La compagnia vende ai messicani le attività nel paese sudamericano. E scatena la reazione di un grosso imprenditore di Buenos Aires che a "l'Espresso" rivela: «Noi offrivamo molto di più». Un nuovo fronte per il numero uno Marco Patuano, proprio nel pieno dello scontro con il socio Vincent Bolloré

Marco Patuano
Volete vendere la vostra società e avete due offerte sul tavolo: una da 960 milioni di dollari, l’altra da 1,5 miliardi. La decisione potrebbe sembrare scontata, ma nel caso di Telecom Italia non è così. La vicenda riguarda Telecom Argentina, secondo operatore telefonico del Paese sudamericano, il cui controllo è passato ufficialmente, martedì 8 marzo, dal colosso italiano a Fintech, il fondo del finanziere messicano David Martinez. Dopo oltre due anni dall’inizio delle trattative, lo sblocco è arrivato grazie all’autorità argentina delle comunicazioni, l’Enacom, che ha dato il via libera alla vendita di Telecom Argentina a Martinez. Il quale ha messo sul piatto, appunto, 960 milioni di dollari. C’era però un’altra offerta, molto più ricca della prima, che non è stata ritenuta accettabile dall’amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano.

L'AMICO DI MACRI
Il mittente è Carlos Joost Newbery, 62 anni, non un tipo qualunque. Compagno di scuola dell’attuale presidente argentino Mauricio Macrì (entrambi si sono laureati in Ingegneria alla Pontificia Universidad Católica Argentina Santa María di Buenos Aires), Newbery è un veterano delle telecomunicazioni. Ha contribuito alla fondazione di Movicom Bell South, la società che ha costruito reti per la telefonia mobile in buona parte del Sudamerica. E oggi, con la sua Inversiones Condor, di cui è azionista di maggioranza e amministratore delegato, dice di essere pronto a mettere sul piatto oltre 1,5 miliardi di dollari per ottenere il controllo di Telecom Argentina.

Inversiones Condor non ha un sito Internet né pubblica un bilancio. Alle domande sulla capacità finanziaria della società, in un colloquio telefonico con “l’Espresso”, l’imprenditore di Buenos Aires assicura di essere «supportato nell’operazione Telecom Argentina dal fondo americano Whitebridge e da altri due di cui non posso rivelare i nomi». Sul fronte del business, Newbery sostiene di essere attualmente attivo nelle telecomunicazioni in Argentina, Pakistan e Turchia e di aver già condotto operazioni, oltre che nel suo Paese d’origine, anche in Uruguay, Paraguay e Brasile. Il messaggio è chiaro: «Siamo esperti del settore», riassume l’imprenditore, «abbiamo i soldi e siamo argentini. Perché allora Patuano non ha mai risposto alle nostre offerte, nonostante la proposta economica sia più allettante di quella fatta dai messicani?».

LE PRESSIONI PER VENDERE IL BRASILE
L’attacco di Newbery viene lanciato alla vigilia di un consiglio d’amministrazione che si prospetta già piuttosto infuocato. La principale spina nel fianco di Patuano porta di nuovo in Sudamerica, stavolta a Rio de Janeiro. Lì ha sede Tim Brasil, la più importante controllata del gruppo, da tempo al centro di speculazioni su una possibile vendita. L’ipotesi trova diversi oppositori fra gli analisti, convinti che per il gruppo italiano sarebbe dannoso uscire dal mercato carioca, uno dei pochi ancora promettenti per la telefonia, per giunta ora che il Paese è in recessione e i prezzi azionari sono bassi. Eppure, secondo una fonte che sta seguendo la vicenda, il nuovo socio forte di Telecom - il gruppo Vivendi del finanziere francese Vincent Bolloré, capace di sconquassare in meno di un anno gli equilibri azionari del colosso italiano con una scalata da record - resterebbe convinto che il Brasile vada venduto.

