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LOMBARDIA
Per le strade della regione più colpita c'è traffico alle ore canoniche, segno di poco lavoro in remoto. Davanti alle scuole elementari ancora aperte, una vigilessa ferma le macchine per consentire il passaggio sulle strisce mentre una ventina di genitori, a dieci metri da lei, è riunita in un'amabile chiacchierata a brevissima distanza. Le elementari sono aperte nonostante 50 mila studenti già in quarantena e i mezzi di trasporto che faticano a rispettare gli ingombri del 50 per cento. Fra i 21 indicatori del governo ne manca uno che dice molto più di tanti altri. I rider riempiono di nuovo le strade e ordinare una spesa online sta diventando di nuovo difficile con i siti dei maggiori supermercati che, in alcuni casi, non riescono a fissare una data. La casistica ricorda lo scorso inverno.
A Gerenzano, provincia di Varese, il malato ha 60 anni, febbre alta e sintomi compatibili con quelli del Covid-19. Non può uscire di casa, men che meno riesce a ottenere una visita a domicilio. Lunedì 9 novembre telefona all'Ats dell'Insubria, sede di Saronno, e chiede un tampone. Come primo appuntamento gli viene concesso il 17 novembre. Il paziente ricorda che la media fra manifestazione del contagio e decesso è di dodici giorni. Vale la pena rischiare di aspettarne nove, più il necessario per processare il tampone, e trovarsi a quel punto o guariti o in un reparto di ospedale? La risposta è tampone privato a partire da 70 euro.
A Milano centro, una donna di 80 anni, patologie cardiache compatibili con il massimo rischio da infezione Cov-Sars-2, chiede al medico di base quando arriveranno i vaccini influenzali. Il dottore non lo sa. Il farmacista nemmeno. Il presidente della giunta regionale, Attilio Fontana, ipotizza metà novembre. Per fortuna la temperatura è ancora mite. L'alternativa alla vaccinazione pagata dalle tasse dei contribuenti è quella privata, 60 euro con l'Ospedale San Giuseppe (gruppo Multimedica) che ha allestito postazioni per i solventi al Museo della scienza e delle tecnica, a breve distanza dalla basilica di Sant'Ambrogio. Nulla di diverso da quanto avviene in altre regioni che hanno finito i vaccini, come Veneto e Lazio, e dove si riesce a ottenere una vaccinazione pubblica veloce alla maniera italiana: amicizie.
Per qualche accenno di buone notizie si va in provincia di Lodi dove la prefettura, prima in Italia, ha attivato un numero verde con medici volontari, pagati dalla regione come guardie mediche, che rispondono alle richieste dei potenziali malati con l'obiettivo di abbassare gli accessi ai pronto soccorso. «Se non si realizzano iniziative nuove», dice il prefetto Marcello Cardona, «in questo momento tragico, la struttura dei medici di base, che già scricchiolava rischia di crollare. Si potrebbe portare l'iniziativa a livello nazionale ma intanto iniziamo da qui, dall'epicentro della pandemia in Italia».
Cardona, che è stato a lungo ricoverato per Covid-19 al San Raffaele durante la prima ondata, sa che non è facile nemmeno mettere d'accordo i governanti su base territoriale e che è sempre più difficile farsi sentire nel caos di competenze. Di qua, c'è il direttore generale dell'Ast lodigiana, Salvatore Gioia, che vuole il suo centralino. Di là, c'è una sanità regionale, guidata dall'assessore Giulio Gallera e dal dg della sanità lombarda, Walter Bergamaschi, che va in ordine sparso e a slalom fra polemiche e scandali.
Non ultimo quello del vaccino per l'influenza invernale ordinaria che rischia di portare la sanità nel baratro. Nel sito della Regione non ci sono indicazioni precise salvo una, preziosa: «Per tempo di attesa si intende il numero di giorni che intercorre tra la data di prenotazione e la data di erogazione delle prestazioni sanitarie».
CAMPANIA
Era stato un weekend molto tranquillo, quello del 7-8 novembre a Napoli, dopo le proteste di piazza di due settimane prima. Molta gente lo ha trascorso nelle spiagge cittadine, da Posillipo al popolare Lido Mappatella, dal nome dialettale che si dà al tessuto contenente i panni del bagnante o, in alternativa, la colazione al sacco. Chiuso l'accesso ai litorali dei comuni flegrei, i napoletani hanno sfruttato gli ultimi raggi caldi del sole.
Sembra, e forse è, un andamento schizoide rispetto alle sassate alle vetrine e alle scene da black bloc che hanno segnato gli scontri di fine ottobre con un'ulteriore scissione interpretativa fra chi ha accusato le manovre della camorra, o degli ultras contigui al crimine organizzato, e chi ha parlato di protesta spontanea senza colore politico.
Cerca di fare il punto Alessandra Clemente, 33 anni, vicesindaco della giunta guidata da Luigi De Magistris e figlia di Silvia Ruotolo, vittima di un proiettile vagante durante una sparatoria al quartiere dell'Arenella nel 1997, quando Alessandra aveva dieci anni.
