La candidata-sindaco dei 5 Stelle ha fatto intendere di voler togliere la gestione del servizio idrico all'Acea. Facendo tremare gli investitori, che in questi giorni hanno definito irrealizzabile il progetto. Ma lo studio finanziario su cui si basano i grillini, letto da “l'Espresso”, dice che in teoria si può fare. A patto che Caltagirone e la Cassa depositi e prestiti non si oppongano. Insomma, impossibile

Raggi e la promessa dell'acqua pubblica

Propaganda elettorale o idea realizzabile? Una delle proposte più dirompenti di Virginia Raggi è stata quella dell'acqua pubblica. In varie interviste la candidata sindaco di Roma ha fatto intendere che, se verrà eletta a guidare la Capitale, riporterà la gestione del servizio idrico interamente nelle mani pubbliche. «Con l'acqua non si devono fare profitti», ha dichiarato il 23 marzo a Sky, definendo la gestione attuale «in contrasto con il referendum del 2011» e annunciando perciò di voler «tutelare la volontà dei cittadini» che votarono in maggioranza contro la gestione privata dell'acqua.

Significa che l'Acea, la società quotata in Borsa, con 7 mila dipendenti, tornerà interamente nelle mani del Comune di Roma? Il referendum in questione, in realtà, era molto più tecnico: riguardava la possibilità, per i gestori dei servizi idrici, di farsi remunerare dagli utenti, attraverso la bolletta, il capitale investito. Fatto sta che le dichiarazioni della Raggi hanno riacceso il dibattito su quale sia il modo migliore di gestire l'acqua. Scatenando reazioni contrastanti. Da una parte gli applausi degli oltre 25 milioni di elettori che votarono “sì” al referendum del 2011. Dall'altra gli strali del mondo della finanza.

Da quel 23 marzo il titolo di Acea in Borsa è infatti passato da 14,2 euro a 11,2 euro. Un tonfo del 21 per cento in meno di tre mesi. Quasi tutti gli analisti hanno previsto tempi bui per chi detiene titoli dell'ex municipalizzata romana.

«L'elezione del candidato M5S sarebbe negativa per Acea», ha scritto ad esempio ai suoi clienti Banca Akros. A preoccupare le società d'investimento è la possibile sostituzione di Alberto Irace, amministratore delegato scelto dall'ex sindaco Ignazio Marino e ritenuto un ottimo manager da diversi analisti. Ma soprattutto la possibilità che la Raggi tolga ad Acea il business dell'acqua, il più redditizio per il gruppo. La società che gestisce il servizio idrico di Roma (oltre che di un centinaio circa di altri Comuni del Centro Italia) si chiama Acea Ato2. Il suo controllo, come quello della capogruppo Acea, è in mano per il 51 per cento al Campidoglio, mentre il restante 49 per cento è appannaggio di diversi investitori, primi fra tutti il costruttore ed editore Gaetano Caltagirone, il gruppo francese Suez Environment e il fondo sovrano della Norvegia.

L'ultimo bilancio di Acea dice che il business idrico vale il 42 per cento del margine operativo lordo del gruppo. Come dire che quasi la metà dei profitti arriva da lì. Di questo beneficia anche il Comune di Roma, che come azionista di maggioranza l'anno scorso ha incassato un dividendo pari a 54,3 milioni di euro. Alla Raggi, però, questo non sembra interessare.

Intervistata da Lucia Annunziata domenica 12 giugno, l'esponente dei grillini ha dichiarato, riferendosi al referendum del 2011: «Se ad oggi i vertici di Acea non hanno seguito quell'indicazione, che non si fanno profitti sull'acqua, forse bisogna seguire una strada diversa». Per poi proseguire precisando: «Non vogliamo togliere la quota a Caltagirone, non ne abbiamo il potere, ma se si fanno profitti vanno reinvestiti nel settore idrico». La società, in realtà, scrive di averlo sempre fatto, anche perché è per contratto tenuta a investire i profitti nella gestione dell'acqua.

Nel suo ultimo bilancio, Acea assicura di aver già speso parecchi quattrini per ammodernare il servizio: 204,4 milioni sui 428,9 totali investiti dal gruppo, che fa affari anche con la vendita di energia e la gestione dei rifiuti. Un'inchiesta de “l'Espresso” pubblicata nel gennaio del 2015 aveva dimostrato tuttavia che non sempre i soldi iscritti a bilancio come investimenti corrispondono ad opere effettivamente realizzate. Un punto mai risolto finora nella relazione tra Comune di Roma e Acea.

La questione su cui gli analisti si arrovellano in queste settimane è però un'altra: se dovesse diventare sindaco, la Raggi potrebbe davvero rimettere l'acqua interamente nelle mani del Comune? E la rivoluzione grillina sarebbe sostenibile per le casse dei romani, già alle prese con un bilancio municipale zavorrato dai debiti? Il dibattito ha assunto toni infuocati. Il rivale della Raggi, il candidato del Pd Roberto Giachetti, dopo il primo crollo del titolo in Borsa ha scritto su Twitter: «Si candidano a governare Roma ma pensano di giocare a Monopoli. 71 milioni persi per una frase di Raggi su Acea. Dilettanti allo sbaraglio». Il deputato del Pd, Andrea Romano, si è spinto a chiedere l'intervento della Consob dopo il crollo del titolo in Borsa.


