Da Sydney Sibilia, già regista della smagliante trilogia “Smetto quando voglio”, era lecito aspettarsi un trattamento magari disinvolto ma solido, motivato, brillante. Invece il film procede con l’accetta da un capo all’altro. Va bene semplificare e abbellire, ma insomma c’è un limite.
A ideare e poi costruire, nell’arco di anni, questa piattaforma di 400 mq. battezzata Isola delle Rose che sorgeva appena fuori dalle acque demaniali al largo di Rimini, fu l’ingegner Giorgio Rosa che nel’68 aveva 43 anni e le idee abbastanza chiare. Qui invece Rosa è uno spiritato Elio Germano (sempre bravissimo, per carità), utopista precario e neolaureato che dà vita a quest’isola-stato di ambizioni libertarie e commerciali (ma destinata a emettere valuta e passaporti) navigando a vista con un pugno di altri svitati. Che hanno il difetto di essere assai poco credibili e ancor meno interessanti o almeno divertenti.
Il resto è anche peggio. Quando il caso di quell’isola-discoteca sorta dal nulla di fronte alla Jugoslavia, di cui si ignorano fini e finanziatori, arriva alle orecchie del governo, il film svolta in un grottesco che guarda forse al Sorrentino del “Divo” e di “Loro” ma senza un grammo di finezza o di necessità espressiva, costringendo Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio a impersonare Giovanni Leone e il ministro degli Interni Franco Restivo con piglio parolacciaro sconcertante (e, di nuovo, zero divertimento).
Il resto lo fa la tendenza, oggi dilagante, a ridurre ogni accenno al passato a una specie di catalogo vintage di nomi, marchi, icone, da Diabolik ai filmati del ’68 a “La Notte dei morti viventi”, azzerando ogni anche minima complessità. Dal 9 dicembre su Netflix.
“L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”
di Sydney Sibilia - Italia, 117’