Neanche il tempo di festeggiare a febbraio la sua elezione a presidente della Lega Coop di Ferrara, cravatta datagli all'ultimo istante dal predecessore per decoro istituzionale e con un'ombra di rimprovero, e già al 36enne Andrea Benini, prototipo della nuova generazione che sta prendendo il potere nelle Coop un tempo "rosse", sono arrivate le prime lettere e telefonate: disperate, furiose, deluse, sconsolate.
Venivano dai soci della Cooperativa Costruttori di Argenta, fallita nel 2003, 3 mila famiglie che hanno perso 80 milioni di euro rimborsati a metà raccogliendo soldi tra le altre cooperative, processo in corso; e, a ruota, dai soci della Cmr, anch'essi costruttori di Argenta, fallimento ad aprile di quest'anno, cento famiglie coinvolte per 2,4 milioni a fatica in via di risarcimento per la metà delle quote perse.
Difficile dire se, per rispondere che recuperare metà del capitale è già un lusso rispetto alle imprese non cooperative e che la colletta era costata lacrime e sangue all'intero sistema Coop emiliano, al Benini siano tornati più utili la laurea in Filosofia teoretica o la miriade di corsi e master cumulati mentre fondava e dirigeva la Camelot servizi: in management con la Bocconi e l'ateneo di Modena, poi in didattica, in studi interculturali, sicurezza del lavoro, antincendio, operatore di sportello per stranieri, persino in cucina etnica. "Quello che ho imparato sulla mia pelle", racconta, "è una cosa che i vecchi cooperatori sapevano benissimo: "Ragazzi, bisogna volergli bene, ai numeri", ci ripete quello di loro che ci tiene i corsi sui bilanci. E dei "sette princìpi di Roche Dale", ottocentesca carta fondante della cooperazione, il più importante è l'ultimo: "Pagare in contanti", o tutte le altre voci piene di afflato etico diventano carta straccia".
Chi se l'era scordata, questa verità elementare? I manager d'assalto innamorati della finanza? I Giovanni Consorte di turno? I bocconiani o chi per loro entrati dagli anni Ottanta nelle Cooperative non per orientamento politico-culturale e col viatico di partito e sindacato, ma solo perché sul mercato del lavoro era un'occasione come un'altra? Benini un po' svicola, "ma non è più come vent'anni fa, oggi alle scuole per manager già ti spiegano che gli aspetti etici e sociali sono parte del successo economico di un'impresa, non un fastidioso orpello veterocomunista".
Sarà. Resta da capire chi sono davvero questi trenta-quarantenni, la nuova generazione di cooperatori post-muro di Berlino, cresciuti sulle ceneri del vecchio quadrilatero coop-partito-sindacato-ente locale in cui ogni soggetto garantiva l'altro e tutti insieme costituivano un blocco di potere quasi inattaccabile. A chi danno battaglia e come stanno rivoluzionando un settore che in Italia vale 57 miliardi e 470 mila occupati, in crescita seppur lieve, dunque in controtendenza alla crisi: nella sola Emilia-Romagna sono 1.550 imprese da quella di pulizia al colosso edile, dalla logistica alla grande distribuzione, 156 mila dipendenti e un volume d'affari di oltre 30 miliardi di euro, altri punti forti Toscana e Lombardia, aree di crescita Puglia e Sicilia.
Indolore non è affatto, questo processo di svecchiamento: "Noi non moriremo né di nuove tasse né di vecchi pregiudizi politici, ma rischiamo grosso se non riusciamo a portare sangue nuovo, ad attrarre talenti, a completare entro il 2015 un radicale ricambio dei quadri dirigenti: nuove facce, nuova pelle, nuovi campi di iniziativa", spara alzo zero Paolo Cattabiani, dal 2006 presidente della Lega Coop Emilia-Romagna, che la prima presidenza la conquistò ventisettenne alla Confcoltivatori di Reggio e sta oggi, con i suoi 52 anni, giusto a cavallo tra il vecchio nucleo dirigente e i giovani all'arrembaggio. Come mai questa urgenza? Perché attorno è cambiato tutto. Ieri il potere era nella Lega, per investitura del Partito, oggi nelle singole Cooperative e nel loro conto economico. Ieri il serbatoio delle nuove leve erano la Politica e il Sindacato, oggi "arrivano professionalmente attrezzatissimi, ma tocca inculcargli quella sorta di "contabilità etica e valoriale" senza la quale non saremmo nulla di diverso dagli altri". Non bastasse, i soldi sono finiti: "La prossima Coop che dovesse fallire non potrebbe contare più su alcuna colletta per tappare i buchi", trancia Cattabiani.
