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Opinioni
novembre, 2016

E se fosse Raggi il vero volto di Grillo?

Collaboratori indagati, promesse non mantenute, scandali. Eppure il leader difende il sindaco di Roma. Perché è il laboratorio del governo futuro

Il laboratorio Roma offre suggestioni sempre nuove. Sì, questa settimana vorrei indagare su Virginia Raggi, ma per una volta non con gli occhi del cittadino della Capitale umiliato da monnezza, buche e caos legalizzato, ma con quelli di Beppe Grillo per cercare di capire perché qui egli tolleri tutto ciò che ha sempre giudicato indigeribile. Già, perché? Per azzardare una riposta, segue elenco ragionato dei vaffa non pronunciati.

tanto per cominciare, spicca il cursus honorum della sindaca. Tra i tanti avvocati di Roma - che da sola ne conta la metà di tutta la Francia (nel suo blog Grillo affermò addirittura che ce ne sono di più, ma è una delle tante enfatizzazioni da Rete) - Virginia svolse la sua pratica dividendosi proprio tra gli studi Sammarco e Previti, dei quali è perfino pleonastico ricordare imprese e affiliazioni. In altre circostanze un tale precedente sarebbe stato bollato dal grillismo come grave indizio di appartenenza a una qualche P, il numero mettetelo voi.

La scelta della giovane avvocata fu talmente dirompente che ben presto il Movimento ha dovuto fare i conti con dissensi, faide e correnti, alla faccia di direttorii locali e guru nazionali: armamentario tipico di quella repubblica dei partiti contro la quale sono nati e cresciuti i 5Stelle. E invece Grillo, come un buon padre garante della pace familiare, non ha inveito, non ha punito, non ha espulso ma, paziente e costruttivo, si è speso per sopire e chetare. Cambio di tono. Perché? Ma forse l’episodio più illuminante - perfino più del caso di Raffaele Marra (l’Espresso n. 44), al quale Raggi non rinuncia e che in altri tempi Grillo avrebbe dipinto come un criminale - riguarda Paola Muraro, imposta all’assessorato all’Ambiente (rifiuti) come grande esperta e difesa contro tutto e tutti nonostante i suoi trascorsi di consulente dell’Ama sindaco Alemanno, un avviso di garanzia (sul quale, complice Luigi Di Maio, la sindaca ha taciuto) e relativa inchiesta della magistratura prima delle cui conclusioni nulla sarà deciso in Campidoglio. Ora, a parte il gioioso avallo («È una brava monnezzara») di Manlio Cerroni, ras dei rifiuti a Roma e proprietario delle megadiscariche invise a romani e grillini, vera chiave di volta della vicenda che meriterebbe un trattato a parte, che cosa insegna il caso Muraro? Che all’occorrenza i grillini scoprono il garantismo, poco frequentato nelle piazze, e che pur di avere un assessore esperto e ben pagato sono stavolta disposti a sfidare contraddizioni e contestazioni. Perché?

E ci sono infine i primi atti di governo della giunta Raggi, che pure meritano attenzione. L’idea lanciata con gran clamore di una Imu sugli immobili del Vaticano è rapidamente rientrata con tanto di disdetta di un incontro con papa Bergoglio; rinnovata invece senza discussione la licenza agli invasivi e onnipresenti bar-chiosco dei famigerati Tredicine sui quali si era vanamente accanito l’ex sindaco Marino; e infine restituito ai 23 mila dipendenti comunali lo stipendio aggiuntivo, circa 300 euro distribuiti a pioggia, cassato dal commissario Tronca su indicazione della Corte dei Conti: in altri tempi i grillini avrebbero chiesto di compensare la spesa tagliando gli stipendi di tutti i manager capitolini. Ma Roma val bene una messa. E qualche deroga.

Sì, Grillo deve difendere d’ufficio la sindaca di Roma, è ovvio, non solo per i voti che ha raccolto (67 per cento), anche per ciò che la Capitale significa (certo più della Parma di Pizzarotti…). Ma forse pensa adesso che l’arte di governo non può prescindere da forme di compromesso, comprese quelle che si cibano di garantismo a orologeria; che la politica è pure gestione del potere; che manager ed esperti possono essere adeguatamente remunerati, non solo additati come casta privilegiata; che il profilo stesso dei candidati grillini non può accontentarsi delle ingenuità della rete: forse non è un caso che Raggi sia avvocato e Chiara Appendino una bocconiana.

Insomma, se Roma fosse il laboratorio di un governo futuro? Si può gridare «onestà onestà» nelle piazze, ma poi si devono fare i conti con la realtà di un’amministrazione: nel Beppe pensiero, per sfondare bisogna essere di lotta e di governo, di vaffa e di delibera, stare nel Palazzo e prendersela con gli altri inquilini, immaginare complotti e denunciare serial killer e poi tenere al riparo i necessari compromessi del giorno per giorno. Essere Grillo ed essere Raggi. Come nel gioco “poliziotto buono, poliziotto cattivo”, ma sotto forma di doppiezza politica. Non togliattiana, grillina.

Twitter @bmanfellotto

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