«Non si rottama la famiglia» era lo slogan sul palco, nel caso ci fossero dubbi sull’obiettivo della manifestazione. Uno striscione e un hashtag #Renzi ci ricorderemo, servivano a ribadire il concetto, comunque reso esplicito da Massimo Gandolfini, neurochirurgo, portavoce della piazza di sabato, a Roma, al Circo Massimo. Si appella, Gandolfini, alla «coscienza cattolica del premier Renzi», ben sapendo che ai tempi del primo Family day, nel 2007, il premier era contrario al disegno di legge dell’epoca, i Dico. «Ci ricorderemo», ha detto Gandolfini dal palco, «di chi farà sue le istanze di questa piazza e di chi invece le metterà sotto i tacchi».
L’altro leader della piazza è stato anche più diretto, lui che renziano lo è stato veramente, uno tra i pochi parlamentari del Pd che nel 2012 appoggiarono l’attuale premier alle primarie, quando Renzi era un rottamatore fastidioso, e sconfitto. «Lo dico al mio amico Matteo Renzi con cui nel 2007 ho condiviso una piazza che diceva le stesse cose di questa», dice Mario Adinolfi, appunto: «Questa piazza va ascoltata». E quell’hashtag è lì perché «bisognava comunicare a qualcuno che parla abitualmente su twitter». È lì perché con il Family day è partito il pressing diretto su Renzi, perché ceda, almeno sulla stepchild adoption.
Puntano direttamente al premier, gli organizzatori del Family Day, consapevoli che la battaglia in parlamento è cosa complicata e in salita senza un cenno del capo di Renzi. Che si è blindato, come noto, con il recentissimo rimpasto, fatto non a caso a pochi giorni dall’arrivo in aula del Dl Cirinnà, che martedì comincia ad affrontare i primi voti: 11 tra pregiudiziali e sospensive. Per i voti sugli emendamenti, invece, bisognerà attendere un’altra settimana: il Pd vuole infatti andare avanti, ma il dibattito non sarà strozzato, sempre - come con i sottosegretari - per ammorbidire i centristi.
Che la legge alla fine passerà - o che almeno incasserà il primo sì del Senato - lo sanno bene anche i manifestanti del Circo Massimo, che infatti parlano già di referendum. Sanno che un po’ di poltrone e i due nuovi sottosegretariati dati a Ncd (il ritorno di Gentile e l’arrivo di Dorina Bianchi, già paladina della legge 40), allontanano ogni crisi di governo, peraltro mai con forza paventata dai centristi. C’è poi la delega assegnata a Enrico Costa, che è il vero capolavoro di mediazione, ministro agli Affari regionali e alla Famiglia. Ancora Gandolfini dopo la manifestazione si è mostrato consapevole dei margini stretti. Dice: «C'è una ostinata caparbietà da parte del Parlamento».
Con l’incognita dei voti segreti, è chiaro che il risultato finale è incerto, ma il Pd per ora si dice intenzionato a resistere alle pressioni del Family day, aiutato abbiamo visto dai toni costruttivi degli alleati centristi. Quello che però si vuole evitare è il voto segreto sul voto finale, quello sì troppo rischioso. Per gli emendamenti, invece, si dovrebbe aprire a piccole modifiche, giudicate non compromettenti per la legge, affidate al lavoro del senatore dem Giuseppe Lumia.
Qualche ritocco sui richiami del codice civile, per stabilire meglio che non si tratta di un matrimonio camuffato e smorzare le polemiche su una supposta incostituzionalità. Sulla stepchild, poi, vero punto critico della legge, Lumia a l’Unità spiega che si dovrebbe chiarire che sarà una «facoltà dei soggetti interessati e che non ci sarà nessun automatismo», ma che sarà invece un tribunale a valutare caso per caso e a decidere se concedere l’estensione della responsabilità genitoriale. La difficoltà del passaggio, però, sta nel non perdere per strada, così, i voti della sinistra e dei 5 stelle che si sono detti pronti a sfilarsi in caso di legge depotenziata. Sfilati i 5 stelle potrebbero anche rianimarsi i centristi, non lasciando solo Formigoni e Giovanardi ad occuparsi della battaglia.