Malati disperati chiedono una terapia la cui efficacia non è dimostrata. I giudici danno loro ragione. E monta la confusione
I genitori di Celeste Carrer hanno vinto la loro battaglia: la bambina, affetta da atrofia muscolare spinale, è in pericolo di vita; e quindi deve essere curata. Lo ha stabilito il giudice di Venezia il 20 agosto. E il 24 la piccola paziente ha ricevuto la terapia di cellule staminali che sembra giovarle e che da quattro mesi è al centro di uno scontro scientifico-giudiziario che vede le autorità sanitarie opporsi agli Spedali Riuniti di Brescia e alla Stamina Foundation, titolare della controversa cura: alcuni malati la chiedono come un salvavita ma non c'è nessuna sperimentazione che ne dimostri efficacia e innocuità.
Ma la partita è più che aperta perché il pronunciamento della corte veneziana riguarda solo e soltanto Celeste, non ripristina la regolare somministrazione della terapia ai malati, interrotta quattro mesi fa dall'Agenzia italiana del farmaco. E la decisione dirimente è attesa per il 4 settembre, quando il Tar di Brescia si pronuncerà su un ricorso contro l'Aifa avanzato da alcuni pazienti in cura con le staminali della discordia. Ed è inutile dire che i primi a premere sui giudici di Brescia sono le oltre cinquecento persone con gravi malattie neurodegenerative che attendono di essere curate.
«Mia moglie è ammalata di Sla e fino a pochi mesi fa peggiorava ogni giorno», racconta Gianluigi Pizzuti di Roma: «Dopo le prime iniezioni ha smesso di tossire mangiando, la malattia è rallentata e non c'è stato alcun effetto collaterale. Saremmo andati anche in Cina o in Thailandia con costi altissimi, ma a Brescia ci hanno dato fiducia pur non promettendo miracoli». Altri pazienti, spesso bambini, hanno vissuto storie simili. Smeralda, in coma per asfissia da parto, dopo le iniezioni ha iniziato a respirare in modo autonomo. Daniele, con la malattia rara di Niemann Pick, è migliorato nei movimenti e potrebbe smettere di nutrirsi con il sondino nasogastrico.
Veri progressi o casi fortuiti? Il nocciolo della questione è proprio questo: gli effetti della terapia sono visibili, nel breve periodo, ma non sono avvalorati dai risultati di una sperimentazione clinica. E l'Aifa (l'agenzia che regola i farmaci), dopo un sopralluogo nei laboratori dove venivano lavorate le cellule, ha disposto la sospensione immediata delle cure.
Mettendo i sigilli a una vicenda che dura da anni. Tutto inizia nel 2001 quando Davide Vannoni, psicologo e professore all'università di Udine, colpito da un'infezione di herpes zoster che gli paralizza parte della faccia, parte per un viaggio della speranza in Russia per sottoporsi a una terapia con le cellule staminali. Vannoni racconta di aver recuperato la lacrimazione e il movimento dei muscoli del viso. E decide, con biologi russi e italiani, di creare a Torino la Stamina Foundation per trattare malati di ogni genere con la cura russa. Nel dicembre 2007 arriva, però, il primo stop: l'Italia recepisce la normativa europea che assimila le staminali ai farmaci, e quindi la procedura deve essere autorizzata come ogni altro farmaco. La Stamina allora si trasferisce a San Marino dove le leggi europee non arrivano ma i pazienti sì: 65 le persone trattate tra il 2007 e il 2009. Il costo è di 15 mila euro per la lavorazione delle cellule a cui si aggiungono le parcelle dei medici. I controlli non si fanno attendere e a San Marino arriva la richiesta di rogatoria internazionale del pm torinese Antonio Guariniello.
Fin qui quella di Vannoni è una storia a dir poco discutibile e forse potrebbe riguardare solo la magistratura. Ma un giorno nei laboratori della Stamina si presenta Marino Andolina, responsabile dei trapianti di midollo all'Irccs Burlo Garofolo di Trieste, con un bambino in fin di vita che, dopo il trattamento con le staminali, non solo non muore ma recupera moltissimo. «Mi occupavo di staminali dagli anni '90», riferisce il medico: «Ho capito che mi trovavo di fronte a un metodo assolutamente diverso. Per questo ho proposto a Vannoni di venire a Trieste, con l'accordo del mio ospedale». Andolina definisce questa nuova fase «eroica e confusa» per i risultati che si ottengono e che portano nella cittadina friulana decine di pazienti da tutt'Italia a curarsi gratis in un ospedale pubblico, secondo le regole della legge che autorizza l'impiego di metodi non sperimentati in particolari situazioni e quando non esistono altre opzioni.
La nuova battuta d'arresto arriva, però, nel novembre 2009: i Nas di Torino, inviati sempre da Guariniello, sbarcano a Trieste, ipotizzano la truffa, la pericolosità delle terapie e bloccano l'attività.
Vannoni e Andolina non si arrendono e avviano le pratiche con l'Aifa e il ministero della Salute per una sperimentazione clinica. Che tuttavia non partirà mai. E cionondimeno nel settembre 2011 gli Spedali riuniti di Brescia firmano un accordo con la Stamina: le cellule saranno trattate nel laboratorio di uno dei centri migliori d'Italia, con un'ampia e consolidata esperienza nei trapianti di midollo. Il comitato etico dell'ospedale dà parere positivo e, di volta in volta, autorizza i trattamenti. Sembra tutto in regola, ma dura poco: nel giro di sei mesi i Nas di Torino bussano nuovamente alla porta, questa volta accompagnati dai consulenti dell'Aifa che, dopo due giorni di ispezioni, emettono un giudizio durissimo in base al quale il direttore generale, Luca Pani, emana un'ordinanza (la prima e unica del 2012) che vieta «prelievi, trasporti, manipolazioni, colture e stoccaggi e somministrazione di cellule umane».
Le motivazioni sono pesanti: «Il laboratorio è assolutamente inadeguato dal punto di vista strutturale e per le cattive condizioni di igiene e pulizia; non è disponibile alcun protocollo di lavorazione delle cellule trattate dalla Stamina; non vi è la caratterizzazione delle cellule; non è disponibile alcun certificato di analisi; i medici non risultano essere a conoscenza della vera natura del materiale biologico somministrato; le cartelle cliniche non descrivono chiaramente il trattamento». La procura di Torino indaga Vannoni con altri dieci medici per associazione a delinquere e i pazienti restano senza terapie.
Come è possibile che una situazione così grave si sia verificata in una struttura di eccellenza del servizio pubblico? E poi: se le condizioni del laboratorio erano «assolutamente inadeguate», perché non è stato chiuso del tutto, mentre sono state sospese solo le attività della Stamina? Marino Andolina non ha dubbi: «È stata un'azione premeditata. Qui ci sono grandi interessi in ballo, anche economici». Ci sono sempre in medicina. E anche per questo c'è una regola alla quale non si deve né si può sfuggire: fino a quando non c'è una sperimentazione, i risultati di una terapia non sono considerati attendibili.
«La sperimentazione va fatta», concordano Vannoni e Andolina: «Ma ci vogliono anni. E nel frattempo? L'unico modo per dare un'opportunità concreta ai malati è agire con le regole per le cure compassionevoli che non prevedono sperimentazione». Oppure fare intervenire i giudici. E dopo la sentenza di Venezia, saranno molti a chiedere la compassionione accordata a Celeste. In un crescendo di eccezioni che certo non giova ai malati.