«Noi italiani siamo molto bravi a fare le cose all’ultimo momento. Il problema è che questa volta l’ultimo non è il momento giusto». Philippe Daverio non vuole passare per «l’inutile brontolone». Ma non possiamo, dice, non ammettere che «malgrado tutto abbiamo toppato», perché al di là di quanti visitatori arriveranno per la Fiera Universale, questi incerti e litigiosi mesi pre-Expo sono «la prova di una profonda crisi nazionale, di un’identità persa, che non riesce a raccontarsi».
Daverio, una diagnosi dura. Da cosa nasce?
«Dal fatto che al momento, apparentemente, non c’è in campo niente di straordinario dal punto di vista culturale»
Cosa dovrebbe esserci?
«Una proposta. La capacità di comunicare il nostro patrimonio. Un sito web multilingue, ad esempio, che raccontasse cosa si trova a dieci minuti, un’ora, mezza giornata da Milano. Penso a gioielli come il museo di Brescia, l’armeria Reale di Torino, il battistero di Parma, Mantova, le mura di Verona...»
Non è stato fatto?
«Ma che, tutto tace. E questo riguarda anche gli appuntamenti dell’arte: non pervenuti. Poi può darsi io sia disinformato, ma al momento la comunicazione di un Expo culturale non è permeata»
Di chi è colpa?
«Non di Expo s.p.a, che sta portando avanti il cantiere. Quanto piuttosto delle istituzioni, che sembrano essersi dimenticate della scadenza. Forse pensano che dopo Expo 2015 arriverà l’Expo 2015 bis»
Quali istituzioni?
«Principalmente il ministero dei Beni Culturali. Cosa ha fatto? Forse sta preparando qualcosa per l’Expo del 3015, che sarà stupendo, ma per questo? Il nostro sistema museale s’è mosso forse?»
I Bronzi di Riace a Milano avrebbero cambiato qualcosa?
«Quella ormai è una partita chiusa. Ma è significativa: portare i Bronzi all’Expo sarebbe stato molto importante per Reggio Calabria. Dobbiamo ricordare che i visitatori saranno per la maggioranza italiani, non cinesi. Persone quindi che magari, scoprendo i Bronzi in una sala con 100 fotografie sulle meraviglie del museo archeologico e del paesaggio calabrese, si sarebbero convinte ad andare. Cosa che non accadrà»
Quella proposta ha scatenato proteste, come sta accadendo ora per il Caravaggio di Napoli che la Caritas vorrebbe nel suo padiglione, contribuendo in cambio a un istituto per malati terminali. Le associazioni dicono: “Le bellezze del Sud devono essere valorizzate al Sud”. Non hanno ragione?
«Sicuramente. Infatti dimostrano quanto sia del tutto mancato un impulso collettivo a questo evento, la cui partecipazione avrebbe dovuto essere nazionale. Invece no: la Nazione è scomparsa. E ragionando per tribù ognuno ha ragione a trattenere per sé il suo patrimonio. Ma su Expo è l’Italia all’unanimità a perdere un’occasione»
In periodo di crisi però i grandi eventi non riscuotono certo favori.
«Forse, ma il segnale era già arrivato con il 150° dello Stato. Anniversario importante, passato nell’indifferenza generale al di fuori di Torino. Sono elementi che ci dovrebbero far riflettere. Se Expo lascerà un’eredità sarà questa domanda: perché la comunità nazionale non ci ha creduto? Perché l’Italia non si è desta? Perché non siamo stati capaci di fare di Expo la miccia di un nostro, necessario, “new deal”?»