Crisi o no, nel loro cuore emiliano le Coop qualche primato continuano a vantarlo. Due milioni e mezzo di soci, due terzi in regione. L'8 per cento degli occupati non pubblici dell'Emilia-Romagna. E un ricorso alla Cassa integrazione dieci volte inferiore che nelle imprese non cooperative. La parte del leone la fanno l'edilizia (coi colossi Cmc di Ravenna, Ccc di Bologna, Cmb di Carpi, CoopSette di Reggio e una miriade di altre che lavorano per quelle e per terzi), la grande distribuzione (Coop e Conad), l'agroindustria (Granarolo il marchio più noto), lo sterminato campo dei servizi, pulizie, ristorazione, sanità, logistica e quant'altro. Ma i margini sono in calo per tutti: l'edilizia è ferma, la Cmc si salva grazie ai nuovi contratti in Cina; negli alimentari le famiglie spendono meno, e meno ancora nelle grandi superfici da dove esci coi carrelli stracolmi; la logistica come settore è a forte rischio d'infiltrazione mafiosa e le cooperative sono penalizzate anche dalla loro dimensione mediamente troppo piccola; per mense e servizi sociali gli enti locali alla frutta dopo i tagli dei trasferimenti hanno sempre meno soldi da spendere.
Urgono nuove idee per nuovi business. Sui farmaci liberalizzati da una lenzuolata di Bersani, con CoopSalute. Nella telefonia, con CoopVoce. Sulla benzina: EnerCoop ha aperto un primo distributore nel piacentino, Conad vende già la sua benzina a Modena. Spuntano, soprattutto come cooperative sociali, iniziative fuori dalle righe. Sull'energia verde, non solo le pale eoliche ma le piccole centrali idroelettriche, si sono gettate ben sessanta coop. Otto di Libera Terra coltivano i terreni sequestrati alle mafie. Tra le cosiddette "cooperative del sapere", rimedio alla disoccupazione intellettuale, si contano coop di professori, di ingegneri, di professionisti di cantiere, fino ai chinesiologi cioè fisioterapisti col master, i prossimi saranno medici e dentisti. Giovani giornalisti senza giornale se ne inventano uno on line per guadagnare fornendo servizi anche a terzi, e con un po' di autoironia si battezzano S-coop. Famiglie in cerca di badanti e badanti in cerca di famiglie si organizzano ciascuno per proprio conto in accordo e con i fondi del Comune di Ferrara e, stavolta con ironia involontaria, si chiamano Aspasia: che nell'Atene di Pericle sarà stata sì straniera come oggi da noi le Irina, Olga, Tatiana, ma di mestiere faceva l'etèra, insomma la escort.
Non si fanno patemi d'animo, se rende, a lavorare per il nemico. Anche quando si chiama Caprotti, che alla Coop ha mosso guerra aperta con un ricorso di FederDistribuzione alla Commissione europea contro un regime fiscale bollato come aiuto di Stato e concorrenza sleale: "La Esselunga di Caprotti è uno dei nostri migliori clienti", rivendica Leonardo Cianchi, 35 anni, presidente della Cft di Firenze, logistica per la grande distribuzione ; "ci apprezza perché da imprenditori siamo trasversali". Gli anziani fedeli alla linea storcono il naso alla trasversale spregiudicatezza dei trentenni? "Qualcuno ci prova, a sbarrarci il passo, ma alla fine contano meriti e risultati", replica Cianchi.
ontro il luogo comune che vuole le donne in carriera più ciniche e spregiudicate degli uomini, Ethel Frassinetti, 33 anni, direttore Lega Coop Bologna dal 2008, dà voce a una visione quasi romantica della Cooperazione, tutta tessuta di "dimensione collettiva del fare impresa" e di "occupiamoci di noi", titolo del documento che all'ultimo congresso ha presentato il gruppo Generazioni.
