Le dimissioni di Dario Eduardo Viganò, potente prefetto della Segreteria per la Comunicazione, non sono motivate, come stanno scrivendo con approssimativa celerità alcuni ultrà bergogliani, dalla guerra della curia contro le riforme volute da Francesco. Né da piccoli «errori di comunicazione» che il monsignore esperto di comunicazione avrebbe pagato a prezzo troppo caro.
Le dimissioni di uno dei principali collaboratori di Bergoglio sono state provocate da una clamorosa manipolazione che il prefetto ha operato su una lettera, peraltro “riservata”, di Benedetto XVI. Che Viganò ha utilizzato per fabbricare quella che è, a tutti gli effetti, una fake news. Una contraffazione attraverso cui, qualche giorno fa, il Vaticano ha pubblicizzato non solo l'uscita di alcuni volumi sull'opera teologica di Francesco. Ma pure festeggiato al meglio – grazie alla lettura pubblica della lettera di Benedetto XVI, con significativi complimenti per Francesco – il quinto compleanno dell'elezione del papa argentino.
Ebbene, si è presto scoperto che nel comunicato stampa fatto circolare da Viganò, capo assoluto di tutti i media della Santa Sede, sono stati diffusi solo alcuni capoversi del documento di Ratzinger. Quelli (che hanno subito fatto il giro del mondo) nei quali il teologo tedesco respingeva con fermezza «lo stolto pregiudizio» secondo cui Francesco sarebbe solo «un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica» e Benedetto XVI «unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi».
Gli altri due capoversi della missiva, invece, sono stati espunti, cancellati. Come mai questa scelta? Il motivo è nel contenuto imbarazzante della missiva.
Ratzinger infatti non solo definisce ironicamente «volumetti» i libri dedicati al suo successore, ma chiarisce anche di non volerli leggere sia «per ragioni fisiche» sia «per altri impegni che ho già assunto», e aggiunge che per questi motivi non scriverà la prefazione agli stessi che Viganò, in una precedente lettera, gli aveva chiesto. Un gran rifiuto, dunque.
Non è finita. Nella lettera “personale-riservata”, che porta la data del 7 febbraio e che il prefetto dimissionario decide di sfruttare (risulta all'Espresso senza l'autorizzazione del papa emerito) un mese dopo per la campagna di lancio dell'opera teologica su Francesco, Benedetto XVI bacchetta pesantemente gli ideatori di tutta l'operazione. Spiegando a Viganò di essere rimasto «sorpreso per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hunermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative antipapali».
Un teologo, continua Ratzinger, «che attaccò in modo virulento l'autorità magisteriale del papa specialmente su questioni di teologia morale». Benedetto XVI si congeda così: «Sono certo che avrà comprensione per il mio diniego (a scrivere la prefazione all'opera su Francesco, ndr) e la saluto cordialmente».
Ricevuta la risposta negativa, Viganò non si dà per vinto. Da audace uomo della propaganda decide di usufruire (possibile che Francesco non avesse letto la lettera e non avesse contezza della strategia di Viganò?) delle prime righe a suo vantaggio. Omettendo scientemente le parti più imbarazzanti (il capoverso sui «volumetti» viene letto in sala stampa, ma cancellato nel comunicato ufficiale; le critiche ai teologi autori dei libri del tutto espunte) e usando persino un programma di photoshop per rendere illeggibili, in una foto in cui compare la lettera a fianco ai “volumetti”, alcune righe del documento.
La strategia sembra inizialmente funzionare: tg e giornali raccontano la lettera come la prova definitiva della profonda sintonia tra i due pontefici.
La vicenda della manipolazione, una di quelle fake news che lo stesso Francesco ha definito come «serpenti astuti», viene alla luce qualche giorno dopo, grazie agli scoop del blog dell'Espresso Settimo Cielo di Sandro Magister e a quelli dell'Ap firmati da Nicole Winfield. Gli articoli provocano – soprattutto all'estero - enorme scalpore: il passo indietro di oggi è il finale inevitabile.
Viganò, nella lettera di dimissioni pubblicata stamattina, non fa però alcun mea culpa al suo operato, né Francesco fa alcun cenno alle motivazioni per cui accetta, seppur a malincuore, la rinuncia l'incarico.
Lo scandalo è rilevante, e dà un nuovo, duro colpo alle riforme portate avanti da Bergoglio. Che ha visto cadere, in pochi mesi, gli uomini che aveva messo a capo dei due dicasteri che lui stesso aveva creato per riformare la curia romana: se Viganò, a capo della Segretaria per la Comunicazione, è uscito di scena in queste ore, il cardinale George Pell, prefetto della segreteria dell'Economia, è stato sospeso dall'incarico lo scorso luglio perché accusato da un tribunale australiano di molestie sessuali su alcuni minori.
Le riforme di Francesco tornano all'anno zero. Ma non solo per colpa degli oppositori interni, che pure sono molti e battaglieri. Ma anche per l'insipienza di alcune scelte di Bergoglio nella selezione della classe dirigente vaticana, e degli errori marchiani dei fedelissimi del suo cerchio magico.