Un altro Davide a tredici anni faceva la vita da nababbo. Grazie al posto fisso offerto dal Sistema. Era infatti un soldato al servizio dei boss di Scampia. Per conto loro gestiva una piazza di spaccio. «Racimolavo fino a 900 mila lire al giorno. A sedici anni avevo comprato una moto da 11 milioni che per legge non potevo nemmeno guidare. Subivamo il fascino dei capi clan. Ancora oggi è così. C’è un esercito pronto ad arruolarsi, sedotto da padrini in carne e ossa e da quelli delle fiction e dei film».
Davide Cerullo adesso ha quasi quarant’anni e ha chiuso con la camorra quando ne aveva ventitré. Dopo una parentesi in Emilia Romagna, dove ha ricominciato da zero, è tornato nel quartiere di Gomorra. Tra le Vele corrose dal degrado e una rete di associazioni che, con tanta fatica, stanno cambiando il volto di quella
che era la più grande piazza di spaccio in Europa.
Con la sua onlus Centro Insieme accoglie bambini in difficoltà. Giovanissimi che rischiano di diventare carne da macello. «Il camorrista di oggi è quello che non è mai stato bambino», osserva. Soldi facili, moto, gioielli, vestiti griffati, a questo aspirano i “guaglioncelli”. «La camorra ti concede come favore ciò che lo Stato dovrebbe garantire come diritto, così diventa datore di lavoro, santo protettore da venerare. Quando ero nel Sistema avevo tutto, non mi interessava altro.
Tra di noi ci incoraggiavamo con un motto: “si campa ’na vota sola, e bisogna camparla bona”». Ha scritto pure un libro, Davide: “Ali bruciate”, pubblicato nel 2009, è alla quarta edizione. Racconta di quando era una pedina, illusa dalle promesse dei sovrani del quartiere. «Tutto questo un giorno sarà tuo», gli ripetevano. Cerullo si è liberato da quelle catene. E mostra ai giovani di Scampia l’alternativa. Cerca di spiegargli che la malavita non ti lascia niente, se non il lezzo della morte addosso. «L’altro giorno un ragazzo mi ha confessato orgoglioso che era “nu buono”, cioè un camorrista.
Allora gli ho risposto che per recitare quel ruolo non ci vogliono le palle ma bisogna essere coglioni. Probabilmente mai nessuno gli ha spiegato che esistono altre strade. Ci vogliono però le alternative. La mancanza di lavoro è umiliante. E porta gli esclusi a bussare alle porte del clan».