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Che un economista come Fabrizio Barcainviti a superare questo livello dell’analisi e del dibattito è segno importante che qualcosa, almeno da noi, può cambiare. Non che quei limiti siano stati auto-criticamente compresi e superati, per carità - ancora non abbiamo “linee programmatiche” tra loro coerenti su reddito, lavoro, pensioni, cincischiamo ideologicamente sul nesso sviluppo economico-ambiente, all’inseguimento di cosmopolitiche montature mediatiche. E, drammaticamente, la sinistra europea è afona su quel piano che ne aveva contrassegnato la forza anche mobilitante, piano che costituisce la quintessenza dell’agire politico: la politica estera, la dimensione internazionale di ogni problema “locale”.
E però, tuttavia, sembra crescere la coscienza che non sarà soltanto grazie a programmi validi, che non sarà ripetendo il mantra “dalle ideologie ai programmi”, che si potrà sperare di ricostruire una sinistra europea capace di governare il processo di unità politica del continente secondo linee alternative a quelle fin qui perseguite. Sono un linguaggio, una cultura, la storia che narrano a non funzionare. Il realismo politico sa da sempre che senza di essi non si convince e non si guida nessuno. E ha ragione Barca: piaccia o no, dall’altra parte questo vuoto potrebbe essere colmato attraverso un inedito intreccio di scatenato liberismo e sovranismo nazionalistico. Se si dovesse realizzare - come può avvenire: il segnale delle elezioni in Gran Bretagna dovrebbe svegliare anche i defunti - di sinistra si leggerà solo nei libri di storia.
Perché quella sintesi tra opposti è realisticamente possibile? Non solo per ragioni di potere o per auri sacra fames , come con qualche battuta c’è chi si illude di potersene disfare. Il liberismo prospera eliminando ogni forma di organizzazione nella società civile, ogni corpo intermedio, isolando l’individuo nella “cura” del suo privato interesse. La sua ideologia è cosmopolita esattamente in questo senso: nella universale omologazione ciascuno diventa nazione a sé, non deve avere altro idolo che se stesso.
Di questi individui è formato il popolo dei sovranisti. Un’identità fasulla, inventata, ma indispensabile anche per l’ideologia liberista: come, infatti, se non attraverso fittizie radici tenere in una qualche forma moltitudini che non realizzano in se stesse autonome strutture di organizzazione e rappresentanza?
Ma c’è anche di più: il sovranismo intende rappresentare la faccia sociale del globalismo liberista. Indispensabile anch’essa: se non venisse “contenuto”, quel globalismo esploderebbe. Ha assoluto bisogno di freno. Il sovranismo promette politiche sociali, è destra sociale. In quali forme? In quelle tipicamente assistenziali - non strategie autenticamente redistributive, che si accompagnano sempre a lotta sindacale e politica, e a riequilibri di potere, non politiche sulla struttura dei rapporti sviluppo-reddito-occupazione, ma interventi ad hoc in risposta a “bisogni” contingentemente emergenti (il regime dell’emergenza!) dal “popolo sovrano”. Oggi un anno in meno per l’età pensionabile, domani qualche euro di sussidio in più, e via provvedendo.
Se dovesse apparire che l’unica politica sociale concretamente perseguibile è questa, e se liberismo e sovranismo dovessero comprendere il proprio potente denominatore culturale comune e metterlo in pratica attraverso comuni strategie elettorali e di governo, la notte per la sinistra potrebbe durare in eterno.
Ci si chiede se Trump abbia una strategia. Probabilmente no, sul piano dei grandi conflitti con gli altri imperi, ma certamente è questa sul piano delle politiche sociali ed essa segna certamente una svolta rispetto alla destra reaganiana, così come la rappresenta l’alleato Johnson rispetto alla storia dei conservatori, dalla Thatcher a Cameron. Tuttavia, i conti sono ancora lungi dal tornare. La valanga si va formando, ma su un terreno così accidentato che vi sarebbe tutto il tempo per arrestarla. Ammesso che dall’altra parte cambino cultura e linguaggio. Si dica che “popolo” sono interessi determinati e valori e visioni del mondo in competizione. Che questi sono chiamati a darsi forme autonome di organizzazione e di rappresentanza. Che il popolo è sovrano soltanto attraverso di esse e che senza di esse la rappresentanza parlamentare è un vuoto fantasma.
Il popolo è composto di parti che valgono se convengono insieme dando vita a sindacati e partiti. Abbiamo demolito nel corso degli ultimi decenni il significato stesso di questi termini. E prodotto l’universale solitudine. Dall’impotenza frustrante dell’individuo solo, dal suo risentimento, il movimentismo occasionale, cui viene offerto il surrogato nazionalistico, la leggenda del “prima noialtri”. Leggenda potente, se a essa si oppone un’ideologia cosmopolita della “patria ovunque” e dell’amore universale, che mai potrà avere efficacia politica. Occorre tornare a dirci parte - parte implica coscienza piena di non essere tutto, e dunque di non poter mai parlare a nome del tutto. Non si possono davvero rappresentare che parti. Chi dice di voler rappresentare tutto il popolo intende soltanto annullare le altre parti nella sua. Politica è lotta politica, non predicazione di virtù morali e di buona educazione. Lotta politica chiaramente definita nei suoi obiettivi e organizzata per tempi lunghi.
Tutto questo è in contraddizione con ciò che i giovani oggi fanno, trovandosi via social per le strade e le piazze? No, la lotta politica può invece esserne l’esito - e costituire l’alternativa al periodico nascere e dissolversi dei loro movimenti. Il salto d’epoca imponeva alla sinistra radicali trasformazioni organizzative e strategiche - questa necessità è stata interpretata e vissuta nel senso dell’adattarsi alla grande corrente della spogliazione da ogni identità, che non fossero pseudo-identità cosmopolitiche e-o nazionalistiche. Sia detto per inciso: l’internazionalismo del fu movimento operaio e delle furono socialdemocrazie nulla aveva di astrattamente cosmopolitico; rappresentava l’esigenza dell’alleanza anti-nazionalistica tra classi di diversi paesi impegnate in lotte di analoga natura. Il conflitto è lo spirito delle repubbliche. Il vero popolo erano patrizi e plebei - ricordiamolo almeno noi “romani”. Democrazia è conflitto costituente tra interessi, professioni, sindacati, partiti.
Predicare corpi sovrani senza corpi intermedi è la strategia che liberismo e sovranismo stanno mettendo in atto. È questa l’avversario di una nuova sinistra. E non c’è politica se non è chiaro chi sia l’avversario, o se si finisce col combatterlo con le sue stesse armi.