Da lunedì New Delhi ospita il grande summit cui parteciperanno capi di Stato, leader e rappresentanti di 54 Paesi. Un'occasione per cercare di migliorare i rapporti economici e gli scambi commerciali. Ma anche per favorire la solidarietà e l'incontro tra culture diverse

La bandiera indiana
Tutti insieme 40 capi di Stato a New Delhi non si vedevano dal 1983, quando Indira Gandhi ospitò i leader dei Non allineati. Da lunedì, per il Vertice India-Africa, nella megalopoli asiatica sfrecciano cento limousine e le suite degli alberghi a cinque stelle sono esaurite. Narendra Modi, primo ministro nazionalista che guarda al mondo, ha accolto tutti a braccia aperte. Nessuna discriminazione, da buon padrone di casa e nel rispetto del principio di non ingerenza.

Accanto al senegalese Macky Sall e al nigeriano Muhammadu Buhari ci sono ospiti controversi: da Robert Mugabe dello Zimbabwe, sottoposto a sanzioni europee e statunitensi per l’accusa di violare i diritti umani, a Omar Al Bashir del Sudan, inseguito da un mandato di cattura della Corte penale internazionale per le stragi in Darfur.

“È un appuntamento senza precedenti” sottolinea Raja Mohan, analista di politica estera presso la Observer Research Foundation di New Delhi: “Cresciamo più della Cina e puntiamo sul continente che in prospettiva crescerà di più, demograficamente ed economicamente”. Che sia davvero così lo si capisce facendo i conti. Nelle prime due edizioni del Vertice, nel 2008 e nel 2011, i presidenti ospiti erano stati “solo” 14 e poi 11 anche a causa della scelta di New Delhi di puntare sui rapporti con l’Unione Africana e non anche con i singoli Stati membri dell’organismo. Questa settimana, invece, nella capitale indiana sono rappresentati tutti e 54 i paesi del continente.

Legami politici rafforzati dalla cooperazione economica. In meno di dieci anni il valore degli scambi dell’India con l’Africa è triplicato, superando i 72 miliardi di dollari. Come nel caso della Cina, che a quota 210 miliardi resta il primo partner commerciale del continente, il traino sono le importazioni asiatiche di materie prime. L’India ha superato gli Stati Uniti come principale acquirente di petrolio nigeriano e pompa greggio perfino in Sud Sudan, nonostante la guerra civile. Ma non c’è solo il barile. Le società del subcontinente, non controllate dallo Stato come quelle cinesi, hanno investito oltre 50 miliardi di dollari in settori diversissimi tra loro: Tata privilegia automobili e siderurgia, Ranbaxy punta sui farmaci generici; Bharti Airtel si concentra sulle telecomunicazioni, Mahindra e Kirloskar producono macchinari agricoli.

“Non possiamo competere con i cinesi in termini di risorse ma almeno agli africani offriamo un’alternativa” sottolinea Mohan. Riprendendo un tema, quello della rivalità con Pechino, che a poche settimane dal Sesto forum di cooperazione sino-africano in programma a dicembre i funzionari di New Delhi affrontano senza reticenze. Chi sottolineando come quest’anno l’India stia crescendo più della Cina (+7,5%), chi celebrando un’asserita capacità di tenere in conto i “bisogni dell’Africa”.

Quelle della solidarietà e perfino delle affinità culturali sono carte importanti da giocare. Lo confermano i festival afro-indiani organizzati in questi giorni a New Delhi. O le stesse citazioni di Modi, che ricorda la Via della seta, i mercanti di spezie nel Regno di Axum o i velieri nel Mare di Oman “che è sempre stato un ponte tra le nostre due civiltà”. Legami antichi o più recenti, ormai parte della storia. Il Mahatma Gandhi che nei suoi anni di formazione sudafricani prefigurava scambi “di idee e servizi” e non già “di beni di consumo e materie prime”. O Jawaharlal Nehru, primo capo di governo indiano a recarsi in Africa precedendo di tre anni, nel nome della solidarietà anti-colonialista, l’omologo cinese Zhou Enlai.

Ma adesso New Delhi guarda avanti. Al Vertice potrebbe annunciare prestiti a tasso agevolato per 15 miliardi di dollari, che si aggiungerebbero agli oltre sette già erogati a partire dal 2008. In gioco c’è anche il sostegno degli africani a una della battaglie di Modi, nazionalista e a suo modo internazionalista: un seggio per l’India al Consiglio di sicurezza dell’Onu, “che deve riflettere finalmente le realtà di oggi”.