Inventato nel giugno 2008, Generazioni riunisce duecento under 42 già ai vertici delle cooperative o della Lega. A sorpresa, la prima cosa cui hanno pensato pare sia stata la pensione: "I vecchi cooperatori ce l'avranno, noi giovani chissà, con l'andazzo dell'economia e della previdenza. Vogliamo dunque, all'interno della Lega, l'istituzione di un fondo perequativo che ci garantisca un po'", racconta la loro coordinatrice Federica Protti, 37 anni, responsabile della cooperazione sociale a Rimini, "non siamo nati per fare rivendicazioni, ma vorremmo almeno che venir promossi per merito fosse una regola, non come oggi un caso. E i vecchi che, lo riconosciamo, hanno fatto grande la cooperazione, quando vanno in pensione crediamo debbano lasciar spazio, non continuare a occupare posti con collaborazioni reiterate per anni".
Tocca sgomitare per salire ai vertici? Né più né meno che altrove.
Federico Sarti, 42 anni, laurea in Architettura, consiglio di amministrazione del colosso Cmb dov'è anche, poltrona chiave, responsabile del marketing, l'aria di cantiere l'ha respirata da quando aveva cinque anni, padre cooperatore e zio deputato Pci: ma la gavetta se l'è fatta in imprese private, prima di tornare all'ovile a seguire le grandi infrastrutture teorizzando diversificazione produttiva e priorità del mercato, ancorché regolato. Alessandro Brunetti invece, anni 35, lui sì bocconiano, in Manutencoop c'è arrivato dopo un colloquio come tanti: lo hanno subito dato in pasto ai leoni, leggi banche d'affari, per quattr'anni a occuparsi di acquisizioni di società. Ora è responsabile amministrativo di una start-up e, da manager, ha presentato domanda per diventare socio.
E la politica che fine ha fatto? Archiviato il collateralismo, perso il vivaio dei partiti di sinistra, spaccato il sindacato tra Cgil e Cisl-Uil con deleteri effetti sulle Coop o almeno così dichiarano, la frase "ridisegnare le alleanze sociali" suona come un eufemismo non privo di rischi. Con Comunione e liberazione e la Compagnia delle Opere, le Coop filano da tempo d'amore e d'accordo, grandi e discussi affari insieme come la ristrutturazione dell'ospedale Niguarda a Milano e munifici stand all'annuale kermesse ciellina del Meeting riminese. Persino con la Lega Nord i rapporti sono buoni dov'è al governo, dove invece sta all'opposizione il Carroccio le Coop le vede ancora come il fumo negli occhi, pezzo del "potere rosso": così in Emilia, con la Lega nuova arrivata all'assalto del fortino bolognese. Ma, anche stavolta contro le aspettative, una rilevazione ad ampio campione sulle intenzioni di voto dei soci delle Coop ha svelato che sono grosso modo aderenti alle percentuali di voto in regione, un po' più orientati a sinistra ma ormai di poco.
Si capisce allora come "certi cromatismi del secolo scorso", leggi Coop rosse e Coop bianche le une contro le altre armate, perdano di senso: "Il futuro è l'Aci, Alleanza cooperative italiane", proclama sicuro Cattabiani. Fondata appena il 27 gennaio di quest'anno, l'Aci riunisce Lega Coop, Confcooperative (sarebbero le bianche, base teorica tuttora la dottrina sociale della Chiesa), Agci (di tradizione repubblicana, nella sacca romagnola). Al momento fa poco più che da portavoce. "Ma nel giro di qualche anno dovrà diventare il vero centro unificato del potere cooperativo". Vecchie e nuove resistenze permettendo, s'intende.
Attualità
23 giugno, 2011L'ex colosso "rosso" si affida ai giovani. E si sgancia dai partiti. Per conquistare nuovi mercati. E risanare i debiti della crisi
Alla Coop si fa la rivoluzione
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