blindare l'accordo con il Terzo Polo pur di far passare "la madre di tutte le riforme".
Ma che così questa legge che i giornali chiamano "federalismo municipale" sulla quale sembrano decidersi le sorti della legislatura?
Cerchiamo di fare un po' di chiarezza, perché il caos mediatico in proposito è notevole.
Per capire di che cosa si tratta bisogna tornare al 2001, quando la riforma del titolo V della Costituzione (fatta dal governo di centro-sinistra) introdusse il principio della proporzionalità diretta, che prevede che le imposte vadano a beneficio dell'area in cui sono riscosse: se pago le tasse a Milano, Cagliari, Napoli, che almeno una parte di queste tasse vadano direttamente a Milano, Cagliari, Napoli – e non tutte al governo centrale. E' il principio del federalismo fiscale. Questo principio andava tuttavia concretizzato con una legge ordinaria, sennò restava campato per aria. Così prima di tutto è arrivata la legge delega del governo Berlusconi-Bossi (la 42 del 2009), che introduceva l'idea di premiare gli enti locali "virtuosi", quelli che non spendono più di quanto incassano, e si è fissata per il 21 maggio di quest'anno la data di attuazione vera e propria della riforma.
In vista dell'appuntamento è stata istituita una Commissione bicamerale di trenta parlamentari (la cosiddetta "Bicameralina") con il compito di approvare i decreti attuativi, i provvedimenti che stabiliscono i dettagli su come realizzare questo federalismo fiscale.
Fino ad oggi ne sono stati approvati tre: quello sul federalismo demaniale (votato da Lega, PdL e Italia dei Valori) che attribuisce parte del patrimonio dello Stato (soprattutto edifici e aree pubbliche) a comuni, province e regioni; quello sull'ordinamento di Roma Capitale, dotata provvisoriamente di autonomie speciali; e quello sui "fabbisogni standard", cioè una norma che nelle intenzioni dovrebbe modificare il criterio un po' cretino seguito finora in base al quale lo Stato finanziava gli enti locali sulla base della loro "spesa storica", cioè in pratica dava più soldi agli enti locali che in passato avevano speso di più.
Adesso si va a votare invece il cosiddetto "federalismo municipale", un decreto che cancella 11,3 miliardi di trasferimenti statali ai comuni, ma permette ai sindaci di rifarsi attribuendo loro il potere di tornare a usare la leva fiscale, su vari fronti:
Affitti
Cambia la cedolare secca sugli affitti da applicare ai proprietari. Sono previste infatti due aliquote, una al 21 per cento per il canone libero e una al 19 per cento per il canone concordato. La tassa non varierà in base al reddito, ma la percentuale sarà uguale per tutti i proprietari; oggi invece vengono detratte le spese forfettarie, gli affitti entrano a far parte del reddito, su cui poi si pagano le tasse.
Scompare il bonus di 400 milioni previsto come fondo di sostegno per le famiglie numerose in affitto, ma i proprietari che sceglieranno di pagare le tasse con un'aliquota secca non potranno chiedere un aumento del canone agli inquilini e nemmeno adeguarlo all'indice Istat.
Di fatto la cedolare secca sugli affitti sicuramente avvantaggerà i comuni in cui ci sono più case affittate, per gli altri c'è il rischio che sopravvivano solo grazie al fondo perequativo. Secondo la Cigl le entrate attuali per i redditi da locazione «sono 3,635 miliardi a fronte di circa 5,100 miliardi dovuti, con un'evasione di quasi 1,5 miliardi di euro. Le entrate stimate se il decreto entrasse in vigore sarebbero di circa 2,700 miliardi»: con una perdita di gettito di 500 milioni di euro rispetto ad adesso.
Irpef
Sull'imposta sul reddito delle persone fisiche, che fornisce circa un terzo del gettito fiscale per lo Stato, si è stabilito il compromesso tra l'esigenza del governo di evitare un via libera generalizzato e quella dei comuni di poter contare su un ritocco fiscale per recuperare il gettito perduto con i tagli ai trasferimenti e l'abolizione dell'Ici sulla prima casa.
E così è prevista una "compartecipazione" del 2 per cento all'Irpef maturata sul territorio, che si concretizza in circa 2,6 miliardi, e che di fatto attribuendo ai comuni una porzione di gettito fiscale non ha molto di federale. L'addizionale, congelata da Tremonti nel 2008, potrà essere aumentata in maniera selettiva negli enti che fino a oggi applicavano un'aliquota inferiore allo 0,4 per cento. Non solo, chi non l'aveva introdotta finora potrà farlo, ma il tributo non potrà superare lo 0,4 per cento né crescere in misura superiore dello 0,2 per cento annuo.
Questo significa che la prima fase di autonomia riguarderà solo il 44 per cento dei comuni, mentre quelli che già applicano una percentuale tra lo 0,4 e lo 0,8, il massimo previsto dalla legge tranne per Roma che in deroga arriva allo 0,9, non potranno intervenire.
Di fatto un veneziano, che oggi non paga nulla, se ha un reddito di 50 mila euro dovrà pagarne 100, mentre un pisano, a cui fino ad ora è applicato lo 0,2 si vedrà raddoppiata l'addizionale.
