Insegnare la fisica con la musica. L'inglese con YouTube. La storia col teatro. Esperienze pilota targate Ue cercano di arginare l'abbandono scolastico. Che riguarda 7 milioni di ragazzi in tutta Europa

Imparare i logaritmi facendo musica, con i valori e le frequenze delle scale musicali. Migliorare l'inglese maneggiando i video e le colonne sonore scaricate da YouTube. Capire la fisica delle onde sonore facendo i dj di musica elettronica, usando così nel concreto concetti astratti come "pressione del suono" o "decibel". Oppure mettere davvero in scena un testo teatrale per apprezzarne il valore letterario. E inventarsi scrittori parlando di sé per cominciare a mettere ordine nella grammatica. È bastato realizzare quello che i grandi esperti della didattica consigliano da sempre: integrare l'apprendimento delle materie scolastiche nella vita degli studenti. E i risultati sono arrivati in un baleno, per un manipolo di "adolescenti a rischio di esclusione", così gli esperti chiamano i ragazzi che abbandonano gli studi e restano sulla strada senza niente in mano.

Questa è la storia che raccontano i risultati di alcuni progetti dell'Unione europea che hanno scelto le passioni dei ragazzi - la musica e le nuove tecnologie come la messa in scena e la scoperta delle loro emozioni - e le hanno declinate in modo da farne materia scolastica per trovare una soluzione per quei 7 milioni di ragazzi europei che scappano in anticipo dai banchi di scuola. Stiamo parlando del 14,9 per cento di tutti i giovani tra i 18 e i 22 anni, mentre l'Agenda di Lisbona approvata dai capi di governo nel 2000 stabiliva che questa quota nel 2010 non avrebbe dovuto superare il 10 per cento. Ce l'hanno fatta pochissime nazioni europee (vedi grafico), di certo non l'Italia che per ora è fanalino di coda, con una media del 19,7 per cento e picchi del 30 per cento in Sicilia e Sardegna. Il tema, però, è di quelli che l'Unione europea ha deciso di prendere sul serio e lo fa con un flusso importante di finanziamenti destinati ogni anno a programmi specifici: idee innovative, filosofie all'avanguardia o piccoli progetti pilota, in un mix a dir poco fantasioso ma non fallimentare. Perché alcune sperimentazioni hanno dato risultati notevoli.
"E-Motion", ad esempio, è un progetto da 600 mila euro sviluppato tra Italia, Romania e Regno Unito: ogni paese ha selezionato un istituto (per l'Italia ha partecipato l'Istituto tecnico industriale Blaise Pascal di Roma) dove, a partire dal 2008, insegnanti volenterosi ed esperti delle sette note hanno dato vita a corsi sperimentali in classi con ragazzi a rischio. "Abbiamo pensato che la musica, unita alla multimedialità, fosse in grado di far parlare alla scuola lo stesso linguaggio dei giovani d'oggi", spiega Franco Alvaro, il coordinatore del progetto: "Provocando quegli stimoli che le altre discipline non sono in grado di dare e ricercando i collegamenti tra il mondo dei software e dei computer e altre materie come matematica, fisica o geografia". I risultati del progetto sono di buon auspicio: i test effettuati hanno mostrato che i ragazzi non solo hanno appreso i principi dell'elettronica come le regole delle frazioni, imparate dai software musicali, ma hanno anche ritrovato entusiasmo, riscoperto voglia di provare e di mettersi in gioco, grazie ad un obbligo che si è trasformato in motivazione.


Lo stesso ci si aspetta che facciano musical, teatro e danza, gli ingredienti chiave di "Moving", un programma simile a "E-Motion", partito solo da un anno e che vede coinvolte Crotone, la spagnola Andalusia e la prestigiosa scuola di arti sceniche creata da Paul McCartney a Liverpool. L'obiettivo finale? Tre diversi spettacoli con protagonisti gli allievi dei diversi istituti, che impareranno sul palcoscenico a fondere l'arte con l'apprendimento e a trasformare la formazione in creatività. Esempi di innovazione, messi in campo coi finanziamenti europei.

Tra gli addetti ai lavori, però, c'è qualche perplessità: che i progetti rimangano esperienze isolate, magari utilissime ai pochi giovani che hanno avuto la fortuna di viverle, ma non ancora veri input di trasformazione della scuola.

Un po' come è accaduto al progetto "Presto", che grazie a 325 mila euro ha messo insieme 60 scuole di cinque paesi europei nel tentativo di combattere l'esclusione sociale e si è concluso qualche mese fa. Per più di un anno, circa 600 studenti delle ultime classi delle superiori, tra cui molti in Italia nella zona di Empoli, hanno "insegnato" ai più piccoli delle prime o delle seconde come si affrontano interrogazioni o compiti a casa.

Il motto è stato "imparare ad apprendere": quindi via libera a schede su come si fanno i riassunti o su come si sottolinea per fissare meglio i concetti in testa. Ancora giochi sulle dinamiche di gruppo e problem solving, quiz storici o racconti pieni di emotività, dritte e consigli su come creare un ambiente privo d'ansia. "Se qualcuno ha bisogno di aiuto, può trovare in un suo coetaneo un punto di riferimento con cui parlare, sentendosi più in confidenza e meno inibito", spiega Giulia Rigoli dell'Asev, l'agenzia dello sviluppo dell'Empolese Valdelsa, l'ente che ha sviluppato la parte italiana del Presto: "Arginare gli ostacoli legati allo studio è spesso il primo passo per evitare che gli adolescenti si isolino e si sentano inadeguati, e nei casi peggiori che si arrendano alle difficoltà". Oggi a Empoli sono tutti soddisfatti per l'esperienza e hanno redatto un bel volume. E ora si chiedono: funzionerà?


Come se lo sono chiesti quelli del Cipat, il Consorzio degli istituti professionali della Toscana, partner nel progetto School Inclusion che prevedeva di utilizzare 250 mila euro per la costruzione di materiali specifici attraverso il coinvolgimento diretto dei docenti. E che ha provato concretamente a lottare contro la dispersione scolastica puntando sull'uso massiccio delle nuove tecnologie, lo sfruttamento in maniera più intensiva di laboratori e una rivoluzione del modo di insegnare. "Bisogna far vivere agli alunni delle situazioni concrete da cui possono risalire alle nozioni teoriche", spiega Giuseppe Italiano, presidente del consorzio: "Purtroppo, però, questo è il settore in cui siamo più carenti, e in tal senso i professori sono poco preparati".

Così, per dare seguito al loro progetto Ue, i professori hanno trasformato le esperienze maturate nelle scuole in una lista di buone pratiche a cui ispirarsi. Piccole storie quotidiane, dove un maggior utilizzo di figure professionali esterne come lo psicologo o l'educatore, un più attivo coinvolgimento delle famiglie in attività extrascolastiche o in piccoli gruppi di lavoro hanno dimostrato di funzionare. E possono diventare un modello.