
Marinetti era uomo di geniale talento propagandistico e organizzò di propria iniziativa un viaggio in Russia: dal 26 gennaio al 17 febbraio ’14, tenne conferenze a Mosca e Pietroburgo per diffondere il proprio verbo. Incontrò letterati e artisti e non solo quelli che si qualificavano futuristi, ma che - a confronto diretto col fondatore - presero le distanze per affermare una propria originale identità. Intanto era stato tradotto “Il manifesto tecnico dei pittori futuristi” di Boccioni, l’anno seguente, nel ’15, si tenne la prima mostra futurista a Pietroburgo cui seguì “L’ultima mostra della pittura futurista. Zero-Dieci” che si tenne fino al gennaio del ’16. Furono esposte 154 opere di quaranta artisti: di qui muove la mostra “In Search of 0-10. The last Futurist exibition of Painting”, a cura di Matthew Drutt, alla Fondazione Beyeler, Basilea (fino al 12 gennaio).
[[ge:rep-locali:espresso:285170779]]Una mostra ricchissima con opere che provengono non solo dalla Russia ma da tutto il mondo. George Costakis, amateur e diplomatico di origine greca nel corso della vita a Mosca andò alla ricerca di opere e di artisti negletti o perseguitati da Stalin.
Dalla sua collezione (1.277 pezzi) - parte fondante del Museo di arte contemporanea di Salonicco creato dal governo greco nel 2000 - provengono alcune opere. Il titolo della mostra si deve a Malevic e allude a una precedente mostra con lo stesso titolo con l’aggiunta di “Tram V”: si fanno scoperte impreviste e si capisce quanto fossero contigue le ricerche che si conducevano a Mosca e a Pietroburgo da un lato, a Parigi e a Milano dall’altro.
Ma fu lo stesso Malevic, per segnare le distanze, a fondare il gruppo dei Suprematisti a cui aderirono Kliun, Minkov, Pastel, Popova, Puni, Rozanova e Udalstova e altri: è significativo che le donne hanno una rilevante presenza. Non v’è dubbio che Malevic, fin dal ’15 con il suo movimento, dà una spallata formidabile ai pittori europei, vanificando ogni riferimento realistico: “Nera croce”, “Piano in rotazione”, “Bianco e nero”, “Piazza rossa”, “Quattro strade”, “Nero rettangolo” e “Blu triangolo”, fino all’“Autoritratto in due dimensioni”, “Gioco del pallone”, altre con il solo titolo “Suprematismo” seguito da un numero ci dicono quale rivoluzione fu nell’arte occidentale la sua opera. Si passa da nero su bianco a sagome geometriche con colori vivacissimi: giallo, rosso, blu, verde, nero sempre su fondo bianco. Opere tutte del 1915.
Assai più timido il distacco da Parigi di Altman che rende omaggio con “Brocca e pomodori”(1912) a Cézanne; così come Maria Vasilyeva nei suoi paesaggi (1915) è presa da Braque e Picasso; per Kamensky la sponda è quella attardata dello Jugendstil. Ivan Kliun, con paesaggi scomposti secondo la logica cubista, e con “Ozonator” (1914) è quello che più s’accosta a Balla e Boccioni per l’immissione del tema della velocità.
Nell’Autoritratto torna prepotente l’ombra di Picasso. Molto originale la scultura del “Musicista”(1916), un manichino in legno e ferro che si snoda (non è in mostra): il “Violino” (1915) con pentagramma ritorna nella tela di Minkov. Vera Pestel sembra nella “Donna con libro” (1915) che abbia visto il Soffici parigino.
Ljubov Popova è una grande pittrice e qui con le sue tele ha il posto che le spetta: ha digerito cubisti e futuristi con un’audacia che affascina. I ritratti sono assai belli e in “Ritratto futurista” (1915) introduce la scritta a caratteri scatolari “cubo futurismo”: nel “Ritratto del filosofo” (ancora Braque, Picasso, Gris) si vede bene che è stata a Parigi dal 1912 al ’13, poi in Italia: la sua dimestichezza con cubismo e futurismo consente di dire che lei è un’autentica artista cubofuturista.
Per affinità elettiva un’altra donna, Olga Rozanova, è di un’allegria cromatica seducente e le sue tele sono sempre ingombre di oggetti ben riconoscibili: il metro, il calamaio, i libri, fogli di carta, il metronomo, un tavolo pronto per la colazione e un altro per cucire con rocchetti di filo e forbici. Olga esprime la sua femminilità senza inibizioni. Simmetrica la ricerca di Nadezhda Udalstova: anche lei approda a Parigi e segue i corsi alla Galerie de la Palette di Jean Metzinger e le sue tele sono inequivocabilmente franco-russe: “Al piano” (1915), con la scritta Bach in alto, ci fa intendere quanto intensa fu la comunione con la compagine cubista.
Ivan Puni nasce in una famiglia di musicisti italiani, frequenta l’Accademia di Pietroburgo, esordisce con tele realiste: poi il soggiorno nella Ville Lumière dal ’10 al ’12. Rientrato a Pietroburgo entra in contatto col Malevic, con Majakovskij e con lo scrittore futurista David Burliuk, due anni dopo torna a Parigi: è un generoso animatore di iniziative, ed è tra i partecipanti della mostra del ’15. La sua tela s’accende di colori squillanti e fa largo uso di scritte. L’incontro con Malevic è decisivo: figure geometriche su fondo blu, triangoli, sagome arcuate, strisce.
Anche lui usa come titolo “Suprematismo”. Ivan esce come Eva dalla costola dell’Adamo-Kazimir. “Sfera bianca” (1915) è un’opera originale: incassata nella cornice la superfice di legno è diagonalmente dipinta in nero e verde, sul verde una semisfera bianca. Mi vien di pensare al primo Lucio Fontana astratto. Le sue composizioni con inserimenti di legno, cartone, metallo sono tra le opere più belle in mostra e ci par giusto il largo spazio che a lui è dedicato nella rassegna.
Vladimir Tatlin è un artista fuori dalle righe delle classificazioni, geniale per le capacità inesauribili di sperimentatore: dopo aver frequentato la Scuola di pittura, scultura e architettura (una disciplina in cui lascia il segno), viaggia tra Grecia e Egitto: è musicista e nel ’14 a Berlino suona in un’orchestra folcloristica russa; di lì approda a Parigi dove conosce Picasso. Le sue composizioni astratte con ferro, legno, fili di acciaio si librano nell’aria e sfidano la legge di gravità.
Le stesse intenzionalità troviamo in tante opere che si vedono in foto essendo state disperse o distrutte. I suoi “Controrilievi” (1916) sono debitori del grande malagueño, ma non dimentichiamo che con Rodcenko è tra i fondatori del Costruttivismo russo: nel 1919 realizza quel capolavoro che è il monumento alla Terza Internazionale che non fu mai realizzato; una sorta di torre a spirale in traliccio metallico, alta 400 metri, sintesi di espressività simbolica in cui scultura e architettura sono miracolosamente fuse. Ma siamo su un’altra sponda della ricerca avviata con la mostra “0-10”. Dove 0 sta per grado zero e 10 il numero di artisti del primo gruppo.