Sono tanti i pazienti affetti da mali cronici che devono combattere senza un supporto sufficiente. Il XVI rapporto sulle politiche della cronicità redatto da Cittadinanzattiva denuncia quanto sia notevole la distanza tra le norme formalmente in vigore e la realtà dei fatti. Una discrepanza da colmare per garantire i giusti diritti

“Non è abbastanza”. Lo pensa Oscar, cinquantatreenne di Lecco affetto dal morbo di Crohn, una malattia cronica dell’intestino che lo ha obbligato a molti sacrifici e più di un intervento chirurgico. Un uomo che lotta da oltre venti anni contro le numerose difficoltà imposte dalla sua condizione e che sa bene come nella quotidianità non sia tutelato tanto quanto assicurano le norme formalmente in vigore sulla cronicità. Direttive che si scontrano con una realtà che rivela un’Italia capace di promettere molto e mantenere poco.

Lo denuncia il XVI rapporto sulle politiche della cronicità redatto da Cittadinanzattiva, dall’eloquente titolo “Molti atti, pochi fatti”. Perché i numeri sono impietosi e descrivono un’insoddisfazione verso un sistema con svariati punti critici; infatti, il 75,6% di 50 associazioni di malati (il rapporto è stato costruito con il loro fondamentale contributo) lamenta liste di attesa troppo lunghe (problema molto sentito da chi è colpito da una patologia cronica o rara), il 73% ritardi nelle diagnosi, l’80% un ascolto limitato da parte del personale del servizio sanitario e quasi tutti (il 95,8%) evidenziano una mancanza di integrazione tra assistenza primaria e specialistica.
La testimonianza
Io, la mia malattia e il patto spezzato
5/7/2018

«Non è facile convivere con una malattia cronica», confessa Oscar. «Prima dell’insorgere della patologia lavoravo come muratore, ma sono stato costretto a lasciare questo lavoro dopo la diagnosi, che ha portato anche a più interventi chirurgici all’intestino. Oggi percepisco una pensione di invalidità di circa 700 euro (mi è stata riconosciuta un’invalidità pari al 75%), ma non è sufficiente per vivere». E se le difficoltà sono tante per le persone come Oscar, sono ancora maggiori per chi non ha ricevuto un riconoscimento di invalidità e handicap o lo ha ottenuto in maniera molto limitata. «Nonostante ci siano delle linee guida per l’assegnazione delle percentuali, l’applicazione dei parametri è spesso legata alla percezione e alla sensibilità delle commissioni», dichiara Salvatore Leone, direttore di AMICI Onlus, l’Associazione Nazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell'Intestino. «Eppure basterebbe applicare queste linee guida e tenere presente che nessun paziente cronico richiede l’invalidità per ottenere un vantaggio che non sia un suo diritto e che nessuna persona con malattia cronica desidera essere un peso per gli altri».

Non un fardello, quindi, ma i problemi economici sono particolarmente rilevanti per chi ha limitazioni a causa di problemi di salute e deve far fronte a bisogni diversi dal comune.

«La casa in cui vivo è stata costruita secondo criteri specifici e si trova tutta su un piano, senza dislivelli, proprio per soddisfare le esigenze, anche future, di mia figlia», racconta Francesco, ingegnere trentenne e padre di Letizia, una bimba di tre anni colpita da SMA2 (una malattia rara che causa difficoltà di deambulazione). «Per lo stesso motivo abbiamo utilizzato porte di dimensioni maggiori rispetto alla norma e mi sono preoccupato anche di investire nella domotica, sempre pensando al domani e a ciò che servirà a Letizia. Naturalmente si tratta di un impegno che comporta un aggravio non indifferente delle spese». Che non sono certo le uniche. «Mia figlia 4 volte ogni settimana svolge attività di fisioterapia per 1 ora», spiega sempre Francesco. «Ho deciso di farmi carico di questa spesa, circa 1500 euro al mese, perché la ritengo un’attività molto importante per una bambina affetta da SMA2. Inoltre, almeno quattro volte nell’arco di un anno devo recarmi con tutta la famiglia a Roma dalla Sardegna, la mia regione. E’ necessario per la somministrazione di un farmaco obbligatorio e tutto ciò implica un costo tra biglietti e alloggio di 1000/1500 euro. Sono spese che vengono parzialmente rimborsate e che ogni volta bisogna comunque anticipare. Naturalmente non tutti possono permetterselo, anche se non è possibile rinunciare a quelle terapie».

Le cure e gli esami, infatti, sono continui quando si combatte con una malattia cronica o rara. «Come è emerso da numerose indagini, è la gestione della quotidianità e la ricerca dei vari servizi e il loro coordinamento, spesso a carico della famiglia, a creare la maggiore difficoltà», dichiara Simona Bellagambi, Membro del Consiglio Direttivo EURORDIS Rare Diseases Europe. «Un carico gravoso che obbliga uno dei membri, in prevalenza la madre, ad abbandonare o a ridurre fortemente il proprio lavoro che, in aggiunta alla sovente riduzione della capacità lavorativa della persona affetta, porta ad un impoverimento di tutto il nucleo familiare. A questo si devono aggiungere i costi per i servizi con cui rispondere a bisogni assistenziali non previsti, oppure che lo sono, ma con tempistiche e qualità non soddisfacenti, e le peregrinazioni per il loro reperimento. Le difficoltà aumentano sensibilmente con il passaggio all’età adulta, dove la presa in carico sanitaria è sempre meno gestita da un unico centro, ma suddivisa tra i servizi territoriali. Sono tutti motivi per cui auspico che il Piano Nazionale per le Malattie Rare, che deve essere rinnovato, preveda al suo interno una maggiore rilevazione periodica di questi bisogni non soddisfatti».

Per il momento, però, il 65,1% del campione considerato nel rapporto di Cittadinanzattiva reputa scarsa la continuità dell’assistenza fra territorio e ospedale e si trova ad affrontare esborsi di varia natura. «Tutte le volte che dobbiamo recarci a Milano per visite specialistiche sosteniamo piccole/grandi spese che incidono sul bilancio familiare», conferma Oscar. «Oltre alla benzina, bisogna pagare 5 euro di parcheggio e, soprattutto, mia moglie deve temporaneamente rinunciare alla sua attività di parrucchiera per assistere me (nel 2018 sono stato ricoverato per 52 giorni) o una delle nostre tre figlie (anche due di loro soffrono di malattie croniche dell’intestino). Ovviamente la conseguenza è un mancato introito. Inoltre, solo i farmaci specifici per la cura della malattia cronica sono rimborsati dal SSN, mentre fermenti lattici, probiotici e integratori (tutti molto costosi e prescritti dal medico per le patologie legate all’intestino) sono totalmente a carico del paziente».

Non meraviglia, quindi, se il rapporto di Cittadinanzattiva segnala che il 65% delle famiglie si trova in difficoltà economiche e se gli ostacoli da superare sono diversi, tra cui la sensazione di sentirsi soli. «Non ho mai ricevuto nessun aiuto nella ricerca di un nuovo lavoro più adatto allo stile di vita a cui sono costretto da molti anni», puntualizza ancora Oscar. «Eppure mi sarebbe stato molto utile, così come sarebbe importante una politica lavorativa capace di tenere in considerazione le esigenze particolari dei malati come me». Sono proprio le necessità diverse di chi è affetto da una malattia cronica o rara a rendere più difficile svolgere mansioni comuni. Per questo sarebbe apprezzabile una maggiore sensibilità da parte del datore di lavoro, che non sempre si dimostra disponibile. «Da una nostra indagine precedente emerge che il 71% dei pazienti intervistati ha dovuto assentarsi dal lavoro per motivi di salute e che il 19% è mancato per più di 25 giorni», precisa Leone. «Il motivo principale sono le frequenti visite mediche a cui non si può rinunciare. Rappresentano un vero problema, tanto che il 21% degli intervistati riferisce di avere subito discriminazioni sul posto di lavoro. Insomma, oltre a pagare le spese per curarsi, il cittadino è anche penalizzato nel luogo in cui dovrebbe guadagnare i soldi per sostenere questi costi».

Un altro aspetto colpevolmente trascurato è la mancanza di adeguato sostegno psicologico per i pazienti con malattie croniche o rare. «Dopo aver scoperto di essere malato, nel 2007 ho subito un primo intervento di colostomia», ricorda Oscar. “La deviazione ha cambiato la mia quotidianità e anche con mia moglie è stato necessario imparare a riconoscerci l’un l’altra. Non è stato facile e io volevo solo tornare come prima. E’ davvero faticoso accettare di non essere più se stesso, di avere esigenze diverse, problemi che poche altre persone possono capire. Insomma, nonostante abbia un carattere forte, ho avuto numerose difficoltà, che ho comunque superato. Per fortuna, aggiungo, poiché molte persone in queste circostanze sono colpite dalla depressione”. Non tutti, infatti, riescono a reagire con successo e necessitano di aiuto esterno. «Mi è stata diagnosticata la rettocolite ulcerosa (un’altra malattia cronica dell’intestino) a 15 anni», racconta Greta, una delle figlie di Oscar. «Oggi ho 23 anni, ma all’epoca ero un’adolescente e trascorrevo gran parte della mia vita a scuola, dove ero derisa. Non mi sentivo accettata e facevo fatica a capire che quella allo specchio, con il viso gonfio per il cortisone, ero proprio io. Volevo solo una vita simile a quella di tutte le ragazze della mia età, ma non era possibile e ho finito col chiudermi in me stessa. Il disagio era grande, quanto la vergogna. In quei momenti ti senti sola e, forse, lo sei».

Una situazione critica che è stata affrontata tramite un supporto psicologico ottenuto solo grazie all’intercessione dell’associazione AMICI. Un esempio di come siano spesso enti terzi a farsi carico delle carenze del Servizio Sanitario Nazionale. Niente di strano, in effetti, se si considera che secondo l’85% delle associazioni i bisogni psicosociali dell’individuo non sono considerati, mentre più della metà lamenta come il punto di vista del paziente sia ritenuto poco importante. In realtà, appare evidente come gli effetti di una malattia cronica o rara siano diversi a seconda di alcune circostanze. Per esempio, una delle variabili principali è l’età del malato. Un bambino patirà per le assenze dalle attività scolastiche e extrascolastiche, un adulto si preoccuperà dei problemi in ambito lavorativo e relazionale, mentre un anziano avrà paura soprattutto di restare solo e con scarsa autonomia. E per i casi più problematici sarebbe previsto addirittura un piano di cura personalizzato, ma paradossalmente l’interessato nella metà dei casi non è coinvolto.

Come se non bastasse, in Italia non esiste un vero sistema di prevenzione, anzi, si tratta di un aspetto trascurato che rappresenta una sorta di tallone d’Achille della nostra sanità, tanto che il 35,7% delle associazioni nega la promozione di programmi di prevenzione. Inoltre, i pochi realizzati sono rivolti soprattutto agli adulti. Di più. In quest’ambito, sempre secondo il rapporto dei Cittadinanzattiva, l’impegno registrato è legato alle iniziative delle associazioni, che si prodigano per evitare diagnosi ritardate, spesso a causa di sintomi sottovalutati e di medici di base non sufficientemente preparati. Eppure una diagnosi tempestiva potrebbe cambiare molto la situazione dei malati. «A mia figlia Erika è stata diagnosticata nel 2015 una rettocolite ulcerosa”, ricorda Oscar. “Dopo i primi sintomi, considerando la mia patologia e quella dell’altra mia figlia Greta, abbiamo subito effettuato tutte le verifiche del caso. Ed è stata una fortuna, poiché grazie alla diagnosi precoce, la malattia ha colpito solo un breve tratto dell’intestino».

Insomma, le motivazioni per una svolta che tuteli fino in fondo chi è affetto da patologia cronica o rara non mancano. «E’ arrivato il momento di attuare il Piano Nazionale della Cronicità (PNC), che risale al 2016 e che per ora esiste solo sulla carta», dichiara Tonino Aceti, Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. «Oggi, infatti, non viene recepito o lo si fa con difficoltà. In questo modo, purtroppo, viene meno l’indispensabile rapporto di fiducia tra i cittadini e il Servizio Sanitario Nazionale». Uno scetticismo che, secondo i numeri del XVI rapporto sulle politiche della cronicità, risulta già forte.