Pubblicità
Inchieste
novembre, 2017

«Mezzo miliardo per un Leonardo? Meglio degli sprechi dell'arte contemporanea» 

Il "Salvator Mundi" da 450 milioni di dollari è autentico? È morale spendere tanto per un'opera? E soprattutto, adesso dove finirà? Pietro Marani, uno dei più grandi esperti internazionali di Da Vinci, discute con L'Espresso dell'asta dei record. Rispondendo alle domande circolate in questi giorni

Ha dovuto resistere alla polvere, ai secoli, a ridipitture rozze; sopportare il buio dei caveaux e i fari dei selfie durante l'ultimo tour; barcamenarsi fra cause legali, pubblicità smaccate e migliaia di articoli, commenti, pareri. Adesso, ricoperto di denaro, deve affrontare un destino incerto. Il “Salvator Mundi” attribuito a Leonardo Da Vinci è appena stato battuto all'asta più ricca di sempre. Venduto da un magnate russo a un acquirente ancora ignoto per 450 milioni di dollari, è il feticcio del momento. Il New York Times vi ha dedicato un editoriale firmato dalla redazione (per la prima volta sull'arte), lo staff di Christie's non si è ancora ripreso dal rush dei record, ogni quotidiano dalla Cina al Sud America sta dicendo la sua sulla vicenda, sotto l'aspetto estetico o morale, sui retroscena o sulla campagna di marketing che ha preceduto l'incanto. A poter parlare con competenza reale, provata, della tavola, sono però in pochissimi.

Fra questi pochissimi c'è sicuramente Pietro Marani, uno dei maggiori esperti internazionali di Leonardo, oltre che uno dei quattro studiosi chiamati in causa in questi giorni quale conferma eccellente dell'autenticità dell'opera: in occasione della riscoperta del “Leonardo perduto” (sotto strati di pitture successive) da parte dell'antiquario americano Robert Simon, infatti, Marani potè osservare il dipinto da vicino nel 2009. E vide un Da Vinci.

È proprio da quel parere però che vuole ripartire ora lo studioso per discutere con L'Espresso dell'asta del secolo. «Ho una premessa», chiede infatti: «La nostra non fu un'autenticazione ufficiale. Eravamo stati chiamati alla National Gallery di Londra per esaminare i progressi dei restauri scientifici sulla Vergine delle Rocce. In quell'occasione ci mostrarono il Salvator Mundi. Fu una proposta inaspettata. Non ci chiesero perizie, o studi; nessun testo scritto, nessuna dichiarazione ufficiale. Solamente eravamo lì, di fronte alla tavola. E ci siamo entusiasmati, sì, discutendone fra noi. Diane Modestini, la restauratrice, ingaggiata da Simon, aveva già tolto la maggior parte delle orrende ridipinture con le quali era stato coperto l'originale. Restava una netta spaccatura della tavola che attraversava l'occhio destro, su cui era ceduto del colore».

Sta mettendo in dubbio l'attribuzione di allora?
«No, assolutamente, sto solo circoscrivendo il contesto di quella prima analisi. All'epoca a noi apparse evidente la mano di Leonardo; idea che ho poi confermato osservando il quadro alla mostra di Londra del 2011»

Su cosa si fonda il suo “è un Leonardo”?
«È la qualità della materia a rendere uniche le sue opere. Il suo modo di stendere i pigmenti. La pittura di Leonardo è fatta di niente. La materia appoggiata alla superficie dalle pennellate è talmente leggera da scomparire e definire al tempo stesso»
salvator mundi da vicino

Quindi lo ribadisce: è un originale?
«Mi riferisco qui alla qualità delle parti buone, ovvero tutto ciò che sta intorno alla testa – dove invece gli interventi successivi hanno compromesso definitivamente l'originale, di cui non resta niente. Sono di Da Vinci le mani, tutte e due, alcuni riccioli, il globo di cristallo di rocca, fatto di nulla, appunto, con qui frammenti vegetali al suo interno, e i panneggi. Quindi sì, avvallo l'attribuzione: in origine, era un buon Leonardo, adesso rimasto in condizione frammentaria, in parte manchevole»

