Martedì 14 luglio, a Venezia, l'avviso di garanzia a Gianni De Michelis. Giovedì 16, a Milano, l'arresto di Salvatore Ligresti. Quando un ex ministro degli Esteri e uno degli uomini più ricchi del paese finiscono contemporaneamente nel mirino dei giudici, quando i loro nomi eccellenti, conosciuti in tutta Europa, vengono mescolati a quelli dì tanti protagonisti grandi e piccoli della corruzione italiana, allora non si può più parlare solo di nuovi sviluppi, sia pure clamorosi, dell'inchiesta sulle tangenti. Sta succedendo Qualcosa di profondamente diverso. E' la Caporetto di un intero sistema. E' l'impeachment di una parte rilevante della classe dirigente, sia politica sia imprenditoriale, prosperata per anni, per decenni, all'insegna dell'illegalità e degli abusi.
I primi a capire che non si è in presenza di scosse di assestamento, per quanto violente, ma di un cataclisma dagli esiti incerti e potenzialmente devastanti, sono quelli che ne vengono investiti in modo diretto: i capi dei partiti, le folle sgomente dei loro collaboratori e cortigiani. Essi vedono che la notte non passa. E sanno che non può passare. Le loro reazioni aiutano a capire quanto forte sìa il vento da caduta degli dei che sta spazzando la penisola.
Anzitutto, l'autoconservazione è ormai l'unico istinto al quale sembrano abbandonarsi. Non fanno più politica. Difendono se stessi e le loro prerogative minacciate. Mentre Giuliano Amato si arrabatta per far superare al paese una crisi finanziaria, economica, sociale ogni giorno più grave, Bellino Craxi cerca il corpo a corpo con i giudici, con i giornalisti. Meno combattivi, o forse più astuti, i suoi colleghi degli altri partiti tacciono. Dal silenzio della politica sale ogni tanto un urlo: contro la perquisizione di una sede di partito, contro le manette in tv, contro la pubblicazione di un verbale d'interrogatorio. Poi basta.
Ma l'aria da fine regime si coglie anche in altri particolari. Per esempio nel progressivo, rovinoso arretramento delle trincee su cui i leader della partitocrazia tentano man mano di attestarsi. Prima si è detto (Craxi) che le tangenti erano specialità di singoli mariuoli; poi si è tentata (Giuliano Ferrara e altri) un'assurda distinzione fra chi ruba per sé e chi ruba per il partito; a un certo punto si è affermato (Ottaviano Del Turco) che i corrotti buoni sono meritevoli di amnistia. Ognuna di queste trincee è stata subito travolta. Da ultimo è dì moda sostenere (per tutti un nome rispettabile: Luca Beltrami Gadola) che certe mazzette non sono tangenti su specifici affari, ma libere elargizioni di imprenditori per le spese elettorali. E' la linea Cogefar-Fiat come l'ha descritta Maurizio Prada: «Evitare un rapporto diretto fra appalto ricevuto e contribuzione». Ma Io stesso Prada avvertiva che era solo un artificio. In sostanza non cambia niente.
Quando invece gli assediati abbandonano la guerra di posizione, e azzardano un contrattacco, il risultato è pessimo. Chi non ricorda la difesa di Andrea Parini, meglio noto come il Santo Prenditore? O l'improbabile accusa mossa ai giudici milanesi di utilizzare personaggi dei servizi segreti? O gli strepiti contro le presunte violazioni del presunto segreto istruttorio? E che dire della pubblicazione a pagamento (per una spesa, stima l'"Europeo", di mezzo miliardo) del discorso del 3 luglio di Craxi alla Camera? Canta il poeta: «Ogni volta è uno strappo, /ogni volta è la morte...».
Impressionante è infine, nel tramonto precipitoso di un'epoca, la solitudine di chi rimane al buio. Le parole volano via senza destare echi. Gli alleati spariscono. Nemmeno fra chi si trova nella stessa barca degli accusati sopravvivono forme di solidarietà. Sarà vero, è vero che in Italia c'è un milione di persone che campa di politica; ma gli altri 56 milioni esistono, e contano di più. Soprattutto quando il paese è in difficoltà, e nemmeno a un pazzo verrebbe in mente di dire che è ben amministrato.
La caduta degli dei non è uno spettacolo che mette allegria. E' un evento apocalittico, a proposito del quale non si può fare a meno di porsi un paio di domande: perché si produce proprio adesso? E quale mondo lascerà dietro di sé, una volta giunto a compimento? Sul primo punto, è puerile dare la caccia a complotti inesistenti. Se perfino un Ligresti assaggia il pagliericcio di San Vittore la spiegazione è disperatamente banale: «Si è diffusa», come ha ammesso Craxi, «una rete di corruttele»; alcuni giudici hanno cominciato a perseguirla penalmente; il loro lavoro ha posto in evidenza la vastità incredibile della corruzione; gli italiani, già innervositi dal declino del paese, presentano ora il conto dell'avvenuta spoliazione alla loro classe dirigente. Quanto al futuro, certo non assomiglierà al passato prossimo. L'Italia della patrimoniale sulla casa, sui conti in banca, sui depositi postali non può permettersi un sistema politico da 5 mila miliardi all'anno; come non può permettersi imprese che sì fanno largo a colpi di mazzette.
Sbaglia perciò il solito Craxi quando dice che lo scandalo delle tangenti «non può essere utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema». E' vero il contrario. Questo scandalo è l'ultima occasione per cambiare partiti che non hanno saputo altrimenti rigenerarsi.