Il manicomio della bisnonna Elvira. Il matrimonio sbagliato della nonna Angela. Il compagno violento di sua madre, Caterina. E lei, Ayanta Barilli, che dà voce a tutte loro. Una saga autobiografica fatta di tragedie e soprusi. Ma anche di passione, resilienza e indomabile energia

L'autobiografia va sempre più di moda: da un paio d'anni in qua non c'è quasi più un romanzo che non si basi sulla storia dell'autore. Stranamente il cinema, che prende sempre più spesso idee in libreria, non se ne è ancora accorto. "Un mare viola scuro" (tradotto dall'autrice con Francesca Cristoffanini per DeA Planeta, pp. 396, € 17, ebook € 9,99) sarebbe un buon libro per iniziare a trasporre al cinema, o anche in un serial tv. Perché la storia è travolgente e si presta per una serie. Ma anche perché l'autrice, l'italo-spagnola Ayanta Barilli, prima di esordire con questo libro che in Spagna ha conquistato pubblico e critica ha fatto l'attrice. Potrebbe quindi interpretare se stessa. E anche le altre tre donne protagoniste del volume.

«Quando mia nonna Angela è morta mi sono resa conto che nella storia dei miei antenati c'erano una quantità di segreti, di cose non dette, di misteri», racconta Ayanta Barilli. A partire dai bisnonni: il perfido Belzebù (ma davvero si chiamava così?) e Elvira «la puttana» (ma che aveva fatto per meritare questa fama?). «Mi sono messa in testa di scoprirlo: ho letto tutto quello che ho trovato, ho parlato con tutti i miei parenti, ho girato l'Italia a caccia di lettere e ritratti, diari e fotografie. E alla fine ho iniziato a scrivere. Perché raccontare serve a disinnescare degli schemi familiari che si ripetono. Tutte le donne prima di me hanno sposato uomini non solo sbagliati, ma in alcuni casi anche pericolosi. Spero che questo libro aiuti mia figlia a non fare lo stesso».
codacci2-jpg

Ayanta Barilli parla nel villino di Monteverde che sua nonna Angela comprò quasi tutto, a poco a poco, chiamando amici ad abitare negli altri appartamenti che si liberavano. Nella Roma della Dolce Vita quel palazzetto diventa una specie di comune di artisti e intellettuali: come la zia Carlotta, attrice con Gassman, Missiroli e Scaparro, e il cugino Leone, stella del balletto del Maggio Fiorentino. In famiglia ci sono stati pittori famosi (a fine Ottocento un Barilli affresca il Quirinale, un altro, negli anni Venti del Novecento, la Basilica di Sant'Antonio a Padova), tra gli amici ci sono Attilio Bertolucci e i suoi figli Bernardo e Giuseppe. In quest'atmosfera cresce la madre dell'autrice, Caterina: vive gli entusiasmi, l'impegno e le avventure di una ragazza degli anni Sessanta, e finisce per innamorarsi di Fernando, giovane scrittore in fuga dalla Spagna di Franco.

È in questo villino che Ayanta nasce e passa un'infanzia felice. Poi i genitori si separano, il padre torna in Spagna e l'infanzia dorata diventa un incubo. Il piccolo attico in cui la bambina e sua madre vivono con il nuovo compagno nasconde un inferno. Nessuno sembra accorgersene, nessuno ne parla mai fino all'uscita di questo libro. La sofferenza negata però pesa: Ayanta inizia a soffrire d'asma, Caterina si chiude in un silenzio autolesionista: «Un giorno scopre di avere un nodulo al seno ma aspetta un anno per farsi visitare». Vive abbastanza da ispirare a sua figlia il luminoso finale del libro, ma muore quando lei ha 11 anni.

Era stato il nuovo compagno di Caterina a scatenare l'orrore. Ayanta dorme con Sandra, nata da un suo matrimonio precedente. Di notte però lui si ubriaca, entra nella stanza e picchia sua figlia con la cintura dei pantaloni. Nel libro si racconta che lui era un cantante famoso, ex chitarrista di una band di successo. Della bambina si dice che oggi è una bravissima attrice. Non ci vuole un investigatore per riconoscere Sandra Ceccarelli. «Avevo deciso di cambiare il suo nome, ma ho chiesto a lei di sceglierlo: non a caso lo ha ribattezzato Pietro», racconta Ayanta. «Quando è venuta a parlare a una presentazione del romanzo, però, Sandra ci ha tenuto a dire che quelli che io ricordo sono solo pochi anni del rapporto tra lei e suo padre. Gli anni peggiori. Poi le cose sono migliorate: e anche se lei non è più riuscita ad abbracciarlo, mi ha detto di averlo perdonato».

Le pagine più drammatiche però riguardano la bisnonna Elvira: che tra esaurimenti nervosi e crisi matrimoniale finisce in manicomio, a Colorno. «Bastava poco per essere dichiarate pazze, a quei tempi: divorziare non si poteva, mandare tua moglie in manicomio sì. Perché era atea o troppo credente, perché era frigida o troppo "caliente", perché non aveva voluto figli o perché li amava troppo, perché era testarda o fragile di nervi... Qualsiasi donna che non rispettasse i canoni di una brava signora borghese correva questo rischio».

Anche chi non soffriva situazioni così tragiche, viveva comunque nel silenzio: «Noi donne ci siamo raccontate sempre poco», commenta la scrittrice. Per questo nel libro sono incastonati brani tratti dal romanzo che nonna Angela fece stampare in poche copie a sue spese, e pagine del diario di Caterina. Se Ayanta ha deciso di rompere il silenzio a cui le donne della sua famiglia si sentivano obbligate lo deve a suo padre, Fernando Sánchez Dragó, scrittore e critico famoso in Spagna. «Più gli raccontavo le cose che scoprivo sulla famiglia di mia madre, più mi diceva: "Devi scrivere!". Ma non mi decidevo mai. Quando alla fine gli ho mandato il testo sono rimasta due giorni con il cuore in gola. Ero a Tellaro, dove sono sempre andata d'estate, e tutto il paese era in ansia con me. Dopo cinque giorni mi ha chiamato e mi ha detto che gli era piaciuto, ed è stata una gioia collettiva».

Tellaro, Parma, Padova, Roma, Madrid. E le grotte di Ajanta, in India, che Caterina e Fernando amano tanto da dare quel nome alla loro bambina. Sono i luoghi di un romanzo che va avanti e indietro nel tempo e nello spazio pur rimanendo ancorato alla realtà. «Ogni vita è una grande vita, ogni storia è bella se la senti raccontare in prima persona», conclude la scrittrice. «Il presente non mi interessa molto, e neanche il futuro, perché non si possono raccontare. Il passato sì: nel passato di tutti i noi c'è un mondo intero da scoprire». "Come mi somiglia la mia vita", scrisse una volta il nonno Cecrope Barilli, famoso pedagogista. Sarebbe perfetto come titolo per questo libro. O per quello che verrà.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso