Molto presente nelle manovre per il futuro 'centro', risulta invece assenteista in quello che dovrebbe essere il suo lavoro: risolvere le drammatiche vertenze delle aziende che mettono in strada i dipendenti

Corrado Passera quando vuole sa farsi notare. Come nei giorni subito dopo Ferragosto: l'intervista esclusiva con foto romatiche su 'Oggi', la visita all'Ilva di Taranto, il discorso appassionato al Meeting di Cl. Gioca d'anticipo sull'autunno, il ministro allo sviluppo economico, e sono in molti ormai a darlo come candidato alla prossima legislatura.

Eppure c'è chi fino a ieri Corrado Passera non l'aveva mai visto. Sono i lavoratori e i sindacalisti delle principali vertenze industriali rimaste aperte sul tavolo del Ministero allo Sviluppo, ad oggi in totale 141. Cifra ereditata da Claudi Scajola e Paolo Romani. Ma mentre i due precedessori amavano metterci la faccia sulle trattative - salvo poi perderla quando le promesse ai lavoratori si rivelavano fasulle - il ministro tecnico ha optato per il basso profilo.

Dalla Fincantieri di Sestri alla Vinyls, dall'Omsa ad Agile Eutelia, in Alenia, persino alla Fiat di Torino: Passera non si è mai visto. E ovunque le risposte sono un coro unanime: «Qui non è mai venuto. Non credo si sia mai interessato alla nostra vertenza». Con l'unica eccezione della sarda Alcoa: «Lo abbiamo incontrato al ministero una volta, il 27 marzo scorso, per un quarto d'ora», dice il sindacalista Rino Barca. Lui e i suoi colleghi dell'impianto siderurgico sardo hanno occupato l'aeroporto di Cagliari e i traghetti la scorsa settimana, perché la toppa messa dal governo Berlusconi tre anni fa sta per scadere.

Si è fuori tempo massimo. Sono passati nove mesi dall'insediamento di Passera al dicastero di via Molise, e il "super ministro" capace di risolvere difficili impasse di vertenza si è mostrato molto poco su queste vicende, in quello che per il ministero è un approccio manageriale e per i lavoratori semplicemente disinteresse. Le vertenze che hanno trovato soluzione devono ringraziare le Regioni: «Il Mise aveva benedetto l'accordo separato firmato da Fim e Uilm senza noi della Fiom», ci spiega il sindacalista di Fincantieri, Giulio Troccoli. «Siamo riusciti a ribaltare la situazione grazie alla Regione, dopo una dura lotta», conclude. Procedimento simile a quanto accaduto ai mille cassintegrati dell'Agile Eutelia. Loro prima erano una vertenza nazionale, poi: «Il Mise ha delegato i restanti mille alle Regioni, cosi si è spezzettata la forza dei lavoratori», spiega Cadigia Perini, cassintegrata Agile di Ivrea.

Passera è stato in passato protagonista di alcune fra le più importanti svolte industriali del nostro paese: è stato lui a far entrare Olivetti nelle telecomunicazioni avviando Omnitel e creando Infostrada, lui a rivoluzionare le Poste, lui artefice della fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi, lui tra i protagonisti della privatizzazione di Alitalia.

Tutte queste enormi cessioni, fusioni, riorganizzazioni hanno comportato complessivamente una cifra approssimativa di 40 mila lavoratori in esubero nell'arco di 16 anni (tra il 1992 e il 2008) e sono molti i lavoratori che vivono il paradosso di doversi rivolgere a un ministro che è stato in passato la causa della propria fine.

Come i lavoratori Agile Eutelia, figli dello smembramento di Olivetti: «Passera vede le vertenze come gestione di esuberi», commenta ancora Cadigia. «Cerca sempre la trattativa», spiega Calcagni della Fisac, che ha conosciuto Passera ai tempi di Banca Intesa. «Però ha un unico limite culturale: chiede ai sindacati di farsi carico di grandi sacrifici ma la leva del comando rimane a lui».

Il desaparecido. «Non l'abbiamo mai incontrato, qui non è mai venuto», spiega Giulio Troccoli, delegato Fiom alla Fincantieri di Sestri a Genova. «Al Mise siamo andati l'ultima volta che era Natale», continua. Poi c'è la Fiat Mirafiori, a Torino, dove da luglio 5.000 dipendenti sono entrati in cassa integrazione. Anche qui il ministro non si è mai visto: «Passera non è mai venuto, come tutti gli altri. Anche lui non è stato capace di intavolare nessuna trattativa con la Fiat», racconta Angelo Rosito, rsu Fiom. «Dovrebbe essere ministro di tutti, anche dei lavoratori, il banco di prova è andare nelle aziende, non al meeting di Cl», conclude l'operaio.

