Mafiosi scarcerati, processi manipolati, colpevoli impuniti, vittime beffate. Un'inchiesta giornalistica de L'Espresso, in edicola da domenica 31 marzo e già online su Espresso +, accende un faro su un grande problema della giustizia che viene ignorato: la qualità dei verdetti dei tecnici, che di fatto condizionano le sentenze dei giudici. Perché è crollato il ponte di Genova? Cosa ha provocato quel disastro ferroviario, quell'incendio, quell'infortunio sul lavoro? Quel boss detenuto va davvero scarcerato per una gravissima malattia?
Domande di questo tipo si ripetono in tutti i processi più controversi. Ma a rispondere non sono giudici vincolati all'imparzialità. Sono i consulenti tecnici. Che non sono magistrati dello Stato. Sono professionisti privati, professori, esperti veri o presunti. Che in un processo rappresentano la legge, come arbitri indipendenti. Ma nella causa successiva possono lavorare a parcella, per interesse di parte. Degli errori dei giudici si parla e straparla molto. Le cantonate dei periti tendono invece a passare sotto silenzio. Così il consulente screditato può riciclarsi in nuovi processi. E il faro dei controlli si accende solo in casi eccezionali, quando scoppia uno scandalo.
Dal Veneto alla Liguria, dal Lazio alla Sicilia, l'inchiesta dell'Espresso documenta una lunga serie
di casi giudiziari avvelenati da perizie dubbie, contestate, anomale, addirittura incriminate. Perfino l'Istituto di medicina legale di Padova, punto di riferimento per le autopsie e le analisi cliniche di mezza Italia, sta precipitando in un vortice di indagini giudiziarie. La procura di Padova ipotizza falsificazioni di perizie anti-droga per restituire la patente a imprenditori cocainomani. Dopo le prime perquisizioni l'indagine si è allargata ad altre vicende: negli atti si parla di provette sparite, pacemaker nascosti, analisi fantasma, vivi fatti passare per morti nei referti medici. Il principale indagato è il direttore dell'istituto. Mentre a Imperia la responsabile della medicina legale è stata già condannata in primo grado per falso e altri reati: avrebbe firmato 47 autopsie senza aver mai visto i cadaveri.
Critiche e accuse coinvolgono anche consulenti di altissimo livello. Cristina Cattaneo è la luminare che guida il collegio di periti che dovrà chiarire le cause della morte di Imane Fadil, la testimone d'accusa del caso Berlusconi-Ruby, deceduta il primo marzo scorso. L'esperta ha moltissimi estimatori, ma fu clamorosamente ricusata, a Roma, dai familiari di Stefano Cucchi. Intervistata da L'Espresso, Ilaria Cucchi, la sorella della vittima, spiega che quella perizia proclamò che «Stefano sarebbe morto di fame, per una grave denutrizione», ipotizzando responsabilità dei medici. Oggi la Procura di Roma ipotizza invece un brutale pestaggio in una caserma dei carabinieri, coperto da una serie di depistaggi.
Il problema delle perizie è drammatico soprattutto nei processi di mafia. Il pm anti-camorra Alessandro Molita ha definito «mostruosa» la vicenda che nel febbraio scorso ha portato alla condanna a dieci anni mezzo, in primo grado, di un rinomato oculista dell'ospedale privato Maugeri di Pavia. Il presunto luminare certificò un'inesistente patologia a un'occhio provocando la scarcerazione di Giuseppe Setola, il boss stragista del clan dei casalesi. Prima di essere riarrestato, Setola ha potuto ordinare almeno 18 omicidi.
La pm Alessandra Cerreti, dopo anni di indagini tra Milano e la Calabria su periti medici al servizio della 'ndrangheta, ha proposto alla commissione parlamentare antimafia di creare «un albo nazionale dei consulenti tecnici, da selezionare con criteri rigorosi e continue verifiche di professionalità». Anche Claudio Fava, oggi presidente dell'antimafia siciliana, conferma a L'Espresso la necessità di «riforme, come l'albo nazionale, per ridurre la discrezionalità, o l'arbitrio, di troppe perizie che vengono usate come una clava contro la verità nei processi di mafia».
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