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Consorzio 'ndrangheta emiliana

L'inchiesta Aemilia si è chiusa. Ma dalla mole di atti e documenti dell'accusa emergono nuovi particolari che potrebbero aprire nuovi scenari di indagine. A partire dal mosaico di aziende, almeno 300, direttamente o indirettamente collegata alla cosca. Fino al patto tra 'ndrine e Casalesi per inserirsi nel posto terremoto in Abruzzo

La prima fase dell'inchiesta Aemilia si è chiusa. Ma dalla mole di informazioni e documenti raccolti dalla procura guidata da Roberto Alfonso, che a breve lascerà per il prestigioso incarico di procuratore generale a Milano, si intuisce che il capitolo non è affatto chiuso. Potrebbero insomma aprirsi nuovi scenari investigativi. Il target di investigatori e procura è trovare i canali di riciclaggio. E in particolare individuare imprenditori locali che hanno messo a disposizione della cosca le imprese per ripulire i soldi.

Un altro fronte, poi, è la ricerca del livello più alto di complicità, quello che regola gli ingranaggi burocratici per ottenere concessioni e appalti, e le pedine che hanno permesso ai Grande Aracri di spostare enormi quantità di denaro da una società a un altra. Chi indaga si sta concentrando sui flussi di quattrini che i professionisti hanno spostato da un conto a un altro. È caccia insomma a notai e complici ben inseriti negli istitituti di credito.

Mafia
La 'ndrangheta emiliana verso il processo
1/7/2015
Ma a colpire maggiormente è il numero di aziende e società collegate direttamente e indirettamente alla 'ndrangheta. Dati investigativi descrivono un territorio e un tessuto economico pesantemente inquinato. Dall'incrocio delle banche dati infatti risulterebbero almeno 300 imprese condizionate o controllate dagli uomini del boss Grande Aracri.

Un numero parziale, ottenuto dall'analisi patrimoniale e dal curriculum societario di una novantina di indagati nell'ambito di Aemilia. Già questo dato però basta a trasformare l'organizzazione criminale in una sorta di consorzio di imprese. E la dice lunga sulla vera natura, sempre meno predatoria, della mafia calabrese trapiantata tra Bologna e Piacenza, con il suo epicentro tra Reggio Emilia e Modena.

Nelle migliaia di pagine dell'indagine Aemilia sono finiti anche i rapporti con il Clan dei Casalesi. Un patto sancito in provincia di Modena, quando ancora i Casalesi avevano la forza per imporre la propria legge. Nelle informative si parla persino di un'alleanza strategica per portare a termina un affare che stava a cuore a entrambe le organizzazioni: la ricostruzione in Abruzzo. Che camorra e mafia calabrese si fossero infilate nei rivoli della ricostruzione a L'Aquila non è un segreto. Sono entrate sia nei cantieri pubblici che in quelli privati.

Ma è la prima volta che i rapporti degli investigatori sottolineano l'esistenza di una pericolosa joint venture. I protagonisti sono imprenditori finiti in recenti inchieste della magistratura bolognese. C'è chi appartiene alle 'ndrine e chi alla camorra casertana. Le trattative iniziarono nei giorni successivi alle scosse che hanno distrutto centri storici e mietuto vittime. L’interesse della 'ndrangheta emiliana per gli appalti abruzzesi è subito intercettato dai detective del nucleo investigativo dei Carabinieri di Reggio Emilia. Questi ultimi infatti hanno rilevato «il tentativo di turbare il regolare svolgimento della gare d’appalto pubblico bandite dalle amministrazioni locali».

Una vicenda inedita, sconosciuta anche alla procura aquilana, che “l'Espresso” è ora è in grado di ricostruire. I documenti parlano di un vero e proprio accordo tra le due fazioni criminali. Da un parte il boss emiliano, Nicolino Sarcone (referente del clan Grande Aracri a Reggio Emilia), assieme al fratello e a un parente stretto del padrino Nicolino “Mano di gomma” Grande Aracri, dall'altra gli emissari e le aziende camorristiche.

«Sono stati accertati rapporti con appartenenti al clan dei casalesi, residenti in provincia di Modena, in una sorta di pericolosa alleanza imprenditoriale» scrivono i carabinieri. Che aggiungono: «Gli affiliati hanno utilizzato le loro società, regolarmente costituite, per creare le basi logistico/operative per la progressiva espansione imprenditoriale nel cratere del sisma, così da poter gestire sul posto e quindi pilotare l’aggiudicazione di gare di appalto bandite per la ricostruzione post-terremoto».

