Tra una Sagrada Familia trasformata in parco acquatico, un numero sconsiderato di centri commerciali e un’invasione di replicanti con immancabile selfie stick, lo scrittore dà vita a una città di androidi, profeticamente nuova, come quella di oggi: decisa a riscrivere il suo futuro

Non saranno il governo di Mariano Rajoy, né la mano forte della Guardia Civil, né le pressioni dell’Ue, e neppure le resistenze dei catalani di sangue blu a minacciare il sogno di una Catalogna indipendente. Ma un pericolo più affilato e subdolo, che già quest’estate ha acceso un gran dibattito, e distratto per un momento dalla febbre del referendum, culminando in una minaccia inquietante e secca incisa all’ingresso di Parc Güell: Gaudí vi odia.

Benvenuti a Barna City, contrazione di Barcellona, città distopica ma neanche troppo, appena uscita dalla fantasia di Pablo Tusset: nom de plume che è già in sé un programma, di David Cameo, catalano doc classe 1965, lontano dal mondo editoriale da oltre dieci anni, dopo il successo dei libri “Il meglio che possa capitare a una brioche” e “Nel nome del porco” (Feltrinelli). E appena riapparso in libreria, con l’improntitudine e la visionarietà degli scrittori autentici, a tratteggiare la città in preda alla più grande pestilenza della contemporaneità: il turismo di massa.

“Sakamura y los turistas sin karma” (Ediciones Destino), non ancora tradotto in italiano, è un delirio di umorismo con un ottuagenario maestro zen, Takeshi Sakamura, per protagonista e un hacker antisistema per aiutante, una certa Lilith che già dalla felpa evoca Lisbeth Salander di “Millennium”. Entrambi sono decisi a sgominare una banda di turisti giapponesi che seminano il panico tra vecchi e bambini.

Ma ciò che più affascina del romanzo è lo scenario: una Barcellona futuribile, capitale della Extrema Europa, piegata ai grandi numeri del turismo, che ha mutato persino la toponomastica in favore delle stelle del rock, per essere più friendly con i visitatori mordi e fuggi: Paseo Elvis King, rambla Bruce Springsteen, plaza Gloria Gaynor, pasaje Ziggy Stardust e il Gothik Side al posto del celebre Barrio Gotico.

Tra una Sagrada Familia trasformata in parco acquatico, un numero sconsiderato di centri commerciali e un’invasione di replicanti con immancabile selfie stick, Tusset incorpora nella storia le sue competenze informatiche, dando vita a una città di androidi, non di rado ridicoli, che mentre mettono in moto dolorosi meccanismi sociali e urbanistici di gentrification, si esprimono per hashtag e misurano la loro identità dai like sui social.

Surrealista nel Dna, con immancabile basco in testa, alla maniera dei Mossos d’Esquadra, Tusset dipinge insomma una Barcellona che non ha niente a che vedere con quella di Manuel Vázquez Montalbán, “hijo de barrio verdadero”, figlio del barrio Chino, tra marinai e puttane, il Futbol Club Barcelona e i locali fumosi antifranchisti. E neppure quella post-olimpica, con la campagna “posa’t guapa Barcelona” a scandire la frenetica modernizzazione.

Una Barcellona suggestiva come la Los Angeles di Blade Runner, ma vivida e affollata come gli scatti di Martin Parr. Ciutat profeticamente nuova, come quella di oggi: decisa a riscrivere il suo futuro. La Barcellona che verrà?

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