Al di là degli intenti dichiarati, la candidata grillina non ha finora specificato come intende agire concretamente su Acea. Le ipotesi, secondo gli analisti finanziari, sarebbero solo due. La prima prevede la rescissione anticipata della concessione per la gestione dell'acqua, che scade nel 2032. La nuova società creata dal Comune dovrebbe in pratica restituire ad Acea il valore degli investimenti effettuati finora. Che, secondo la società guidata da Irace, sarebbe pari a un miliardo di euro circa. La seconda ipotesi costerebbe ancora di più: 4 miliardi, dice il consulente finanziario Arnaldo Borghesi, intervistato dal quotidiano finanziario “MF”. Per Borghesi, infatti, se la Raggi vuole ripubblicizzare l'acqua deve prima ricomprarsi tutta l'Acea. Operazione che richiederebbe il lancio di un'opa totalitaria da circa 1,7 miliardi di euro, cui si aggiungerebbero i quattrini necessari per rimborsare il debito societario, pari oggi a 2,2 miliardi. Insomma, per molti osservatori il piano della Raggi è solo «propaganda elettorale».  

Ma cosa ha in testa davvero la candidata dei 5 Stelle? Secondo quanto risulta a “l'Espresso, c'è uno studio che circola tra i grillini. È un rapporto redatto dal commercialista comasco Jonata Cafaro (Studio Lillia) e da Merian Research, una piccola società di ricerche finanziarie fondata da Claudia Apel e Mauro Meggiolaro, consulenti di Banca Etica. Lo studio è stato commissionato nel 2012 dal “Coordinamento Romano Acqua Pubblica”, un'associazione di cui all'epoca faceva parte anche Federica Daga, oggi parlamentare dei 5 Stelle e molto ascoltata dalla Raggi in tema di acqua. In sintesi, la ricerca prevedeva queste mosse.

Acea Ato 2 verrebbe scorporata da Acea con una delibera del Comune di Roma e degli altri municipi coinvolti. Gli stessi fonderebbero poi un'azienda speciale di diritto pubblico, come quella creata a Napoli dal sindaco Luigi De Magistris con lo stesso scopo. A quel punto, la nuova azienda acquisterebbe le quote di Acea Ato 2 in mano ai privati. Il costo ipotizzato nel rapporto è di 275 milioni di euro. Che arriverebbe a 395 milioni considerando il finanziamento: il Comune prenderebbe infatti in prestito la cifra dalla Cassa depositi e prestiti, che ha tra i suoi compiti quello di finanziare gli enti locali a tassi agevolati, pagando un tasso d'interesse del 5,8 per cento, secondo l'ipotesi dei ricercatori. L'esborso annuale sarebbe pari a 30,4 milioni, per 13 anni.

A ciò si aggiungerebbero altre due voci di spesa. Quella necessaria per rinegoziare il debito di Acea Ato 2: avvalendosi anche qui della Cdp,  che presterebbe 480 milioni di euro sempre a un tasso del 5,8 per cento, il Comune spenderebbe 36,5 milioni per 25 anni. Lo studio considera anche il rimborso degli investimenti ad Acea, per cui servirebbero 60,3 milioni all'anno fino alla fine della concessione, nel 2032. Totale: circa 2,5 miliardi, pari a 127,2 milioni all'anno. Troppo per un Comune indebitato come quello di Rom? No, concludeva il Coordinamento romano per l'acqua pubblica, perché la cifra è pari al flusso di cassa di Acea Ato 2.   

Per capire se la proposta in questione è davvero praticabile, però, bisogna tenere in considerazione alcuni aspetti. Secondo lo stesso Meggiolaro, uno dei due ricercatori che ha preparato lo studio, «al di là dei quattro anni trascorsi da quando avevamo studiato il bilancio di Acea, l'incognita principale è politica: le cifre in ballo sono alte, il progetto può andare in porto solo se c'è la volontà da parte della Cassa depositi e prestiti di prestare soldi a tassi bassi al Comune di Roma». Attualmente Acea Ato 2 è infatti finanziata dalla capogruppo Acea, quella quotata in Borsa, che non le applica interessi di favore.

L'idea dei grillini prevede di sostituire Acea con la Cdp o un'altra istituzione che possa prestare denaro a tassi più contenuti. Ed ecco il primo scoglio: Claudio Costamagna e Fabio Gallia, i due manager scelti dal premier Matteo Renzi per guidare il forziere pubblico, saranno disposti a seguire il progetto della candidata sindaco della Capitale? Se anche fosse così, la Raggi dovrebbe risolvere un'altra sfida. Per permettere alla nuova Acea Ato2 di ripagare i debiti e avere i quattrini necessari per migliorare una delle reti meno efficienti d'Italia «bisognerebbe anche aumentare la generazione di cassa e lì, visto che i ricavi provengono da attività regolamentata, quindi sono praticamente fissi, bisognerebbe intervenire sui costi», dice Meggiolaro.

Tradotto? Tagli agli sprechi, ma magari anche ai servizi e al personale. Senza considerare l'ultima incognita, altrettanto rischiosa. Come detto, il piano che circola tra i grillini prevede che con una delibera il Comune, azionista di maggioranza di Acea, scorpori Acea Ato 2. Vendendo quest'ultima, però, la capogruppo perderebbe quasi la metà dei suoi profitti (il 42 per cento del margine operativo lordo, appunto). Come la prenderebbero gli azionisti privati di Acea, dai francesi di Suez a Caltagirone? Male, probabilmente, tanto da mettersi di traverso e impedire al Comune lo scorporo. In quel caso l'unica strada per la Raggi sarebbe l'Opa totalitaria. Ma per farla il costo dell'operazione aumenterebbe di molto. Così tanto, forse, da renderla irrealizzabile.

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