C'è poi l'aspetto più inquietante: il tentativo di corruzione. Per entrare nel business infatti si sono messi alla ricerca di «soggetti abruzzesi compiacenti, da inserire, come prestanome, in società appositamente costituite, determinati inoltre a ricorrere a personaggi locali in grado di poterli aiutare a perseguire tali finalità, non ultimi eventuali funzionari pubblici (amministratori locali e/o addetti alla Protezione Civile)». Insomma, secondo i rapporti dell'Arma, il progetto di conquista dei cantieri Aquilani era già oltre la mera pianificazione. Tanto che il capo clan Sarcone e Renato Corvino, vicino ai Casalesi, vengono registrati mentre organizzano le spedizioni nelle zone colpite dal sisma. Proprio Corvino prospettava affari in corso e la possibilità di far partecipare le aziende legate a Sarcone, cioè alla 'ndrangheta. Per fare le cose pulite, senza sbavature e rischi, la proposta di Sarcone era di affidarsi a un buon ingegnere.

L'imprenditore campano aveva individuato una persona di fiducia a cui affidarsi. «Propone di affidarsi a Baraldi, che è loro compagno (vicino al clan dei casalesi) e con il quale ha già parlato chiaramente della divisione dei gudagni e l’assegnazione di lavori in sub appalto». Il riferimento è alla società F.lli. Baraldi Spa, storico marchio delle costruzioni e iscritta a Confindustria. Nel 2012 il prefetto di Modena le aveva negato l'iscrizione alla white list, le liste pulite a cui è obblgatorio iscriversi per lavorare nei cantieri della ricostruzione emiliana. Dopo pochi mesi, e tante polemiche, ha ottenuto il via libera dal prefetto di Modena sostituendo alcuni nomi nell'assetto societario. Ottenuta la liberatoria per l'iscrizione è tornata sul mercato degli appalti pubblici. La fine di un incubo.

Ora però è un uomo del clan, intercettato a sua insaputa, a tirarla in ballo. La ditta Baraldi ha lavorato a L'Aquila nei giorni dell'emergenza. In Abruzzo come in Emilia i suoi mezzi sono stati i primi a rimuovere le macerie. Non c'è mai stato un seguito giudiziario a questa vicenda.

Riscontrata invece la presenza della 'ndrangheta emiliana, pizzicata nei cantiere aquilani con numerose imprese. Alcune erano partite proprio da Reggio Emilia. Tra novembre e dicembre 2009 infatti il prefetto dell'Aquila ha bloccato per condizionamenti mafiosi due ditte reggiane. Società sospette, i cui soci sono legati alla 'ndrina Grande Aracri. Non solo, i nomi dei titolari sono gli stessi riportati nell'istruttoria dei militari dell'Arma reggiana. Le due imprese (Lo Monaco e Vasapollo) erano riuscite a entrare nel grande progetto delle New Town.

Proprio Lo Monaco è uno dei più attivi, scrivono nelle informative i carabinieri, nel ricercare i canali giusti e a riferire al boss gli sviluppi. Alla fine qualcusa hanno ottenuto. La conferma è nell'elenco dei subappaltatori chiamati a lavorare in quei cantieri pubblici. I contratti li hanno offerti due società storiche emiliane, la cooperativa C.m.e., e Cosmo Haus. Poi però è arrivato il provvedimento della prefettura a bloccare tutto.

Oltre la ricostruzione però gli imprenditori della galassia Grande Aracri avrebbero infiltrato anche un'altra storica azienda di Reggio Emilia. La Save Group, fallita di recente, e con importante commesse in tutta Italia. Ha lavorato per il gruppo Caltagirone in sub appalto nel porto di Fiumicino, ha realizzato il grande Mulino Stucky di Venezia – sulla sponda sud del Canale della Giudecca - l’aeroporto di Malpensa e il nuovo pronto soccorso dell’ospedale Maggiore di Parma.

Nei faldoni compare il nome del titolare, pur non essendo indagato. Nei rapporti di polizia è persino indicata una riunione che si è tenuta a Roma nello studio di un avvocato vicino a Grande Aracri. Presenti Alfonso Diletto, indagato in Aemilia e responsabile economico del clan, e Patrizia Patricelli, «proprietaria unitamente a  Giovanni Vecchi, della SAVE GROUP S.r.l.». Durante questo incontro all'avvocato «veniva chiesto di occuparsi delle vicende legali, in sede civile, della predetta società reggiana, con particolare riguardo alla necessità di dissequestrare alcuni conti correnti. Nei discorsi fatti in quell’occasione, emergevano anche riferimenti a forti interessi economici all’estero, a progetti d’investimenti in Africa nonché alla disponibilità d’ingentissime somme di denaro». Non c'era motivo però che giustificasse la presenza di Diletto, visto che «non risultava inserito ad alcun titolo nella compagine societarie della Save».

Insomma, chiusa l'indagine principale gli aspetti da chiarire sono ancora tanti.

Aggiornamento del 10 luglio 2015 ore 12,21: La società Baraldi all'Aquila solo a titolo gratuito

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