"L'Espresso" è entrato in anteprima nella nuova galleria ferroviaria: 57 chilometri 
di altissima ingegneria sotto terra. Che renderanno l'Europa più piccola, sull'asse tra Genova e Rotterdam (Foto di Fabrizio Giraldi per l'Espresso)

2016 MAR, GOTTARDO, SVIZZERA. Stazione multifunzionale di Sedrun. Prova di evacuazione. © FABRIZIO GIRALDI
Il locomotore, ovvio, è rosso bandiera. Bandiera svizzera. Modello “Helvetia” (ah, l’eco della latinità), fabbricato dalla Slm di Winterthur e dalla Asea Brown Boveri di Zurigo. Splende un freddo sole di marzo sopra il convoglio impiegato per la fase di test con cui stiamo per entrare nel tunnel del Gottardo. Siamo a Erstfeld, canton Uri, al portale nord, tra le truppe cammellate dei media svizzeri e tedeschi, casco verde, pettorina gialla, zaino con ossigeno di emergenza, per un tragitto dimostrativo dentro quella che è la più ambiziosa opera pubblica realizzata in Europa dai tempi del traforo della Manica.

Con i suoi 57 chilometri tra Erstfeld a nord e Bodio a sud, il nuovo Gottardo è la galleria ferroviaria più lunga del mondo (Manica: 54 km). È il cuore del futuro corridoio Reno-Alpi (o Rotterdam-Genova) della Rete transeuropea dei trasporti. Ed è un investimento poderoso: 12,5 miliardi di franchi. L’inaugurazione sarà il 1° giugno. L’entrata in servizio l’11 dicembre.

Variopinti come pesci d’acquario (“l’Espresso” unico infiltrato italiano) saliamo nel vagone scortati dagli ingegneri in tuta arancione della società AlpTransit. Clima scolastico, look bizzarro, e frasi scherzose sul paradosso di fondo: il Paese meno europeista d’Europa, che vede l’Unione come Satana incarnato, sta realizzando l’infrastruttura più europeista d’Europa. In solo otto anni di lavori, con ferreo cronoprogramma, la Confederazione ha investito in AlpTransit un totale di 23 miliardi di franchi per le tre nuove gallerie: il Lötschberg tra Berna e Vallese, attivo dal 2007, il Gottardo a fine 2016, e il Ceneri, sopra Lugano, entro il 2020.
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Investimento coperto, negli anni, da tre tassazioni mirate: la tassa sul traffico pesante, l’imposta sugli oli minerali e l’Iva. Dietro a tutto sta la “Verkehrspolitik”, politica federale dei trasporti, supportata da referendum popolari: trasferire su rotaia la quota più alta possibile del traffico merci che attraversa la Svizzera tra Nord Europa e Nord Italia. Una visione strategica che ci ricorda due cose: che il tratto italiano del corridoio Reno-Alpi è in grave ritardo; e che, dopo la Variante di Valico (autostradale) appena inaugurata in Toscana, l’Alta capacità Milano-Genova andrebbe messa con urgenza nell’agenda del governo Renzi.

Nei tunnel a due canne indipendenti del Gottardo il volume merci trasportato passerà da 20 a 50 milioni di tonnellate l’anno, alleggerendo di molto il traffico di autotrasporto, a vantaggio della bolletta energetica e dell’ambiente. Ogni giorno vi potranno transitare fino a 260 convogli merci e fino a 80 treni passeggeri (che toccheranno, grazie alla ridotta pendenza, la velocità massima di 250 chilometri l’ora). Si potrà viaggiare da Milano a Zurigo (oggi: 4 ore) in circa 3 ore.
2016 MAR, GOTTARDO, SVIZZERA. Chiusure stagne tra i vari comparti della stazione di Sedrun. © FABRIZIO GIRALDI

Dentro al treno-test in pochi minuti raggiungiamo velocità 200. Le vibrazioni sono contenute. «È da cinque mesi che testiamo la linea, in genere di notte, abbiamo fatto 1.600 viaggi. Utilizzando il treno Ice tedesco abbiamo sperimentato una velocità massima fino a 275 chilometri l’ora, il 10 per cento in più di ciò che servirà», spiega il dirigente tecnico Stephan Aerni. Oggi, come ci ha anticipato il presidente di AlpTransit Renzo Simoni, svizzero di famiglia friulana e grigionese, alto e atletico come un Clint Eastwood cinquantenne, esploreremo la stazione multifunzione di Sedrun, nella profondità della montagna, i cunicoli di fuga e i tunnel laterali di evacuazione. La stazione Sedrun è dotata di un sistema di telecamere. «Come i due portali nord e sud, decisione presa», così Simoni, «dopo il mutato livello d’allarme dovuto al terrorismo internazionale».

