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Libri per le feste, i regali tutti da leggere

Ironici, originali, avvincenti. Grandi storie e raffinati illustrati. Il meglio del 2016, dribblando i bestseller

Lettera dal Vietnam - di Wlodek Goldkorn

Romanzo picaresco, meditazione sull’invenzione delle identità e ambivalenza, thriller, testo satirico sull’industria culturale americana e sui tic dei grandi registi e attori di Hollywood, testimonianza di guerra e affermazione dell’importanza delle amicizie; è tutto questo e molto di più “Il simpatizzante” di Viet Thanh Nguyen (traduzione dall’inglese di Luca Briasco; Neri Pozza). L’autore, nato in Vietnam nel 1971, lasciò il Paese natio a seguito dei genitori, quando Saigon nel 1975 cadde nelle mani dei Vietcong e delle truppe del generale Giap e approdò in America. Insegna all’Università del North Carolina. Con “Il simpatizzante” ha vinto il Pulitzer quest’anno. Il libro è un romanzo mondo, con rimandi a una vastissima letteratura: da Conrad a Le Carrè a Graham Green. Il protagonista, figlio di un prete francese e di una donna semianalfabeta vietnamita, narra, sotto forma di lettera-confessione, la sua biografia. Lui è una spia, un doppiogiochista, un agente del Vietnam del Nord impiantato nelle forze di polizia del regime del Sud. Il racconto parte dalla drammatica e grottesca evacuazione degli americani e dei loro collaboratori dalla capitale nel ’75 (e sono pagine notevoli); per proseguire con la storia dell’ambientazione in America; e finisce con un colpo di teatro che non verrà svelato. “Il simpatizzante”, divertente, ben scritto e molto bene tradotto, va letto perché racconta la guerra del Vietnam non dal punto di vista degli americani, ma dei vietnamiti. Ed è affascinante, nel suo crudo disincanto.

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Apnea d'amore - di Caterina Bonvicini

[[ge:rep-locali:espresso:285252907]]Un romanzo pieno di intelligenza ma di un’intelligenza così aperta alla vita, da non togliere mai carne e sangue al racconto: “Immersione” di Christophe Ono-Dit-Biot (Bompiani, traduzione di Ileana Zagaglia) è una discesa in profondità da affrontare con l’erogatore in bocca. Alla fine, quando risali, ti senti come rinnovato, «con una dose di libertà che ti sei iniettato nel cervello», «con l’azoto che ti è entrato in circolo». La funzione dell’ossigeno, da un punto di vista narrativo, è esercitata dalla bellezza. Che non è solo quella della scrittura, elegante e leggera come un corpo che nuota o la sagoma di uno squalo, perché le immersioni sono a più livelli: nella bellezza dell’arte come in quella del mondo sottomarino, e soprattutto negli abissi di un amore. Una donna viene trovata morta su una spiaggia del mar Arabico e César deve partire per riconoscere quel corpo, potrebbe essere di sua moglie, Paz, artista alla ricerca della sua libertà. Proprio lui, che non voleva più abbandonare l’Europa, è costretto a raggiungere un altro continente e insieme a fare un viaggio interiore, che lo porterà ancora più lontano, verso l’altro da sé. Per poi scoprire che questa alterità era nascosta proprio nella persona più vicina. La ricchezza del romanzo sta anche nella sua geografia, altrettanto imprevedibile: c’è un mondo dentro. Il nostro, globale, così difficile da afferrare. Almeno fino a quando non lo si riduce a una crosta terrestre, in fondo meno misteriosa di tutta l’acqua che la circonda.

Incantesimo napoletano - di Mario Fortunato

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Se c’è una vera protagonista del libro “L’arte non è faccenda di persone perbene” (Rizzoli) non è Lea Vergine intervistata da Chiara Gatti, che firmano il volume, e direi neppure l’arte visiva che il titolo definisce piuttosto realisticamente. La vera protagonista di questo colloquio, che talvolta assume il tono di una confessione e talaltra quello di un orgoglioso partito preso, è secondo me il luogo da cui tutto origina, e cioè Napoli – città il cui mare è un invito (per non dire un ordine) ad andarsene in fretta e che tuttavia non si lascia davvero, perché casomai è essa a lasciare. Napoli, dove Lea Vergine è nata nel 1938 in una famiglia che possedeva i tipici contrasti locali (insomma, la famosa endiadi di miseria & nobiltà), dove ha cominciato ad appassionarsi all’arte contemporanea, sapendone decrittare fin da subito la natura capricciosa e ondivaga sotto l’ala di Giulio Carlo Argan, e da cui è immancabilmente fuggita sbarcando a Milano, città a suo modo ontologicamente neutrale, dove tuttora vive. Il libro ripercorre i tratti salienti di un’avventura intellettuale e di vita, che non di rado si è intrecciata a date significative del recente passato: dagli anni Sessanta delle avanguardie alla nascita del quotidiano “Il manifesto”. Lea Vergine racconta senza reticenze di sé e del mondo dell’arte, e lo fa con un linguaggio colto, rigoroso, evitando i tipici trabocchetti sentimentali della memoria, fedele in questo al suo vecchio amico Cioran. Eppure parla spesso e volentieri di amore, di passioni, di intermittenze del cuore: ma in lei è lo stile a definirle e in qualche modo a domarle, non viceversa. Alla fine, comunque, è l’immagine di Napoli quella che si imprime con più forza nel ricordo di chi legge. E non solo perché ovviamente porta con sé l’odore dell’infanzia, ma perché - sembra suggerirci questa critica d’arte che è anche e forse prima di tutto poetessa laica – è una città che, simile all’arte, invece di consolare non smette di perturbarci.

Il tradimento viene dall'alto - di Leopoldo Fabiani

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Nulla è cambiato, racconta Federico Rampini nel suo ultimo libro “Il tradimento” (Mondadori). Otto anni dopo la crisi che ha messo in ginocchio l’economia occidentale, le banche continuano a tenere comportamenti criminali e i banchieri a essere strapagati e rispettati. Il “tradimento” del titolo è quello delle élite, che non sono solo banchieri e finanzieri. Ma tutta la classe dirigente: politici, tecnocrati, top manager, intellettuali. E ci siamo dentro anche noi giornalisti. Il tradimento consiste nell’aver chiuso gli occhi davanti alla realtà. Nel sostenere che la globalizzazione avrebbe assicurato a tutti un futuro di prosperità e felicità. Nell’aver insistito, poi, anche quando ormai è conclamata la piaga sociale di una disuguaglianza insopportabile, con l’ascensore sociale bloccato, e i figli destinati a essere più poveri dei padri. Abbiamo voltato la testa per non vedere che l’immigrazione è un problema vero, che il terrorismo islamico è una minaccia reale. Predicare l’accoglienza per tutti è l’altra faccia delle fiammate di odio razzista. Le élite, così facendo hanno tradito, abbiamo tradito, il proprio ruolo privilegiato. La responsabilità di pensare liberamente e cercare soluzioni per le questioni cruciali. Rampini racconta tutto questo con lo sguardo del cronista che gira il mondo da trent’anni. Impoverimento e immigrazione non sono problemi da affrontare “tecnicamente”, con politiche economiche o di sicurezza. O guardiamo il male negli occhi, ci spiega, o la democrazia non si salverà. Dirlo chiaramente è il merito autentico di questo libro.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

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