
Di RBG, com’è soprannominata la giudice Ginsburg, il Presidente Obama ha detto che «ha contribuito a cambiare l’America più di tre Presidenti insieme». Non esagera. Nata nel 1933 a New York, prima di assumere l’incarico giuridico più alto del Paese per oltre quarant’anni RBG è stata, da giurista, una delle attiviste più ascoltate in America sui diritti di donne e minoranze. Quando il flagello dell’Aids si è abbattuto sugli Stati Uniti, nel 1983, e l’allora governo Reagan faticava a capirne l’entità centellinando i fondi per la ricerca, Ruth Ginsburg inchiodò il Presidente sulla stampa con un pezzo intitolato “Ronald Reagan non vede all’orizzonte la strage di una generazione”.
Sui temi di aborto, eutanasia e matrimoni gay, è sempre stata in prima linea.
«Per molte connazionali della mia età il nome Ruth Bader Ginsburg ha più ha che fare con il mito che con una persona reale», spiega la Portman. «Mi sono avvicinata al suo lavoro da studentessa di psicologia ad Harvard (dove l’attrice si è laureata nel 2003, ndr). Di lei mi affascinava la tenacia e il coraggio, ma anche una qualità singolare per una donna di grande influenza: l’empatia. Una qualità che lei porta in ogni sentenza della Corte. Una facoltà che manca all’America oggi. Anche se io sono fiduciosa».
Fiduciosa sul futuro, sui giudici della Corte Suprema «che in questo momento storico sono l’antibiotico della Nazione», e su questo film: «Oltre a raccontare una bellissima storia, “On the basis of sex” avvierà un dibattito di speranza. Perché si sente davvero il bisogno di condividere valori come quelli che hanno guidato la vita del giudice Ginsburg». Vita che, insieme a quella del collega e acerrimo antagonista in Corte, ma suo migliore amico nella vita, Antonin Scalia, è stata trasformata da un giovane musicista americano di talento nella prima operetta politica della storia statunitense (vedi riquadro in basso).
Portman sa bene che calarsi nella pelle del Giudice Ginsberg sarà una prova tecnicamente difficile. «Rendere un personaggio pubblico d’età avanzata negli anni della sua giovinezza è un rischio: si può finire col raccontare un’altra persona». L’attrice rivela di avere sulla scrivania una pila di sceneggiature legate da un filo rosso: i personaggi cerchiati col suo nome sono tutti «piccole donne ebree dai capelli e gli occhi scuri, come me. Per me è stata una rivelazione: il mondo, e la storia, sono piene di piccole donne ebree dai capelli scuri che hanno fatto cose interessantissime!».
Dei suoi progetti futuri, però, l’attrice non vuole parlare. I riflettori, per ora, devono restare accesi su “On The Basis Of Sex” e su “Tale of Love and Darkness”. «L’acquisto dei diritti sul libro di Oz», racconta la Portman, «mi è stato concesso bevendo un tè a casa di Oz e Nily, sua moglie. Ma ci ho messo otto anni a scrivere la sceneggiatura e altrettanti per trovare i fondi». Rivela, non senza amarezza: «A Hollywood si fa ancora fatica a dar credito a una star che voglia dirigere, per di più un film dal contenuto storico e politico. A ognuno il suo mestiere, dicono: quello di regista, poi, va preferibilmente agli uomini».
Amos Oz, 76 anni, è uno dei più convinti sostenitori tra gli intellettuali di peso mondiale della soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese. Tema e sogno che sta a cuore anche all’attrice, che Israele l’ha lasciato a 3 anni con i genitori. Nel libro, uscito nel 2002, Oz racconta la nascita di Israele, la guerra di indipendenza, gli attacchi terroristici dei feddayn, la vita nei kibbutz, tutto visto con gli occhi di un bambino di 8 anni e velato dalle premonizioni di Fania, la madre, interpretata dalla Portman. «I presagi di Fania prefigurano il futuro di Israele: un sogno sfregiato dalle schegge della violenza e da un’incertezza morale che non ha più lasciato la presa».
Il risultato è un ritratto dalle sfumature cupe. Una dichiarazione d’amore e d’impegno nei confronti di un Paese che la Portman chiama ancora casa.