La seconda pelle di Napoli

Da Malaparte a Villari e Ortese. Paolo Macry racconta la città e gli scrittori che l'hanno amata. Attaccati in modo violento

Omeostasi è una parola rassicurante, anche di questi tempi. Anzi, soprattutto di questi tempi. Si tratta della tendenza naturale, propria dei viventi, a mantenere una relativa stabilità, nonostante il continuo variare di fattori esterni e interni. È, in definitiva, un insieme di meccanismi autoregolatori che dovrebbero essere la garanzia della nostra sopravvivenza. Paolo Macry, storico e napoletano di adozione, scrive su Napoli un libro lucido, lucido e fondamentale per capire la città, ma anche per capire l’Italia.

E Macry parla di Napoli proprio come di una macchina omeostatica: «Alternativamente, Napoli può essere illustrata come un grande corpo al cui interno pesi e contrappesi si mischiano e si bilanciano. E non in modo istintivo o fortuito, ma con accorta, organizzata complessità. Una macchina omeostatica, verrebbe da dire. È questo il suo tratto distintivo? Della città, generazioni di pubblicisti hanno lamentato la miseria, il mattone selvaggio, la criminalità, il parassitismo. E tuttavia, se Napoli non ha imboccato con passo deciso la crescita civile ed economica, neppure è finita all’inferno».

Quindi un sostanziale equilibrio che Macry racconta decostruendo tutto ciò che di Napoli si sa, o si crede di sapere, esortando il lettore/visitatore a un approccio aperto. Il risultato è sorprendente anche per chi Napoli l’indossa come una seconda pelle, è sorprendente anche per chi ne conosce ogni respiro. Vale ancora una volta la pena ricordare Curzio Malaparte, quando diceva che per capire cosa sarebbe accaduto altrove era a Napoli che bisognava guardare. E non lo diceva, Malaparte, per creare attorno a Napoli il mito della città entropica, città del caos verso cui tutto tende, ma perché di Napoli conosceva i drammi e conosceva soprattutto le soluzioni che ai drammi venivano trovate.

Esattamente come Macry, che descrive una città in continuo movimento e che, con sguardo da storico, riesce a rappresentare come organismo dinamico, ordinato (sì proprio ordinato!), che tende alla stabilità (esatto, alla stabilità!).

La bibliografia su Napoli è smisurata, la sua fama la precede di migliaia di chilometri, ma non basta a raccontare un territorio che è aperto più di altri all’innovazione (sia positiva che negativa) e che ha una inusuale propensione ad abbracciare il sovrano. Una inclinazione che appartiene all’Italia intera ma che a Napoli si manifesta in maniera tanto più evidente. Napoli aveva abbracciato, prima che lo facesse il resto del Paese, dimostrandosi ancora una volta laboratorio, quel modello di politica populista efficace dal punto di vista del consenso, molto meno sul piano dell’efficienza amministrativa.

Un modello che ha certo tratto vantaggio dalla crisi di altri partiti, ma che prima del M5S ha proposto il superamento delle categorie di destra e sinistra, ponendo al centro il popolo. E come accade anche nel resto del Paese, a questo populismo sbandierato fa da contraltare una identità assai debole che risponde disorientata a chiunque muova critiche strutturate. Ci si offende davanti a qualunque analisi che diventa così ingiuria, attacco proditorio, e alle critiche si risponde in maniera violenta, scomposta, come fosse la reazione a una pugnalata mortale all’orgoglio della città.

«Le accuse erano sempre le stesse», scrive Macry. «A Villari era stato rimproverato di parlare senza conoscere le cose. A Serao avevano chiesto chi la pagasse. A Malaparte, Ortese, Saviano rinfacciavano di lucrare sui mali di Napoli per ricavarne successo personale. Quando furono pubblicate le “Lettere meridionali”, per esempio, nacquero accese polemiche. Si disse - lamentò lo stesso Villari - che “non conoscevo Napoli, perché da molti anni ne ero lontano. Che la miseria della plebe napoletana era nulla in confronto di quello che si vedeva a Londra”. Allora Villari si era recato nella capitale britannica e ne aveva visitato i quartieri più poveri, trovandoli però in condizioni assai migliori: “lo scrissi e lo pubblicai. Era anglomania”».

Come ogni fatica letteraria, questo di Macry è un lavoro pieno di affetto per una città adottiva che, forse proprio perché adottiva, è davanti al suo sguardo completamente nuda. “Napoli. Nostalgia di domani” (Il Mulino) è un libro pieno di gratitudine per una città che non lascia mai soli. È un libro che, nonostante il coinvolgimento dell’autore, ha una dote rara: una serena lucidità.

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