Il nemico prossimo venturo dell’Occidente è un “black runner”, un lupo solitario in grado di utilizzare i new media e scatenare il panico nelle comunità. Dopo aver studiato le ultime mosse del jihadismo globale, molto attento a “promuovere” sul web le proprie azioni, le agenzie di intelligence occidentali temono che la frontiera del virus Ebola rischi di essere scavalcata e utilizzata, se non come strumento di morte, almeno come mezzo per diffondere la paura.
Secondo gli analisti dei servizi segreti internazionali, l’Isis avrebbe intenzione di lanciare una campagna web basata sulla diffusione di filmati che mostrano i combattenti islamici inocularsi sangue infetto per poi farsi riprendere nelle città occidentali, in luoghi ad alta densità di pubblico: dai centri commerciali, ai musei, agli stadi sportivi.
I combattenti islamici starebbero progettando di trasformarsi in kamikaze virali. La tecnica degli untori del terzo millennio, se da un lato ha basse possibilità di attecchire come canale di diffusione dell’epidemia Ebola, rischia di avere un effetto deflagrante nell’immaginario collettivo. Anche per questa ragione, la settimana scorsa, i governi europei hanno diffuso una circolare operativa sulle procedure da attivare per contrastare l’eventuale diffondersi della malattia. Anche il Ministero della Salute italiano è corso ai ripari in questa direzione, con un documento di 21 pagine, classificato con oggetto “Malattia da virus Ebola, Protocollo centrale per la gestione dei casi e dei contatti sul territorio nazionale”.
Le possibili strategie d’attacco dell’Isis sono state svelate in anticipo grazie alla collaborazione con le agenzie sanitarie internazionali che da oltre un anno lavorano in Africa per contrastare l’epidemia di Ebola.
Il primo contatto tra jihadisti legati al Califfato islamico e la rete sanitaria risale a un mese fa, quando in Sierra Leone è stato attaccato un presidio sanitario. I medici tenuti in ostaggio per qualche ora sono stati sottoposti a un vero e proprio interrogatorio sul virus, sulle modalità di contagio e sulla possibilità di utilizzare sangue infetto per trasformarsi in bombe umane batteriologiche.
Da oltre nove mesi si stanno raccogliendo le prove di come la rete jihadista stia cercando di “entrare in contatto” con il virus, definito dalle organizzazioni sanitarie mondiali una minaccia globale. Il punto debole sembrano essere i campi di addestramento dell’Isis in Africa dove, secondo gli analisti dell’intelligence, “è altamente possibile che combattenti siano stati in contatto con la malattia".
Le prime prove del tentativo di scatenare una guerra santa “sanitaria” sono state raccolte a gennaio di quest’anno, nel corso di un raid a Iblid - al confine tra Siria e Turchia - contro un “hot spot” dei jihadisti. Nel covo è stato rinvenuto un computer portatile, appartenente a uno dei quasi tremila combattenti giunti in Siria dalla Tunisia, pieno zeppo di migliaia di file, che vanno dalla predicazione ideologica, alle tecniche di guerriglia e travestimento, per arrivare sino ai manuali sulla fabbricazione di bombe e armi biologiche.
Non è l’unica traccia: ad agosto, durante l’ennesimo raid contro gli uomini del califfato, è stato ritrovato un altro computer abbandonato dai combattenti islamici con files dedicati alla realizzazioni di armi biologiche e studi dettagliati sul virus della peste bubbonica.