Il rione Sanità di Napoli, luogo fuori dal tempo, dalla legge e dalla speranza
Nell’antichità era zona di sepolture. E ancora oggi c’è il culto dei defunti. Viaggio nei bassi del capoluogo partenopeo, sintesi delle contraddizioni della città (Foto di Ciro Battiloro)
I vivi qui interrogano i morti. Le “cape” (teste) dei morti, i teschi, vengono celebrati come oracoli in un pellegrinaggio spirituale che glorifica il riposo eterno, cosparso però di vita terrena. Sono i due mondi che siedono a fianco, e si intrecciano, in uno stesso quartiere. Qui la morte e la vita, del resto, si confondono da secoli, in epoca greco-romana era luogo di sepoltura, tra necropoli ellenistiche e catacombe cristiane, fino al lazzaretto per l’epidemia di peste del 1656 e il cimitero che ne accolse le vittime. È attorno alla morte che è nato il rione Sanità, è attorno alla morte che vive.
Un quartiere meglio di ogni altro riassume Napoli divisa in due, come due città sovrapposte e distanti, ma che non possono ignorarsi. Il rione Sanità è sospeso tra la rivalsa della città, Capodimonte e il suo museo, e la condanna alla marginalità.
Qui la camorra sparge ancora terrore e oggi si fronteggiano clan un tempo alleati: i Vastarella e i Sequino. Saltati gli equilibri e la stagione dei capi carismatici, il quadro è in continua mutazione e quando gli assetti sono instabili le tensioni sfociano in sparatorie in strada. Droga e racket sono i mercati contesi. Le “stese”, raffiche di proiettili per segnare un territorio, sono la cifra delle bande criminali. Nel settembre 2015 alla Sanità fu ucciso Genny Cesarano, vittima innocente della camorra, ammazzato a 17 anni. Nel quartiere una statua lo ricorda davanti alla basilica di Santa Maria. Il processo si è chiuso con quattro condanne all’ergastolo. Il padre di Genny ha spiegato dopo la sentenza: «Non bisogna fare un processo alla città. Pur tra mille difficoltà, Genny è diventato simbolo del riscatto del quartiere».
Marco si è fatto tatuare il nome di sua figlia sul braccio destro: Elena. Vive qui insieme alla compagna Rita. Hanno due bambine, sono disoccupati, ma si arrangiano. Marco di notte lavora. Gira per il quartiere, raccoglie il ferro, lo seleziona e poi lo rivende. Rita, che non ha ancora compiuto 30 anni, spera di potersi realizzare diventando parrucchiera.
Qui vivere è un mestiere difficile. Totò, che nacque alla Sanità, e viene celebrato con una cappella votiva, lo diceva: «Io so a memoria la miseria; non si può far ridere, se non si conoscono il dolore, la fame, il freddo». La miseria, rifuggita come un morbo dalla politica che in questi anni ha relegato la marginalità a suppellettile di scarto.
Gennaro ha un anello per ogni mano. Tira fuori l’accendino e fuma una sigaretta. «Vivo qua da decenni», racconta, « ma non sono stabile: una casa non la tengo». Cambia spesso abitazione, ma non sempre trova un alloggio e talvolta dorme per periodi più o meno lunghi in strada. Gennaro è solo. Ha perso la moglie da circa cinque anni, mentre i suoi figli non li vede più da tempo. Per tirare avanti, anche lui mischia il giorno con la notte. Raccoglie oggetti per strada, rovista nei cassonetti della spazzatura. Cerca, raccoglie, riutilizza e ripara.
Nel rione Sanità «la guerra con la vita», come la chiamava il principe Antonio De Curtis, la conosci da piccolo. Molti bambini sono cresciuti senza lo scudo dei genitori, divisi tra carcere e distacco. Ogni vicolo, con i suoi bassi, case rimediate ai piani terra della strada, depositi trasformati in alloggi, è incrocio di vite. M. la sua infanzia l’ha vissuta da sola, senza padre, senza madre. Entrambi hanno avuto problemi con la legge, e lei, come tanti suoi coetanei, è stata allevata in questo quartiere, che è strada prima che privato.
Qui il privato, nei bassi, a un soffio dai vicoli, non c’è. Ma neanche il pubblico. Nonostante gli sforzi, le iniziative, manca ancora un asilo nido. «C’è solo una scuola elementare», spiega padre Alex Zanotelli, che dopo l’Africa è venuto a fare il missionario qui, «e un istituto superiore, record per dispersione scolastica a livello nazionale. Lo scorso anno, nel primo biennio, che è scuola dell’obbligo, c’è stato il 50 per cento di evasione scolastica e il 74 per cento di bocciati. Ora: è normale che se l’offerta scolastica è così ridotta», conclude padre Alex, «i giovani vivano la strada e qui entrino in contatto con realtà criminali di ogni genere».
Ma quello che sorprende è che questo quartiere, senza uno stato sociale, ha comunque allevato un modello di convivenza. Così, Carlo, nato nel rione, carnagione scura, stringe suo fratello Renato. È cresciuto senza la madre, Lucia, di origini somale, che è andata via quando Carlo ne aveva tre. Dieci anni lontano prima di tornare. Ora si sono ricongiunti e vivono in un basso della Sanità. Tra le comunità etniche più numerose, nel rione Sanità, ci sono i rom.
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Qui è venuto a vivere anche Alfonso. Pino Daniele degli Alfonso di Napoli scrisse: «Chill è nu buon guaglione, e vo essere na signora. Chillo è nu buono guaglione, crede ancora nell’amore» («Lui è un bravo ragazzo, e vuole essere una signora. È un bravo ragazzo, crede ancora nell’amore»). Era il 1979 e i “femminielli”, i travestiti, erano da cacciare. Pino Daniele diede loro voce, la voce che Alfonso per anni non ha avuto. Ha fatto la vita in strada, sotto un lampione. Guadagnava bene, ci campava, ma il prezzo erano gli insulti, le molestie. E i soldi li bruci; gli sputi, le offese, quelli no. Ti si appiccicano addosso e Alfonso ancora oggi è vittima di attacchi di panico. Da tempo non lavora per strada e s’arrangia con qualche sporadico cliente, leggendo le carte, vendendo sigarette sfuse e ospitando per pochi soldi qualcuno nel suo piccolo basso. Nei bassi che odorano di sugo, di fumo, di antico, c’è una cosa che non manca mai: il culto dei morti. Quadri, foto, immagini di chi non c’è più, eppure aleggia come fantasma. Può essere un figlio, marito, fratello, un padre mai completamente perduto.
Solo qui poteva sorgere un luogo chiamato Cimitero delle Fontanelle, l’ossario dove si trovano i resti dei defunti della peste del Seicento, ma anche delle carestie che colpirono in seguito la città. I cadaveri furono raccolti e conservati in quello che oggi è un luogo di pellegrinaggio turistico, ma intriso di spiritualità e compassione. Il luogo dei morti, in una cava di tufo, buia e pur attraversata da fili di luce. Morti ossequiati dai vivi. Un posto che è ricordo di tragedie di popolo. Un popolo, quello della Sanità, che oggi affronta una tragedia diversa eppur spaventosa: l’abbandono.
Un abbandono violato da questo spettro di varia umanità che fa della Sanità un mistero magico.