
Ci fu un tempo in cui le Nazioni Unite, pur impacciate a causa del diritto di veto per i Paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, emanavano fascino e prestigio. Partecipare alle missioni dei caschi blu era un onore. Quando ha cominciato a sgretolarsi l’ordine sancito a Yalta, con esso è andato metaforicamente in frantumi anche il Palazzo di Vetro. Caduto il Muro di Berlino, l’Onu è dapprima morta a Sarajevo nell’incapacità e addirittura nell’ignavia dei suoi soldati che non hanno saputo fermare il massacro in città che avevano pomposamente dichiarato “protette”. Poi è rimorta e rimuore ogni volta che qualcuno tenta una disperata rianimazione con la respirazione bocca a bocca.
L’ultimo colpo fatale, e più vigliacco perché si accaniva contro un corpo già morto, l’ha inferto George Bush il figlio quando si è armato ed è partito con la sua coalizione dei volenterosi per il deserto iracheno dopo che non era riuscito a convincere le Nazioni Unite a firmargli quel benedetto lasciapassare per usarlo come una foglia di fico. Caduta la foglia, è rimasto nudo il concetto di legalità da ricercare quando si tratta di usare le armi per risolvere i contenziosi tra gli Stati. Qualcuno per riflesso condizionato e finzione ipocrita va ancora a New York a presentare domandina per poter bombardare (Sarkozy e Cameron con la Libia), salvo affrettarsi a passare ai fatti e interpretare in modo estensivo l’ok ricevuto.
In tempo di populismo maturo, col ritorno prepotente dell’idea di Stato nazione e di sovranità, la conseguenza è la svalutazione di ogni organismo internazionale in grado di mettere lacci e laccioli a leader che accettano un giudizio solo dal “loro” popolo. L’Onu? Un oggetto di antiquariato.