Italia, dicembre 2013: li ricorderemo come i giorni dell’attacco alla Rete. Colpita e affondata? Si vedrà, ma la coincidenza è davvero curiosa: nell’arco di poche giornate abbiamo avuto, in varie sedi istituzionali, una sfilza di azioni che rischiano di rivoluzionare la vita del web.
Spiccano tre provvedimenti:
1. La delibera Agcom (Autorità garante delle comunicazioni) sul copyright approvata la settimana scorsa;
2. La Web Tax presente - come emendamento approvato - nella Legge di Stabilità che è in discussione in Parlamento;
3. La norma per il sostegno all’editoria che vuole far pagare per qualsiasi utilizzo di prodotti giornalistici (è inclusa nel disegno di legge correlato alla Stabilità e approvato la scorsa settimana).
Dei singoli provvedimenti si è detto tanto, dentro e fuori la Rete. Vale la pena però analizzarli assieme, poiché mostrano forti analogie e un'inedita dirompenza nell'impatto su internet. Ci sono due aspetti in comune.
Primo: affrontano alcuni dei massimi problemi, non solo italiani, coevi con la nascita della rete. La pirateria, la crisi dell’editoria, il potere sovranazionale di nuovi giganti economici digitali. Per dirla con lo humor di Ernesto Belisario, avvocato tra i massimi esperti di internet, «è una cosa curiosa che in Italia avviene di tanto in tanto: a volte capita che qualche politico si svegli e pensi di avere l’arma finale per risolvere un annoso problema connesso alla rete; la soluzione che chissà perché a nessuno, nel mondo, era mai venuta in mente prima…».
Secondo: le tre misure adottano una soluzione che pone l’Italia in uno stato d’eccezione, in Europa. Nessun altro Paese comunitario (e forse persino nessun Paese occidentale democratico) ha mai pensato di affidare a un’autorità amministrativa, senza passare dal Parlamento, il potere di rimuovere contenuti dal web o di oscurare i siti (delibera Agcom); di imporre ad aziende internazionali di pagare le tasse del Paese in cui offrono servizi; di far pagare ogni qualsiasi e vago utilizzo di prodotti giornalistici, includendovi anche la semplice presenza in un motore di ricerca o la citazione di poche righe di un articolo.
Come si vede, le grandi piattaforme web sono i soggetti che vengono colpiti da tutte e tre le misure (direttamente dalle ultime due, ma in realtà potranno avere grattacapi anche dalla delibera Agcom). La questione del diritto d’autore rientra invece in due delle tre misure.
Basterebbe aver messo in luce queste analogie per capire lo spirito comune: cercare di normalizzare le particolarità di internet adattandole ai rapporti di forza che l’hanno preceduta.
Resta da capire se l’eccezionalità delle tre misure le renda illegittime, nei confronti del diritto europeo (nel caso della web tax) o costituzionale (per le altre due).
Delibera copyright
Cosa dice. La delibera sul copyright è il solo provvedimento davvero definitivo. È stato emanato da Agcom e la sua efficacia scatta a marzo 2014. L’Autorità Garante delle Comunicazioni riceve segnalazioni (su siti o contenuti pirata online) da parte dei detentori di diritto d’autore e le girerà ai soggetti responsabili, che potranno scegliere di rimuovere spontaneamente le opere in questione. Se non c’è la rimozione spontanea, Agcom avvierà un dibattimento con i provider. Poi deciderà se ordinare agli hosting provider di rimuovere il contenuto dal proprio server o ai provider internet di oscurare il sito. La procedura durerà 35 giorni e l’ordine andrà eseguito in cinque giorni (i tempi scendono a dodici e tre giorni nei casi più gravi e urgenti). I provider rischiano fino a 250 mila euro se non ubbidiscono. Si noti che la procedura ha un impatto notevole sulla natura stessa della rete perché considera “pirata”- e quindi attacca con questa procedura - anche un semplice link a un file protetto da diritto d’autore. Già la magistratura italiana ha adottato numerosi sequestri preventivi di siti web per la presenza di link, con la motivazione che comunque si trattava di facilitazione alla pirateria. La novità di questa delibera è che ora anche Agcom può svolgere funzioni prima prerogative della magistratura.
Le critiche. Nei mesi scorsi, molti esperti hanno avanzato il dubbio che si tratti di una misura anticostituzionale o comunque lesiva dei diritti umani: il giurista Stefano Rodotà, il presidente della Camera Laura Boldrini, l'esperto Onu per i dirittti umani Frank La Rue. Il motivo è che decidere se rimuovere o no un’opera, un link e a maggior ragione oscurare un sito ha a che fare non solo con il diritto d’autore ma anche con diritti fondamentali come la libertà di espressione e di accesso alle informazioni. Per la nostra costituzione solo la magistratura può limitare queste libertà perché solo in quell’ambito è possibile garantire al presunto colpevole le garanzie democratiche necessarie.