Lei lo definirebbe una “Monna Lisa” al maschile come è stato detto e scritto partendo dai comunicati stampa di Christie's, in questi ultimi giorni?
«Ma no, che stupidaggine. Questo è un quadro profondamente sacro. C'è la posa frontale, insolita per Leonardo ma frequente nell'impostazione iconografica del Cristo Salvatore, basti pensare agli esempi di Melozzo da Forlì, Antonello da Messina. Quello che qui è straordinario è il modo con cui il volto luminoso emerge dalle tenebre, con quello sfumato di Leonardo che sospende la cesura fra tenebre e luce. Doveva essere davvero un esemplare straordinario, in origine»

Sulla datazione?
«Avendoli potuti confrontare da vicino, trovo che gli azzurri stesi nel mantello del Salvator Mundi si ritrovino simili nella seconda copia della Vergine delle Rocce. Per cui escluderei una datazione precoce, come quella proposta; collocherei piuttosto la tavola come successiva ai disegni preparatori, datati al 1504, 1505. Il periodo è lo stesso del Giovanni Battista del Louvre»

Fu un'attribuzione dibattuta già all'epoca. In Italia la contestò ad esempio frontalmente il professor Carlo Pedretti, autorità mondiale su Leonardo. Con i 450 milioni di dollari di vendita, adesso, le polemiche non hanno fatto che aumentare. Lei come ha vissuto il fatto di assecondare un'attribuzione che avrebbe comportato per il privato gallerista un beneficio economico straordinario? Come si evita la pressione del mercato?
«Ovviamente non mi faccio influenzare, nelle considerazioni artistiche, tecniche e storiche, dalla proprietà, che sia pubblica o privata. In questo caso specifico poi, non ho ricevuto pressioni e non ne avrei tratto in ogni caso nulla, a prescindere dall'esito: come gli altri colleghi con cui discussi quel giorno, non avevamo né abbiamo niente a che spartire con la proprietà. Sull'attribuzione, che dire: avendo seguito il restauro del Cenacolo, esser stato parte della commissione scientifica sulla Sant'Anna, aver potuto osservare la Gioconda fuori dalla cornice, su invito dei conservatori del Louvre, fra le altre cose, penso di poter parlare con qualche competenza. Così come i numerosi esperti che hanno confermato l'autenticità del Salvator Mundi, fra cui Mina Gregori. È fastidioso vedere questa gara, ora, scatenata dalla cifra raggiunta nella vendita, per trovare il dettaglio non conforme. Del professor Pedretti mi dispiace solo che non abbia potuto eseguire un esame più diretto dell'opera. Ed è una questione dolente anche per me, che riguarda la proprietà»
salvator mundi asta due

Il fatto che sia di un privato cioè ha condizionato la possibilità di studiare  la tavola?
«Portai avanti personalmente due anni di trattative per avere il Salvator Mundi alla mostra su Leonardo che ho curato nel 2015 a Palazzo Reale, a Milano, in occasione di Expo. All'epoca vi era grande opacità su dove fosse la tavola e Simon, da cui passavano le comunicazioni nel mio caso, fra me e il titolare, mi ripeteva che non volevano farla vedere, che preferivano non attirare attenzione. Ma mettere a disposizione della comunità, del pubblico e degli studiosi, un'opera come quella, penso sia un dovere. Le mostre sono occasioni proprio per studiare le opere, mostrarle a un circuito diverso»
Inchiesta
L’arte va offshore: così il commercio delle opere aggira il fisco
13/12/2016