All'Alenia di Caselle, sempre a Torino (dove lo scorso 23 aprile la Fornero era andata a spiegare la riforma del lavoro agli operai): «Non ci ha mai cercato», dice il sindacalista Antonio Fraggiacomo. All'Omsa di Faenza, che aspetta l'avvio delle assunzioni con la nuova impresa Atl: «Se devo dire la verità non credo che Passera abbia fatto un granché per noi», spiega Samuela Meci della Filtcem. Alla Jabil di Cassina de Pecchi, occupata da oltre un anno: «Anche noi non abbiamo mai visto il ministro. Mi auguro che si renda conto che dietro queste 131 vertenze ci sono persone e famiglie», afferma l'occupante Anna Lisa. Anche alla Vinyls di Porto Torres e Porto Marghera il ministro non si è mai fatto vedere. «E non prendiamo cassa integrazione da Maggio ormai», dice Stefano Masperi della Vinyls sarda.

Il portavoce del ministro Passera, Stefano Porro, tiene a specificare che l'assenza dalle trattative del ministro è un approccio da tecnico, manageriale, e non va confuso coi risultati delle trattative. Passera, dice Porro, «interviene nei momenti difficili, come per l'Alcoa». Il ministro sta seguendo le vertenze: «con la maggiore attenzione e serietà». (qui la replica integrale del ministero)

Ci pensino le Regioni. Decentralizzare vertenze nazionali a livello regionale, sembra essere la nuova strategia del ministero allo sviluppo nell'epoca Passera. È accaduto per Fincantieri e Agile Eutelia. «Noi lavoratori eravamo 1.250 sparsi fra Ivrea, Torino, Milano, Roma e Bari», spiega la cassintegrata Cadigia Perini. Poi una parte dell'azienda viene venduta alla Tbs. I restanti 1.000 cassintegrati vengono delegati dal Ministero alle Regioni: «Col progetto Feg, Firenze-Empoli-Genova, presentato alla Commissione Europea». Progetto che non si è ancora concretizzato, dato che i cassintegrati sono rimasti cassintegrati, ma in compenso, secondo la lavoratrice: «Così facendo si è spezzettato la forza dei lavoratori». I mille di Eutelia avevano protestano più volte a Roma, forti del loro numero. Ma la decentalizzazione della vertenza ha comportato un altro problema: «A seconda della regione di appartenenza sei fottuto, i nostri colleghi della Campania non hanno ottenuto nulla, per quelli lombardi hanno stanziato 3.000 euro a persona, che non sono niente», in una segmentazione senza controllo.

Qualcosa di simile è accaduto alla Fincantieri, le delegazioni dei 9.000 operai dei cantieri navali sparsi per lo stivale si erano ritrovati assieme davanti al Mise lo scorso 10 gennaio. Erano venuti da Genova, da Ancona, da Palermo, da Castellamare di Stabia, ma non c'era stato nulla da fare: per Passera i 2.500 licenziamenti del piano industriale presentato dall'azienda erano accettabili. Per i lavoratori e la Fiom no. «Ora abbiamo un accordo sindacale che salva Sestri Ponente», spiega Giulio Troccoli «Ma l'abbiamo ottenuto grazie alla Regione e a Genova». L'anno scorso il ministero aveva approvato l'accordo separato, quello con gli esuberi, che la Fiom non aveva firmato: «A livello locale invece abbiamo ottenuto un accordo unitario, e il presidente Burlando ci ha fatto incontrare Napolitano», continua il sindacalista. «Noi avevamo interesse a centralizzare la vertenza, ma il Mise nella pratica ha favorito accordi decentralizzati. Questa, di fatto, è una deresponsabilizzazione oggettiva». Il portavoce del ministro Passera, Stefano Porro, ci spiega che non c'è una decentralizzazione delle vertenze, ma una valorizzazione delle autonomie locali.

Non si toccano i poteri forti. Un'altra aspettativa delusa dal ministro tecnico è stata il rapporto con gli ex monopoli di stato. Ci spiega Rino Barca, dell'Alcoa: «Anche con Passera il tema dell'energia non si è mai toccato, non ha toccato l'Enel». Facciamo un salto indietro. La multinazionale americana Alcoa vuole andare via dalla Sardegna, dopo anni di finanziamenti pubblici, e il rischio è che circa 3.000 persone (con Eurallumina e indotto compresi) perderanno il lavoro in quella che è la provincia più povera d'Italia. Il mercato dell'acciaio va bene, Alcoa produce solo il 12 per cento del fabbisogno nazionale. Ma le tariffe energetiche in Italia sono troppo alte, e in Sardegna raggiungono cifre record. Per questo, anno dopo anno, ogni governo cerca una soluzione "tampone" fornendo finanziamenti pubblici ad Alcoa che sistematicamente l'Unione Europea boccia come "aiuti di stato" illegali. Il problema dell'energia, però, esiste, e i lavoratori chiedono di equiparare una situazione svantaggiata: «Ogni volta ci propongono delle soluzioni tampone, che durano poco», continua il sindacalista. «Noi avevamo proposto dei contratti bilaterali con l'Enel, sul modello di Portovesme, quando l'alluminio va su sale anche il kilowatt/ora, e viceversa».

Dice ancora Barca dell'Alcoa: «Ci deve guardare in faccia il ministro, e dirci come stanno le cose». E' quello che chiedono tanti lavoratori, che, dopo nove mesi, questo nuovo ministro non l'hanno ancora visto.

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