Possibili evoluzioni. Ad oggi è probabile che la delibera venga impugnata al Tar del Lazio da parte di provider, piattaforme web come Google, associazioni dei consumatori, ed eventualmente portata alla Corte di Giustizia europea.
Web tax
Cosa dice. E' partita come proposta di Francesco Boccia (Pd) e in seguito è stata approvata come emendamento, a firma di Edoardo Fanucci (Pd) alla Legge di Stabilità. Impone l’obbligo di possedere una partita Iva italiana a tutte le società che acquistano e vendono, nel nostro Paese, pubblicità e servizi o prodotti del commercio elettronico. Obbliga inoltre a rendere tracciabili i servizi pubblicitari online. È pensata come un rimedio a un’annosa questione: le multinazionali del web pagano ai principali Paesi europei una quota di tasse molto bassa rispetto ai fatturati generati sugli utenti. Sfruttano il fatto di avere una sede in Paesi europei (Irlanda o Lussemburgo) dove la tassazione è molto bassa. Di fatto, Facebook ha pagato nel 2012 appena 192 mila euro di tasse in Italia e Google 1,8 milioni; Amazon 952 mila euro.
Le critiche. Numerosissime e anche all’interno dello stesso Pd (da Matteo Renzi, tra gli altri). Il giornale Forbes ha notato che la norma viola il diritto comunitario sulla libera circolazione di beni e servizi nel mercato unico e quindi esporrebbe l’Italia a una procedura d’infrazione. Anche se venisse approvata, inoltre, non è detto che darebbe benefici economici al Paese. I big potrebbero chiudere le porte all’Italia, quindi verremmo tagliati fuori dal mercato pubblicitario internazionale e perderemmo investitori stranieri; le aziende italiane che vendono all’estero i propri prodotti potrebbero inoltre subire lo stesso trattamento dagli altri Paesi, con grave danno per l’export.
Possibili evoluzioni. Il testo della Legge di Stabilità deve ancora completare l’iter parlamentare alla Camera e poi con ogni probabilità tornare al Senato, dove potrebbe essere posta la fiducia. L’emendamento web tax potrebbe quindi ancora essere stralciato.
Misure a sostegno dell’editoria pro diritto d’autore
Cosa dice. Qualunque sito o soggetto che utilizzi, in qualsiasi modo, prodotti dell’attività giornalista dovrà pagare un compenso agli aventi diritto. Lo stabilisce una norma contenuta del disegno di legge correlato alla Legge di Stabilità e varato dal Consiglio dei Ministri il 13 dicembre. Ha il valore di un terremoto per l’economia del web, soprattutto nei confronti delle grandi piattaforme come Google. L’articolo (il quinto, “Misure per lo sviluppo del comparto editoriale”) ha infatti termini molto ampi. È sufficiente che il prodotto sia giornalistico e abbia la dicitura “diritti riservati” perché ogni suo utilizzo debba passare da un accordo tra l’utilizzatore e gli aventi diritto. “In mancanza di accordo sulle condizioni economiche dell’utilizzazione, dette condizioni sono definite dall’Autorità per le garanzie di comunicazioni, su istanza della parte interessata”.?Si parla di utilizzo, anche parziale, “in ogni modo e forma”: quindi la citazione di alcune frasi di un articolo, la sua indicizzazione (ossia possibilità di ricercarlo) in un motore di ricerca, la sua aggregazione (come per esempio avviene in Google News) o la pubblicazione di un video su Youtube.
Le critiche. Non c’è stato ancora abbastanza tempo per l’affastellarsi di critiche, ma spicca già quella dell’avvocato Guido Scorza. Parla di norma “palesemente incostituzionale giacché – sul piano del diritto d’autore – non esiste e non può esistere, naturalmente, alcuna differenza tra la qualità e quantità dei diritti riconosciuti su i prodotti dell’attività giornalistica e la qualità e quantità dei diritti riconosciuti su qualsiasi altro contenuto informativo in senso lato”. A parte questo, ci sono numerose ricadute possibili. Viene inficiato il diritto (tutelato finora dalla normativa) di utilizzo, a scopo di commento, di critica e didattico, di prodotti dell’attività giornalistica: articoli, foto, video. Non sarà più possibile citare un articolo per far circolare informazioni o riportare una foto per commentare un evento. La norma infatti non prevede nessuna esclusione; non fa differenza che l’utilizzo sia o non sia a scopo di lucro o che abbia fini didattici, di commento. Infine, è possibile che i motori di ricerca preferiscano smettere di indicizzare prodotti di editori italiani piuttosto che pagare, con prevedibili danni a tutto l’ecosistema.
Possibili sviluppi. In quanto disegno di legge, la norma non è immediatamente esecutiva e dovrà passare dal Parlamento, dove saranno possibili numerosi e anche sostanziali ritocchi del testo.