I comuni dovranno decidere se far entrare in vigore le nuove regole, entro la data di scadenza per i bilanci preventivi, prevista per il 31 marzo. Una volta deliberati i valori fiscali e pubblicati sul sito, saranno efficaci per tutto l'anno.
Il quadro finale potrebbe però anche essere diverso, visto che, nei sessanta giorni che seguiranno l' eventuale entrata in vigore del decreto, il ministero dell'Economia può accordarsi con gli amministratori locali in conferenza Unificata e proporre un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri per introdurre una graduale cessazione del congelamento al fisco locale introdotto nel 2008.
Evasione fiscale
I comuni che collaboreranno nella lotta all'evasione fiscale riceveranno il 50 per cento dei soldi recuperati, anche se non riscossi a titolo definitivo. A questi soldi si va ad aggiungere il 75 per cento delle sanzioni per gli immobili fantasma non regolarizzati entro il 31 marzo.
Tassa di soggiorno
Arriva l'imposta di 5 euro per ogni notte in albergo, non solo per i comuni capoluogo, ma anche per tutte le città d'arte e turistiche. E' la tassa promossa dalla Brambilla. Massima discrezionalità nell'applicazione, anche solo per alcuni mesi all'anno, e massima libertà anche nell'utilizzo. I soldi ricavati potranno essere utilizzati per la conservazione di beni artistici, per il turismo o per finanziare opere pubbliche.
E' stato fatto notare da alcuni come questa tassa di soggiorno non sia esattamente in linea con i principi base del federalismo fiscale, perché il Comune non preleva soldi dalle tasche dei suoi cittadini (come appunto previsto dalla riforma costituzionale) ma da cittadini di altri comuni. Un modo per incassare liquidità senza incidere sul consenso elettorale dei sindaci.
Imposta di scopo
L'imposta di scopo è una tassa (una tantum o continuativa) che un comune può imporre – appunto – per un suo determinato bisogno specifico: costruire una metropolitana, rifare un parco, fare un piano casa locale. Ciascun sindaco ne potrà introdurre quante vorrà. E se l'addizionale dello 0,5 per mille sull'Ici, istituita dalla Finanziaria del 2007, era stata adottata solo da pochi, ora c'è da scommettere che sarà istituita in gran parte d'Italia, visto che potrà essere applicata per la realizzazione di ulteriori opere pubbliche rispetto a quelle individuate in precedenza e potrà finanziare non più solo il 30 per cento, ma l'intero importo del progetto da finanziare.
Addio Ici, arriva l'Imu
Fra tre anni entrerà in vigore l'Imu, l'Imposta municipale unica, che comprende e sostituisce l'Ici sulle seconde case e l'Irpef fondiaria. Avrà un'aliquota del 0,76 per cento, ma i comuni potranno aumentarla o diminuirla dello 0,3 per cento, dello 0,2 se l'immobile è stato dato in affitto. Per gli immobili non produttivi di reddito fondiario o posseduti da soggetti passivi per l'Imposta sul reddito delle società, l'aliquota potrà essere ridotta fino alla metà. Restano escluse dall'Imu le proprietà non di culto della Chiesa cattolica (alberghi etc). Sempre nel 2014 i comuni avranno il 30 per cento del gettito dei tributi relativi alla compravendita di immobili.
Il Fondo di riequilibrio
E' il fondo che dovrà gestire il passaggio graduale al federalismo fiscale, durerà tre anni e sarà suddiviso tra comuni in relazione ai bisogni standard. Fino al 2013 il 30 per cento del fondo sarà distribuito tra i comuni in relazione al numero di residenti, mentre un ulteriore 20 per cento andrà ai comuni che hanno deciso di esercitare le funzioni fondamentali in forma associata, un obbligo di legge per tutti i piccoli comuni finora rimasto inattuato per mancanza del regolamento attuativo.
Fin qui quanto stabilito dalla norma che verrà discussa giovedì. Secondo i suoi avversari, si tratta sostanzialmente di una cascata di nuove tasse. I fautori della legge rispondono che – facendo risparmiare lo Stato grazie ai minori finanziamenti ai comuni – alla fine il governo centrale sarà messo in condizione di diminuire le sue, di imposte, quindi il cittadino non ci rimetterà.
Vedremo, sempre che giovedì la Bicameralina approvi la legge.
Al momento della sua istituzione, la commissione contava una maggioranza ampia. Oggi, dopo la fuoriuscita dei finiani, segna una situazione di completa parità (15 a 15), tanto che una singola assenza o astensione sarà determinante. Non è ancora chiaro che cosa succederà in caso di pareggio. Regolamento alla mano, il 15 a 15 potrebbe bastare per tenere in vita il decreto, ma evidenzierebbe una volta di più la fragilità numerica del governo Berlusconi. Se la Lega considera sufficiente questa "maggioranza" e non fa saltare il tavolo, la legge passa poi all'aula. Altrimenti il Carroccio stacca la spina e probabilmente si va a nuove elezioni.