Il quadro era passato in poco tempo dalle mani di Yves Bouvier, uno dei più importanti operatori logistici del mercato dell'arte, proprietario di freeport a Singapore, Lussemburgo, e fino a poco fa, Ginevra, a quelle del miliardario russo Dmitry Rybolovlev, che l'aveva acquistato da Bouvier per 125 milioni di dollari. Su quella transazione, come su altre avvenute nello stesso periodo, è in corso una causa legale da miliardi, per le plusvalenze eccessive che il magnate, proprietario dell'As Monaco Calcio, accusa Bouvier di aver ricevuto (20 milioni di dollari solo sul Salvator Mundi). L'asta che l'ha assegnato per 450 milioni, tre volte tante quel record, non sembra aver sospeso la contesa, per ora. Come non erano bastate le dimissioni del ministro alla giustizia del principato di Monaco, a settembre, dovute alla pubblicazione da parte di Le Monde degli sms che questi si scambiava proprio con Rybolovlev. In alcune mail risalenti al 2013 e pubblicate da Le Temps, Bouvier scriverebbe: «La decisione di comprare il quadro dev'essere legata solo alla sua bellezza […] È importante non considerarlo un investimento perché non lo diventerà mai […] Chi pagherà troppo caro questo quadro che non vuole nessuno, sarà considerato come un “piccione” e sarà “lo zimbello” del mercato dell'arte, perdendo ogni credibilità». Secondo lei, quella tavola vale 450 milioni di dollari?
«Se fosse per un dipinto in ottime condizioni, probabilmente sì. Di Leonardo Da Vinci ne sono rimasti pochissimi, in mani pubbliche o private. Ho solo una  riserva sullo stato di conservazione, ma stiamo parlando di Leonardo. Non ci sono confronti»

Si tratta di mezzo miliardo di dollari. Per un quadro. Si è discusso molto anche dell'aspetto morale di questa vendita.
«Certo, è una cifra allucinante. Ma mi chiedo: se non per Leonardo, per chi andrebbe spesa, nell'arte? Abbiamo visto valori stellari attribuiti a opere contemporanee spaventose, realizzate solo per il mercato, non per la cultura, vendute a decine di milioni di dollari. Quelle speculazioni sì che sono immorali. Io spero che questo record al contrario faccia ricordare che cosa vale sul serio, nell'arte. Non posso accettare falsi moralismi da chi non ritiene terrificanti copie in bronzo senza alcuna valenza artistica, spacciate per opere arte in mostre di grande risonanza, come avvenuto a Venezia [si riferisce a Damien Hirst] di cui mi dicono siano stati già venduti quasi tutti i pezzi a fondi d'investimento»
Salvator mundi asta

Dove finirà adesso il Salvator Mundi? Alcune analisi pubblicate in questi giorni, prevedono due scenari. Il primo: che il compratore, ancora anonimo, sia qualcuno che potrà rientrare dall'acquisto portando l'opera in tournée, approfittando dell'hype scatenato dall'asta per innescare code a vedere la star. Il secondo: di chi sostiene, come Tim Schneider, che il collezionista abbia in fondo comprato più il suo diventare un marchio, “la persona che ha speso la cifra più alta di sempr, per un'opera d'arte”, piuttosto che la tavola. Insomma, Leonardo sarebbe finito in una gara d'identità fra ultra-ricchi. Rischiando di esser destinato com'era prima a un caveau. Lei che ne pensa?
«Penso che entrambe le possibilità qui delineate esistano, e siano deplorevoli. Nella comunità scientifica circola la speranza che il quadro sia stato invece acquistato da un museo, il luogo più adatto per mettere la tavola a disposizione degli studiosi»

Nel 2019 ricorrerà il cinquecentenario dalla morte di Da Vinci. Affioreranno nuovi “ritrovamenti”?
«Diciamo che di ritratti di Isabella d'Este o cavallini di bronzo fusi negli anni 2000 e attribuiti a Da Vinci ne abbiamo visti in passato. Purtroppo un esemplare pagato così tanto rafforzerà la corsa, e ci sarà chi cercherà di cavalcare il centenario». Ma sono marginalia. Ciò che conta è la materia, dice, la sostanza di cui è fatto un Leonardo. E non sta nel prezzo.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità