Quando cantare non basta si diventa opinioniste. E si finisce per inanellare ospitate a base di piccole tristezze pressoché inutili

«Come creo i miei capolavori? Semplicissimo. Mi metto di fronte a un blocco di marmo e tolgo tutto quello che è superfluo, diceva Henry Moore citando Vasari. Togliere dunque, a volte aiuta.

Ed è un vero peccato che questo suggerimento venga ascoltato così poco. Per esempio, se si è una brava cantante ci si dovrebbe quantomeno in teoria accontentare del suddetto dono anziché aggiungere strati di inutilità alla propria persona.

Accade invece, nel caso di Iva Zanicchi, esattamente il contrario. Il risultato? Come una gonna con troppe balze, che alla fine anziché aumentare l’eleganza accartoccia la figura senza un vero perché. L’Aquila di Ligonchio, prossima a spengere le sue prime ottanta candeline in una forma fisica a dir poco smagliante, da genuina signora emiliana dai modi generosi e dalla parlata fluente, ha trasformato nel tempo il suo atteggiamento pane al pane in una specie di stizzita ricerca di rivalsa nei confronti del mondo che la circonda.

Ben lontani i tempi in cui chiusa negli studi di Music Farm allietava il pubblico con aneddoti scatologici mentre Baccini soffriva per amore di Dolcenera, Iva conserva sulla punta della lingua sempre quel qualcosa che alla fine scappa verso chicchessia. Mina, Orietta, Milva, Gina eccetera: lei vuole bene a tutte, ma. Sono tutti bravi ma, tutti intelligenti ma. E tra un’espressione alla buona e una parolaccia sfuggita con tempismo studiato, resta sempre quel “ma” a far sì che la sua bonomia si intacchi con un filo di disappunto generalizzato.

Una sorta di Mara Maionchi che non ce l’ha fatta, per dirla in sintesi. Così, dopo i fasti del suo “Prezzo è giusto” e un longevo salto berlusconiano in Europa, la signora Zanicchi saltella da un programma all’altro non per dar sfogo alla sua sempre ottima voce, ma in veste di dispensatrice di opinioni quantomeno discutibili.

Le pagelle a suon di 4 che stila nel trascurabile programma di Chiambretti “La Repubblica delle Donne” colpiscono un po’ a caso con un tono che vorrebbe persino solleticare simpatia senza tema di riuscita. A Scalfari augura che si aprano le porte dell’inferno, alla Gruber di cui sottolinea il suo essere «piccoletta e un po’ rifatta» di finire su un’isola deserta con Salvini «gran lavoratore». A Carola Rackete, la «comandanta che prende dei poverini vicino alla Libia», rimprovera di non usare la zattera anziché la nave perché poi è inutile lamentarsi dell’inquinamento. Neppure Papa Francesco è escluso dal suo registro dei buoni e cattivi, reo, a suo dire, di aver creato una crisi turistica dopo la decisione di dismettere la residenza di Castel Gandolfo.

Il risultato è una somma di piccole tristezze pressoché inutili che non fanno altro che abbassare l’asticella. Chissà, forse la Zingara prendendo la sua mano l’aveva messa in guardia. Ma come si diceva, non sempre i suggerimenti si ascoltano.

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