Si va sempre meno in ospedale e si vive sempre più a lungo: 79,1 anni gli uomini, 84,3 le donne. In compenso facciamo poco sport, beviamo troppo alcol e quindi ingrassiamo. I dati appena pubblicati del Rapporto sulla salute nel nostro Paese
Tutto sommato, gli italiani stanno bene: si muore sempre più vecchi e ci si fa ricoverare sempre meno in ospedale. In compenso, siamo sempre più grassottelli – spesso obesi – e sedentari, soprattutto le donne.
È questa l'istantanea scattata dal Rapporto Osservasalute 2010, un'indagine dettagliata sullo stato di salute e dell'assistenza in Italia, presentata oggi all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. A dirigere i lavori – che hanno coinvolto 203 esperti in materia di sanità pubblica, statistica, epidemiologia, economia e matematica - è stato Walter Ricciardi, direttore dell'Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dello stesso ateneo.
Sfogliando il Rapporto l'impressione che si ha è che gli italiani godano di buona salute, ma che non facciano nulla per preservarla. E che, in fatto di sane abitudini da una parte e di servizi sanitari dall'altra, il divario fra Nord e Sud sia sempre maggiore.
E' il caso, ad esempio, dell'obesità. In Italia il 45,4 per cento degli adulti è in sovrappeso, e le regioni con le più alte percentuali di persone in eccesso ponderale (in sovrappeso o obese) seguono un particolare gradiente Nord-Sud, con Trentino-Alto Adige, Piemonte, Veneto come le più virtuose a tavola e Molise, Basilicata, Campania, come quelle più "pesanti". E sono sempre le regioni del Sud (Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia, Calabria e Basilicata) quelle che vanno meno dal dentista, anche se dovrebbero.
Un dato da intendere come cartina tornasole delle possibilità socio-economiche di accesso ai servizi sanitari della popolazione. Ma il Meridione è anche la zona dove le cattive abitudini sono più dure a morire. Al Mezzogiorno ci sono più fumatori, che abbandonano le "sigarette" con più difficoltà rispetto al Centro Nord (dove spetta alla Valle D'Aosta il primato della regione con meno fumatori) e meno "atleti": 13,8 per cento di sportivi in Sicilia contro il 33,5 per cento di quelli del Trentino-Alto Adige.
Ma nello scenario nazionale il Rapporto Osservasalute rivela un leggero aumento delle persone che fanno movimento, anche se ancora troppo poche.
Stesso trend per le abitudini a casa: gli italiani mangiano più frutta e verdura (in testa i cittadini della Provincia autonoma di Trento), ma non quanto dovrebbero.
Cresce la natalità: rispetto al biennio 2007-2008, negli anni 2008-2009 la popolazione è cresciuta del 6 per mille, grazie soprattutto agli immigrati. Gli italiani, infatti, sono ancora poco prolifici, soprattutto in Liguria (-5,8 per mille), in Friuli Venezia Giulia e in Molise (-3,1 per mille), ma aumenta comunque la fecondità delle donne (1,4 figli per donna). Un dato che si spiega con l'aumento di donne straniere che partoriscono in Italia e con la crescita della fecondità nelle over 30.
Con figli o senza, giovani o anziane, le donne hanno guadagnato solo tre mesi di aspettativa di vita in più negli ultimi cinque anni, passando da 84 a 84,3 anni in media, contro i sette mesi guadagnati dagli uomini, da 78,4 a 79,1 anni.
In più la diminuzione della mortalità per tumore e malattie del sistema circolatorio nella popolazione femminile è sì in diminuzione, ma meno di quanto accade negli uomini. In parte anche per colpa di abitudini poco salutari che le donne faticano ad abbandonare, come il fumo, la pigrizia e il crescente consumo di alcolici.
L'Italia è poi un paese anziano, e lo sarà sempre più. Le persone di età compresa tra i 65-74 anni sono il 10,3 per cento del totale e a queste se ne aggiungono un 9,8 per cento con più di 75 anni. Numeri che in base ai calcoli subiranno un aumento nei prossimi anni, grazie anche alla ridotta mortalità. Quella oltre il primo anno di vita, tra il 2000 e il 2007, è diminuita del 13 per cento e dell'11 per cento, rispettivamente per gli uomini e le donne.
«In sintesi, il quadro che appare dal Rapporto di quest'anno mostra vari segnali di miglioramento sul versante di alcuni fattori di rischio», spiega il Direttore di Osservasalute Walter Ricciardi: «Ma non tali da invertire il trend generale di un Paese decisamente avviato verso un futuro difficile, soprattutto in alcune regioni, per la combinazione dell'invecchiamento della popolazione, dell'aumento dei fattori di rischio, soprattutto comportamentali nei giovani, e di strutture amministrative regionali in affanno nel garantire servizi, soprattutto preventivi e di diagnostica precoce in grado di ridurre il carico di malattia».
Il Rapporto, infatti, oltre a valutare lo stato di salute degli italiani, ha puntato gli occhi sulla "salute" delle amministrazioni sanitarie regionali, mettendo in luce realtà complicate, con strutture che faticano a bilanciare i conti e non sempre in grado di garantire servizi di assistenza socio-sanitario ai cittadini, soprattutto al Sud. È qui che infatti si concentrano la maggior parte delle regioni "in rosso", assoggettate quindi a piani di rientro o a commissariamento, che di fatto le privano dell'autonomia prevista dal federalismo sanitario. Come denuncia il Rapporto, la situazione è particolarmente critica in Campania, Sicilia, Molise, Abruzzo, Sardegna e Lazio, regione dove si registra il più alto disavanzo procapite in Italia. Da sole Lazio, Campania e Sicilia hanno generato il 69 per cento dei disavanzi accumulati dal Sistema Sanitario Nazionale nel periodo 2001-2009.
La scure che si abbatte sui conti di queste regioni, se non è accompagnata da un opportuno sistema di controllo dei servizi sanitari, rischia però di peggiorare le condizioni dei servizi sanitari, come ha sottolineato Ricciardi: «I problemi di salute degli italiani non dipendono solo dalla loro cattiva volontà che li porta a essere sedentari e poco inclini ai corretti stili di vita, bensì anche dal deteriorarsi, soprattutto nelle regioni in difficoltà sul piano economico (soprattutto al Sud), di interventi adeguati per mancanza di investimenti nella prevenzione. A ciò si aggiunge il problema della chiusura degli ospedali che, sebbene concepita per razionalizzare il sistema, determina però poi la riduzione dei posti letto e della ricettività per le emergenze».