“Juliet, Naked - Tutta un’altra musica”: un altro film tratto da un romanzo della scrittore inglese. All’altezza dei precedenti

Nick Hornby colpisce ancora. Nessuno come lo scrittore inglese sa cogliere nelle ossessioni della cultura pop, oggi potenziate all’estremo dal digitale, i nostri lati più vulnerabili e segreti. Nessuno meglio di lui sa dar vita a figure capaci di incarnare con tanta tenera ferocia le patologie dell’anima più diffuse - dunque impercettibili - della nostra epoca. Una manna per il cinema, che nei libri di Hornby ha sempre pescato trame perfette e personaggi formidabili. Dai tempi di “Febbre a 90°”, dedicato al calcio, e di “Alta fedeltà”, ambientato invece in un negozio di dischi, sono passati però una ventina d’anni. La mania si è fatta malattia. La bellezza, del rock come del pallone, non è più rito e rifugio ma prigione e rinuncia.

Ne sa qualcosa il professor Duncan (geniale Chris O’Dowd), maturo docente di cinema di una piccola università inglese, che trascina una storia non proprio scoppiettante con la dolce Annie, conservatrice dell’irrilevante museo locale (un’intonatissima Rose Byrne); ma soprattutto dedica ogni momento libero, e tutta la libido residua, al culto sfrenato di Tucker Crowe, oscuro cantautore americano scomparso nel nulla da decenni ma protagonista di un sito per fan che Duncan alimenta ogni giorno a suon di gossip, illazioni, riletture ardite o dementi del suo unico disco. Una fissazione estetico-esistenziale che avvelena il loro rapporto senza che lui neanche se ne accorga. Fino a quando il fantasma del cantautore (Ethan Hawke in versione padre seriale ma assente) non decide di riapparire, come fanno appunto i fantasmi, con modalità che non anticiperemo ma esilaranti, oltre che devastanti, specie per Duncan, a cui si vuol bene malgrado tutto (a proposito: evitate il trailer, spiffera mezzo film come una portinaia pettegola).

Scritto e riscritto da tre diversi sceneggiatori, prodotto fra gli altri dal re Mida della commedia Judd Apatow, diretto da un americano ex-bassista dei Lemonheads con varie serie tv alle spalle (tra cui “Girls”), “Juliet, Naked” dipinge con rara acutezza e leggerezza la compresenza di epoche e stili in cui siamo sempre più immersi, ovvero la dittatura del gusto con cui spesso mascheriamo le nostre miserie. Permettendosi anche una nota di speranza. Uno spettatore lo ha definito «romanzo di formazione per persone mature». Quelle che si commuoveranno sentendo Hawke cantare “Waterloo Sunset” dei Kinks.

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