Di questo, soprattutto, avrebbe parlato Patuano nell’incontro avvenuto la scorsa settimana a Parigi con l’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine. Un faccia a faccia al termine del quale alcuni media hanno ipotizzato le dimissioni del manager di Telecom, il cui mandato scade tra un anno. L’azienda ha bollato le voci come «prive di fondamento». E lo stesso Patuano, in un’intervista rilasciata domenica 6 marzo al “Sole 24 Ore”, ha detto di non aver «mai ricevuto» richieste di vendere il Brasile.

IL RISIKO DELLA TV
Di certo, nonostante le rassicurazioni fornite dai francesi al governo italiano nei mesi scorsi, restano diversi punti oscuri sulla reale strategia di Bolloré. Le indiscrezioni sulla cessione di Tim Brasil continuano a ripresentarsi, così come quelle secondo cui il vero obiettivo dell’imprenditore bretone sarebbe la conquista di Mediaset, che insieme a Vivendi (proprietaria di Canal Plus) diventerebbe un gruppo europeo di contenuti televisivi capace di sfidare Sky e Netflix. Voci, queste, che si aggiungono alle pressioni giunte da Parigi per un’unione di Telecom con la compagnia statale transalpina Orange. E che mal si conciliano con l’intenzione sbandierata da Bolloré di voler essere un investitore di lungo periodo in Telecom. Un’ambiguità che, dal punto di vista di Patuano, potrebbe rivelarsi difficile da gestire. Ed è proprio in un momento così delicato che da Buenos Aires arrivano le accuse di Newbery.

A supporto della sua tesi il patron di Condor ha fornito a “l’Espresso” alcuni documenti. Il primo è una lettera inviata all’azienda italiana nel giugno 2010, quando su Telecom Argentina avevano messo gli occhi anche altri, dal magnate Carlos Slim al gruppo Eurnekian. Nella missiva, l’aspirante compratore manifesta il suo interesse ad acquistare il controllo di Sofora, la holding attraverso cui Telecom Italia gestiva Telecom Argentina, per 725 milioni di dollari cash. «Dopo quella lettera siamo arrivati a offrire 825 milioni di dollari, ma non abbiamo ricevuto risposte da Telecom Italia», sostiene Newbery.

PATUANO: "GARANZIE INSUFFICIENTI"
Patuano, interpellato da “l’Espresso”, fornisce però una versione diversa: «Quando, nel 2010, fu avviata una prima esplorazione per la cessione, ai potenziali acquirenti furono chieste idonee garanzie, cioè un set di banche pronte a finanziare l’operazione, e quelle di Newbery non risultarono adeguate al processo».

Nel frattempo, di cose ne sono successe parecchie. La cessione della controllata latino-americana ai messicani di Fintech è stata decisa nel 2013. A quel tempo la spagnola Telefonica, già presente in Argentina con il marchio Movistar, stava per diventare l’azionista più importante di Telecom Italia, con il rischio di una concentrazione eccessiva nel mercato locale delle tlc. Il Paese guidato da Cristina Kirchner sembrava intenzionato a nazionalizzare l’azienda sotto controllo italiano. E l’ex monopolista tricolore dei telefoni, molto indebitato, aveva «l’esigenza di finanziare un piano di investimenti importante in un momento delicato in cui c’erano parecchi vincoli», ha ricordato Patuano al “Sole”, spiegando che in quel momento «Telecom doveva fare delle scelte» e «quando sono state fatte si era ragionato di concentrasi sull’Italia e sul Brasile».

Insomma, nel 2013 uscire dall’Argentina sembrava l’unica strada possibile, sostiene il manager italiano. Un peccato, con il senno di poi, perché oggi l’azienda è in salute: il bilancio preliminare del 2015 vanta un margine operativo lordo (nella sigla inglese Ebitda, com’è riportato nel grafico a destra) di circa 800 milioni di dollari, aumentato del 25 per cento rispetto a un anno prima e del 43 per cento se confrontato con il 2013.