Scesi dal vagone, all’imbocco del cunicolo laterale ci investe una corrente d’aria fredda. Poi, dopo 40 metri, si svolta a destra nella galleria di evacuazione e il flusso d’aria si quieta. La temperatura, che all’esterno della montagna era sui 0 gradi, salirà man mano fino a 28 (ma durante gli scavi si è raggiunto un massimo di 38, come sul mar Rosso). In galleria, mentre gli operatori tv avanzano barcollando come orsi, ci giungono indicazioni dagli altoparlanti in tre lingue, tipo: «Vogliate aiutarvi reciprocamente e seguire le istruzioni del personale».

Ogni cinquanta metri c’è un segnale verde di via di fuga. I lati del tunnel di emergenza sono foderati di una superficie insonorizzante. Ecco i simboli grafici di omini fuggitivi con scritte macchinose: «Seguire le seguenti indicazioni fino al punto di raccolta d’evacuazione». Ai lati, gli armadi blu e gialli contengono sensori, localizzatori d’incendio, centraline elettriche, gli armadi verdi il pronto soccorso. Tra allegre insegne di «Pericolo di morte», ogni tanto c’è una «schwarze Tür», porta tagliafuoco. Dietro a una di loro è già pronto uno scintillante autocarro Man per i servizi di manutenzione.
2016 MAR, GOTTARDO, SVIZZERA. Operatori Alptransit in uscita dal tunnel dopo test di controllo. Erstfeld, PORTA NORD. © FABRIZIO GIRALDI

Poi il tunnel si allarga, e siamo nel cuore della stazione sotterranea. Lo sguardo, tra luci bianche e luci verdine, si apre a uno spettacolo che ricorda la sala macchine di “Metropolis” di Fritz Lang, dove gli operai in tuta si muovevano come lancette di orologi impazziti. Ma qui ci sono solo le tute arancioni dei tecnici che ci scortano. Ecco la centrale idrica, squillante di tubi. Ed ecco davanti a noi ergersi un enorme cilindro in rete d’acciaio. È la struttura di aerazione. Il cilindro è alto 800 metri, perfora la montagna in verticale. Da lì, durante gli scavi, con ascensori salivano e scendevano gli operai e i tecnici. Si può fotografare? I boss di AlpTransit ci guardano come se volessimo sedurre le loro sorelle minorenni. È tutto un «qui sì», «qui no», e si sa che il giornalista germanico obbedisce più volentieri di altri. Le foto di Fabrizio Giraldi in queste pagine - credeteci - sono frutto di fatica vera.

I tecnici ci spiegano come nei mesi delle corse di prova si sia testato ogni minimo dettaglio: vibrazioni, sistema radio Gsm-R (rail) e Gsm-P (public), condizioni climatiche, pressione, ventilazione, sistemi idraulici, esercitazioni di salvataggio. Trattandosi di due canne indipendenti, è esclusa la collisione frontale. Ma poiché i treni non viaggiano in retromarcia, sono previsti i punti di cambio corsia, dove un convoglio può passare da una canna all’altra. Tutto, si capisce, «nell’eventualità». Dopo un’altra marcia trasversale raggiungiamo la canna che risale in direzione nord, verso Zurigo, e il treno che ci attende dà un senso di sollievo. Nessuno, vista l’ampiezza e aerazione della galleria (sebbene si avverta l’ossigenazione ridotta), ha avuto disagi da claustrofobia. Ma è anche bello risbucare dal tunnel, dopo l’ultimo tratto, nel sole di Erstfeld. Intorno brillano i monti innevati. A mezz’ora da qui, salendo a Andermatt, si scia.
2016 MAR, GOTTARDO, SVIZZERA. Centrale di esercizio Sud di Pollegio. Centro di controllo tunnel e relativi flussi. © FABRIZIO GIRALDI

Chi sa di storia ricorda che la vecchia galleria del Gottardo, inaugurata nel 1882, tra Airolo e Göschenen, non s’è fermata mai, neanche durante la Seconda guerra mondiale, quando Hitler non osò invadere la Confederazione, neutrale, armata e dall’orografia complessa. Nel 1941 dal Gottardo transitarono 8 milioni di tonnellate di merci, in gran parte carbone (non armi, truppe, deportati, lo vietava la Convenzione dell’Aja). Otto milioni di tonnellate non erano poche. Oggi si parla di 50. Ma sono le merci della nuova Europa, che ha vissuto decenni di pace e integrazione politica. Un’Europa purtroppo sempre più scossa da fremiti nazionalisti, da cui la Svizzera, terra dei Rösti e dei Rolex, ancora oggi preferisce stare fuori. Finché potrà.