«Dalle sere delle proteste», dice Clemente, «è stato fatto un lavoro, in strada, insieme ai corpi intermedi e alle associazioni di categoria per mettere in disparte una cultura della violenza che ha anche filiazioni con il crimine organizzato e l'ultradestra. Il patto fra eletti e cittadini non può andare in quarantena e va alimentato con gli incontri sul territorio. Si rompe quando il governante è percepito come qualcuno che sta lontano, va in tv e continua a prendere lo stipendio a dispetto di qualunque provvedimento restrittivo».
Napoli e la Campania dopo le elezioni regionali di settembre, rivinte da Vincenzo De Luca con una coalizione di centrosinistra, si sono trovati da essere i primi della classe a una rapida caduta in classifica che li ha portati a una sgradita promozione in zone più a rischio. Si vedrà presto se a questo rischio corrisponderà una nuova esplosione e se si ripeterà il tentativo di strumentalizzare la protesta. Di sicuro, la camorra stessa è a un bivio strategico fra la battaglia a favore delle aperture e le opportunità di investimento che offre il lockdown, con le attività commerciali a disposizione dell'usura e le forniture sanitarie dopate dagli aiuti statali. L'Asl Napoli 1 è già stata sciolta lo scorso maggio, alla fine della prima chiusura nazionale da virus, e commissariata per infiltrazioni del crimine organizzato in piena attuazione di un ennesimo piano di tagli e riconversioni che hanno colpito le strutture del centro come l'ospedale San Gennaro al rione Sanità.
Nel frattempo, il fine settimana da tutto esaurito al Lido Mappatella è servito a scatenare le prediche contro l'irresponsabilità civile, spesso presa dai politici come causale più o meno fondata di insuccessi che sono di tutti, e non riguardano certo la sola Italia.
«Io ho registrato grande senso di responsabilità nella cittadinanza», ribadisce la vicesindaca, «che si è attenuta a quello che il Dpcm consentiva. A marzo i nostri commercianti hanno addirittura anticipato con le chiusure le indicazioni del consiglio dei ministri». Lo stesso fa ora De Magistris, in inversione di rotta dopo una fase aperturistica, mentre De Luca, non più sceriffo del lockdown, ha girato al governo la patata bollente.
CALABRIA
La regione più situazionista d'Italia non smette di stupire. Pur essendo stata affidata ad alcuni ex dell'arma dei carabinieri per le sue maggiori emergenze, spazzatura e virus, non guadagna un millimetro, anzi, ne perde su entrambi i fronti. Le esibizioni video del commissario alla sanità Saverio Cotticelli e del suo successore Giuseppe Zuccatelli hanno portato il governo sulle tracce di Gino Strada. Non si capisce se per il fondatore di Emergency si tratti di un caso più o meno difficile rispetto alla sua esperienza nell'Afganistan in guerra.
Il cesenate Zuccatelli, voluto dal ministro Roberto Speranza, non risponde al telefono. In un'intervista all'Espressonline del 2 aprile 2020 aveva detto: «In quindici anni di piani di rientro e commissariamenti i tagli lineari hanno creato buchi enormi. In Calabria c’è bisogno di chiarezza e trasparenza ma i calabresi hanno trovato solo gente venuta qui a comandare. Bisogna coinvolgere di più i sindaci».
Sembra invece che il problema sia proprio questo: a parte Maria e l'usciere di Cotticelli, resi celebri dal filmato di Rai3, in Calabria non comanda nessuno. Al livello dei governanti, la scomparsa improvvisa della presidente Jole Santelli il 15 ottobre ha proiettato sulla ribalta un vicepresidente, Nino Spirlì, che non è stato eletto e, per sua ammissione, non sa niente di Covid-19. Però rischia di rimanere in carica come facente funzione ben oltre il limite che la legge ordinaria prevede per nuove elezioni, tra fine 2020 e inizio 2021. Il nuovo voto, secondo una decisione presa dal consiglio dei ministri lunedì 9 novembre, si dovrebbe tenere tra febbraio e aprile, probabilmente in base alla gravità della situazione di un'altra zona che si è trovata nella fascia di massimo rischio dopo mesi di quiete.
Le proteste per ora sono state civili e di modesta portata. Qualcosa si è visto a Reggio, qualcosa a Palmi, qualcosa a Crotone, dove il 6 novembre gli esercenti hanno tenuto aperti i negozi per contestare la zona rossa.
La sanità in Calabria ha ogni tipo di record negativo. L'azienda sanitaria provinciale di Reggio è stata sciolta per infiltrazioni mafiose nel 2008 ed è tuttora commissariata. L'Asp di Catanzaro ha avuto lo stesso trattamento dopo l'inchiesta Quinta bolgia del procuratore Nicola Gratteri. Che la spesa sanitaria sia il bancomat dei clan è una tradizione radicata e non scalfita dai vari prefetti e generali incaricati di fare pulizia. È sempre quello, molto più dell'usura o del pizzo, il bersaglio grosso della 'ndrangheta. Ma la sopportazione dei cittadini, dopo le esibizioni di una classe dirigente catastrofica, qui è davvero al livello di guardia.