L’arrivo di mister Umana a Ca’ Farsetti, il palazzo sul Canal Grande dove ha sede il Comune, è poco meno di un sacrilegio per una città amministrata dalla sinistra da 23 anni. Brugnaro è nato a Mirano, risiede a Mogliano Veneto, dunque non ha potuto nemmeno votarsi, e la scorsa settimana ha presentato una giunta dove non c’è un solo veneziano del centro storico. In compenso, ha ricevuto l’investitura del premier che ha detto: «A Venezia ho incontrato un signore che mi ha detto: sono l’unico renziano di questa città. Era Luigi Brugnaro». Oltre alle buone parole di Matteo, c’è stato il sostegno concreto di parte del Pd locale che certamente non vedeva di buon occhio Casson: dal sindaco uscente Giorgio Orsoni, dimessosi dopo gli arresti per l’inchiesta sul Mose, a Paolo Costa, ex sindaco a sua volta e poderoso presidente dell’autorità portuale.
Anche un altro ex sindaco, il filososofo ed editorialista de “l’Espresso” Massimo Cacciari ha espresso la sua opinione con tipico amore per l’eufemismo. Ha parlato di «interminabile catena di cazzate del centrosinistra», di «suicidio perfetto» e ha annunciato l’intenzione di cambiare residenza.
Nello sport si dice che chi vince festeggia, chi perde spiega. A sinistra, la vittoria di Brugnaro è dunque diventata l’occasione per dilaniarsi ancora un poco, per dirsi che Casson a Venezia è stato percepito come il vecchio, come l’uomo del partito del no al Mose, no alle grandi navi in laguna e, in breve, no ai soldi che sono il vero tsunami piombato su Venezia con 28 milioni di turisti dichiarati all’anno, 77 mila di media al giorno più 35 mila pendolari contro 56 mila residenti del centro storico. A Barcellona (1,5 milioni di abitanti) arrivano 27 milioni di turisti all’anno e il sindaco Ada Colau ha annunciato provvedimenti restrittivi.
Il vincitore Brugnaro invece ha festeggiato con una grande festa in piazza Ferretto a Mestre. Ha offerto di tasca sua spritz, prosecco e crostini di baccalà mantecato a una folla festante (1 milione di euro spesi in campagna elettorale contro i 70 mila di Casson). E si è abbandonato alla sua passione, il selfie. Ne ha fatti con Mara Venier e con il cameriere del ristorante cinese, con Michelle Obama e con il tassista, con Jovanotti e con il gondoliere.

Nei giorni successivi è andato a sloggiare di persona i punkabbestia dalla stazione ferroviaria, ha sequestrato dalle elementari tutti i testi che parlavano di teoria gender, più altri che non ne parlavano ma sono capitati nel mazzo. Ha mandato al diavolo l’alleato leghista Gian Angelo Bellati cestinando la scrittura privata con gli accordi di spartizione firmata prima delle elezioni. Come ulteriore ringraziamento ha nominato assessore alla sicurezza Giorgio D’Este, private eye lagunare con alle spalle il fallimento del suo Istituto di scienze criminologiche e criminalistiche applicate e appena 19 voti di preferenza.
Alla presidenza del consiglio comunale ha messo Ermelinda Damiano, praticante avvocato di 27 anni con un passato da miss e da hostess della Reyer Venezia, gloriosa squadra di basket comprata da Brugnaro nel 2006 e risollevata dalla serie B alla lotta per lo scudetto.
Nella distribuzione delle deleghe agli assessori, il sindaco si è tenuto la cultura, lo sport e il traffico acqueo. Ma poi ha aggiunto che, a ben guardare, anche le altre deleghe fanno capo a lui perché è lui che la gente ha votato.
Brugnaro è “faso tuto mì”, dilagante, padronale, emotivo. Nuovo, magari no. È un imprenditore di successo, ha preso una storica squadra in difficoltà e l’ha portata ai vertici della serie A, ha cinque figli da due mogli diverse, ama lanciare sulla scena politica donne avvenenti e ha promosso la sua candidatura con una brochure intitolata “Vi racconto qualcosa di me” che è un’autobiografia con foto dall’album di famiglia.
Ha anche qualche conflitto d’interessi che ha tentato di risolvere dimettendosi dalla guida della Reyer e forse, prossimamente, dall’Umana. Ha detto che da sindaco rinuncerà allo sviluppo immobiliare dell’area che ha comprato ai Pili, tra Mestre e Marghera. Ma il 7 maggio, in piena campagna elettorale, ha acquistato dalla Provincia a prezzo di saldo (1595,85 euro) una quota della Abate Zanetti, storica azienda e scuola vetraria. Il presidente della Provincia, in via di assorbimento nella città metropolitana, è Francesca Zaccariotto, neoassessore ai lavori pubblici di Brugnaro.
Qualcuno ad Arcore potrebbe chiedere i diritti d’autore tanto più che il neosindaco è stato convinto a scendere in campo da uno degli ultimi berlusconiani di ferro, il veneziano Renato Brunetta.
Di sostanziale tra Brugnaro e Silvio Berlusconi c’è una differenza di classe sociale. Il borghesissimo fondatore di Forza Italia si è contrabbandato come “presidente-operaio”. Il neosindaco non ha bisogno di travestimenti. È figlio di una maestra elementare e di Ferruccio Brugnaro, sindacalista iscritto alla Cisl e poeta proletario del petrolchimico che, a proposito di partito del no, una volta scrisse: «Non vogliamo maschere antigas/né a Porto Marghera né altrove/impacchettate tutte le vostre fabbriche/il vostro progresso./Non vogliamo la morte./Sono sempre stato da una parte sola./Non è vero, non è vero/ che sono contro tutto e tutti».
Il sindaco, che da uomo del popolo si firma Brugnaro Luigi, si è commosso quando ha ricordato i genitori durante la prima seduta di consiglio, giovedì 2 luglio. E si è commosso di nuovo quando ha chiesto scusa in anticipo ad amici e familiari con toni melodrammatici: «Potranno farvi del male, vi offenderanno, vi attaccheranno. Siate forti». Oltre ai parenti messi a rischio da un’improbabile faida, Brugnaro si è speso per difendere Costa dalla vile aggressione di Goletta Verde, che ha assegnato una bandiera nera all’autorità portuale. Fra il sindaco e il signore degli attracchi, bollato nell’intervento di Casson come “potere forte”, è stato amore a prima vista. Lo stop alle grandi navi da crociera, stabilito da una legge dello Stato (il decreto Clini-Passera), è stato a lungo inapplicato in laguna e il sindaco intende mandarlo definitivamente in soffitta.
«Si metta il cuore in pace il partito del no», ha proclamato Brugnaro mentre qualcuno in sala gridava “via i magistrati”. «La città ha deciso che le grandi navi arrivano alla Marittima attraverso il canale dei petroli e il Vittorio Emanuele. Non tollereremo insulti e arroganze».
Il tema degli insulti e delle arroganze è delicato per Brugnaro che durante i playoff di basket, dove la sua Reyer è stata eliminata da Reggio Emilia all’ultima sfida delle semifinali, ha subito una doppia sospensione «per comportamento protestatario durante la gara e perché al termine offendeva ripetutamente arbitri e squadra ospite negli spogliatoi».
Oltre alla razzia condotta nelle scuole contro i libri di fiabe per bambini dove “genitore 1” e “genitore 2” sostituiscono i vecchi mamma e papà, Brugnaro ha eliminato la Ztl a Mestre ma ha imposto la zona a traffico limitato in larga parte del palazzo comunale per tenere a distanza i cronisti. La motivazione è prettamente berlusconiana: «Non siamo qui per fare i giornali ma per lavorare».
Allo stesso tempo, il profeta del lavoro interinale, numero uno in Veneto e Lombardia con una quota del 5 percento del mercato nazionale del settore, ha annunciato che toglierà dall’androne della sede municipale «l’odioso orologio marcatempo» introdotto anche questo da una legge dello Stato e che farà il possibile per ricostituire il fondo per i premi variabili ai dipendenti comunali. Un po’ meno in evidenza ha messo la “razionalizzazione” dei 7 mila addetti delle società partecipate dal Comune.
Alla fine, l’impressione di nuovo che Brugnaro può dare è solo il risultato di un cocktail di elementi già sperimentati. C’è l’orgoglio di appartenenza tipicamente leghista con il sindaco che si presenta al debutto con un fermacravatte in merletto di Burano e un leone di vetro di Murano presentato in dialetto («xé massa forte el leòn»). C’è l’avvertimento agli islamici, pur fondamentali per il sistema produttivo veneto, e alla proliferazione selvaggia delle moschee, soprattutto dopo che alcuni imam mestrini hanno invitato a votare Casson. C’è persino una quota di statalismo Prima Repubblica con il veto alla privatizzazione del casinò di Venezia, scosso dalle perdite e dalla concorrenza delle case da gioco slovene e austriache, e addirittura con il riacquisto dell’Ospedale al Mare del Lido di Venezia, ceduto all’Agenzia del demanio 18 mesi fa per 50 milioni di euro indispensabili a ossigenare le finanze asfittiche di Ca’ Farsetti.
C’è l’omaggio al renzismo sia nella scelta dei collaboratori più stretti, provenienti dai ranghi aziendali dell’Umana (Derek Donadini, Morris Ceron), sia nel ringraziamento ai provvedimenti del premier registrato sui bilanci della capogruppo di Brugnaro: «Con Jobs Act e Youth guarantee la somministrazione da una parte e il ruolo delle agenzie per il lavoro dall’altra stanno uscendo rinforzate». Anche prima del Jobs Act non andava male. Umana ha realizzato un +35% di ricavi nel quinquennio della crisi a partire dal 2008.
Ci sono infine le citazioni obamiane “in saòr” («ghea podemo far» al posto di «yes we can») e le fughe in avanti post-maoiste («venderemo il Mose ai cinesi»).
Il tutto messo insieme può dare l’impressione di andazzo folkloristico e di invasione barbarica del contado veneto fra calli e campielli. Non è così. Forse Brugnaro non ha gli strumenti del politico ma non è lì per scherzare e farà valere senza troppe mediazioni il suo mandato. Un mandato forte per poteri forti.