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Il problema è che il primo greggio doveva essere estratto nel 2005, invece undici anni dopo è ancora tutto fermo. Un flop clamoroso per l’Eni e il Kazakistan, che grazie ai proventi del tesoro contavano di arricchirsi. Il fallimento, però, non ha coinvolto tutti. In attesa dei barili di oro nero, qualcuno si è infatti già riempito le tasche con decine di milioni di dollari. Tangenti, sostiene la Procura di Monza, che ha appena concluso un’indagine per corruzione internazionale.
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L’inchiesta dei magistrati brianzoli si aggiunge a quella già avviata dai colleghi di Milano, sempre per corruzione. E come quest’ultima riguarda gli anni in cui alla guida dell’Eni c’era Scaroni, oggi vicepresidente del gruppo finanziario Rothschild. Va detto subito che né l’Eni né il manager vicentino sono indagati, e che anzi la società si dichiara «potenziale danneggiata».
L’indagine del pm Walter Mapelli non ipotizza che i vertici del gruppo italiano sapessero delle presunte tangenti. Si limita a ricostruire il giro di mazzette pagate in cambio di appalti sul giacimento di Kashagan. Tangenti per quasi 25 milioni di euro. Partite da due medie imprese italiane. Transitate attraverso misteriosi intermediari in decine di società sparse dalle Bahamas a Cipro. E finite a quattro persone.
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Due di loro hanno lavorato per l’Eni in Kazakistan. Il primo si chiama Paolo Dentali, manager del gruppo fino al 2011. L’altro è Idenov Maksat: dopo aver ricoperto la carica di vicepresidente di Kazmunaygas, il colosso pubblico che con Eni decideva a chi affidare gli appalti, nel 2010 Maksat ha cambiato azienda. Ed è finito proprio nella multinazionale italiana, con la carica di vicepresidente esecutivo. Gli altri due corrotti, per la Procura di Monza, sono invece dirigenti di Stato kazaki. C’è Bolat Nazarov, già manager di Kazmunaygas. E Timur Kulibayev, il nome più noto di questa vicenda. Sposato con Dinara, la figlia prediletta di Nursultan Nazarbaev, potrebbe infatti essere lui a sostituire a tempo debito il padre padrone dell’ex repubblica sovietica. Ipotesi avvalorata dalle cariche che Nazarbaev stesso, 76 primavere e padre di tre figlie femmine, gli ha già affidato nel corso degli anni: dalla presidenza di Samruk-Kazyna, la holding che controlla tutte le società pubbliche, al posto nel cda di Gazprom, il braccio energetico della Russia di Vladimir Putin.
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Non è la prima volta che Kulibayev viene accusato di corruzione. Nell’inchiesta della Procura di Milano, che riguarda sempre i contratti di fornitura per i giacimenti kazaki partecipati da Eni, i magistrati hanno scoperto che tra le società che incassavano tangenti c’era anche la Enviro Pacific Investments, registrata nelle Isole Vergini Britanniche. Dai conti della Enviro sono partiti i bonifici serviti al genero di Nazarbaev per comprare dal principe Andrea d’Inghilterra la sontuosa villa di Sunninghill Park, fuori Londra, pagata 15,5 milioni di sterline. E la stessa Enviro compare, nel rapporto affidato dalla Procura di Monza al consulente tecnico Roberto Pireddu, come beneficiaria di 1,5 milioni di dollari. Tangenti, sostiene il pm Mapelli.
Come avviene abitualmente nel settore degli idrocarburi, Eni gestisce il progetto di Kashagan insieme ad altre aziende. I soci sono l’americana Exxon, l’anglo-olandese Shell, la francese Total, la kazaka Kazmunaygas, la cinese Cnpc e la giapponese Inpex. Oltre alla quota azionaria, però, il gruppo italiano fino al 2008 ha avuto anche il ruolo di operatore unico del consorzio. Un colpaccio, perché l’operatore decide a chi affidare tutti gli appalti. Ogni dollaro da spendere, insomma.
Così è stato fino al dicembre del 2007, quando i continui ritardi e le mire dei concorrenti hanno costretto Eni ad accettare l’affiancamento di Exxon, Total e Shell. Dettagli importanti per capire le accuse mosse dalla Procura di Monza, che riguardano proprio gli anni a cavallo del cambio di operatore.
L’indagine riguarda infatti due contratti approvati fra il 2007 e il 2012. Appalti affidati da Eni al consorzio italiano Dinamo, formato da due installatori di impianti elettrici. Che cos’hanno di particolare questi contratti? Il fatto di essere lievitati nel tempo grazie a numerose revisioni. Uno è passato da 73 milioni di dollari a 492 milioni. L’altro da 39 milioni è schizzato in meno di un anno a 381 milioni. La Procura sostiene che siano state pagate tangenti per un totale di 24,5 milioni di dollari.
Mazzette distribuite grazie alla mediazione di due persone. Il primo è Massimo Guidotti, 54 anni, di Firenze. Di lui aveva parlato ai magistrati già nel 2007 Mario Reali, ex rappresentante di Eni in Russia, l’uomo da cui sono partite tutte le indagini sulla presunta tangentopoli kazaka finora avviate dalla magistratura italiana. Reali ha sostenuto in più circostanze che Guidotti, ex dirigente della Nuovo Pignone poi diventato collaboratore della società francese Cifal, è stato per anni l’intermediario delle stecche pagate sui contratti di Kashagan. Per la procura di Monza Guidotti ha svolto questo ruolo finché la compagnia di Stato italiano ha avuto l’incarico di operatore unico. Poi è arrivato Hormoz Vasfi, iraniano con triplo passaporto (anche svizzero e italiano), 52 anni, finito di recente nelle cronache mondane come fidanzato della modella e attrice romana Yvonne Sciò, ma soprattutto gestore di una manciata di società registrate in giro per il mondo, da Cipro alle Bahamas, e di due conti correnti svizzeri, chiamati Padlock e Piccoli Alberi.
Una ragnatela costruita per mascherare il giro di tangenti, sostiene la Procura, che perciò ipotizza l’associazione criminale per alcuni indagati. In attesa degli sviluppi giudiziari, in Kazakistan sembra tutto pronto per l’avvio della produzione di Kashagan. «In autunno», confida Nazarbaev «A fine 2016», precisano dall’Eni. Sicuramente in ritardo di almeno undici anni. La svolta dipenderà dai nuovi tubi che dovranno trasportare il mix di gas e petrolio estratto dai fondali del Caspio. Una miscela ricca di acido solfidrico, lo stesso che tre anni fa corrose le condutture causando l’ennesimo blocco produttivo. Sarà questa la volta buona? Di certo, nel frattempo il tesoro di Astana si è guadagnato un altro primato: quello di giacimento più caro al mondo. A fine 2015 l’investimento di Eni era arrivato a 9 miliardi di dollari sui 50 miliardi spesi dall’intero consorzio. Un salasso pagato da colossi in buona parte a controllo pubblico, proprio come l’Eni. E al cui incremento, se si dimostreranno vere le accuse della magistratura italiana, avrà contribuito in parte anche la tangentopoli kazaka.