NEWBERY OFFRE 1,5 MILIARDI
Il punto, però, è quanto si poteva incassare dalla vendita argentina. Questo si desume dagli altri documenti letti da “l’Espresso”: si tratta di due email inviate da Condor a Patuano. La prima è datata 16 ottobre 2015: il giorno prima l’Enacom (l’ente regolatore) aveva bloccato la vendita di Telecom Argentina a Fintech per mancanza di competenze industriali nel settore da parte della società messicana. Condor, consapevole di questo, si fa sotto di nuovo, sottolineando la propria esperienza nel comparto e la disponibilità a discutere la possibile acquisizione. Niente da fare: Patuano, sostiene Newbery, non risponde. Intanto alla guida dell’Argentina arriva Mauricio Macrì, i timori di nazionalizzazione svaniscono e l’Authority locale cambia idea: Fintech può comprare.

Il 3 marzo Newbery invia un’altra email, ancora più chiara. Definisce quella dei messicani un’offerta che sottostima in modo sostanziale Telecom Argentina. Per questo dice di essere disposto a mettere sul piatto non meno di 1,5 miliardi di dollari cash, una cifra che - è specificato - tiene in considerazione la penale che Telecom dovrebbe pagare nel caso in cui decidesse di non vendere più a Fintech. «Non abbiamo mai ricevuto risposte da Patuano», scandisce Newbery, «eppure stiamo offrendo due volte l’Ebitda di Telecom Argentina, un terzo in più di quanto è disposta a pagare Fintech. Lunedì 7 marzo abbiamo presentato la nostra offerta formale, forse ormai i giochi sono decisi, ma voglio almeno che Bolloré e i tantissimi azionisti di Telecom sappiano che stanno vendendo un’ottima società, la migliore compagnia di telecomunicazioni in Argentina, a un prezzo troppo basso».

DETTAGLI MANCANTI
Patuano tiene a ricordare un paio di dettagli di cui Newbery, dice, «deve essersi dimenticato». Il primo riguarda il contratto con Fintech. «A novembre del 2013», spiega, «firmammo con loro un accordo vincolante , regolato dal diritto degli Stati Uniti, in cui ci impegnavamo a vendere Telecom Argentina al manifestarsi del placet regolatorio. Noi dovevamo cedere la nostra controllata e loro dovevano pagare. Per questo Fintech depositò subito l’intero importo pattuito, cioè 960 milioni di dollari, presso le nostre disponibilità. E infatti nei giorni scorsi, quando l’autorizzazione dell’autorità argentina è arrivata, noi abbiamo incassato tutto, fino all’ultimo cent».

Il secondo “dettaglio”, invece, riguarda lo stesso Newbery. «È vero che ha fatto delle offerte», chiarisce Patuano, «ed è vero anche che è arrivato a proporre 1,5 miliardi di dollari, ma quelle offerte non sono mai state vincolanti, quindi avrebbe sempre potuto tirarsi indietro, anche se noi avessimo rinunciato a Fintech». La tesi del capo di Telecom è che «i patti si rispettano, ci vuole serietà, e noi avevamo firmato un contratto vincolante con un signore che ci aveva già depositato i soldi».

PAROLA AGLI AZIONISTI
Resta un dubbio, sollevato dall’ingegnere argentino, e cioè che se Telecom avesse stracciato quell’accordo con Fintech, oggi forse avrebbe incassato, invece di 960 milioni, la bellezza di 1,5 miliardi di dollari. È un’ipotesi che Patuano esclude perché - sostiene - «Fintech ci avrebbe fatto causa negli Stati Uniti e il giudice avrebbe potuto farci pagare una penale oppure, più probabilmente, obbligarci a vendere comunque a loro per il prezzo pattuito». Insomma, le conseguenze sarebbero state imprevedibili, e ad ogni modo, come aveva detto il manager italiano al “Sole”, rispondendo a una domanda sull’Argentina, «in finanza non c’è spazio per ripensamenti». Chissà se anche gli azionisti di Telecom la pensano così. Oppure se qualcuno di loro avrebbe preferito giocare la carta del Condor sulla roulette di Buenos Aires.

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