Mitrei, mosaici e altri tesori: in anteprima l'Aventino delle meraviglie
È il colle meno noto di Roma. Eppure, oltre le chiese e gli spazi verdi, nasconde nelle sue profondità mosaici, affreschi e preziosi reperti. Come i sei piani di un’antica dimora. Che stanno per essere aperti al pubblico
Pavimenti in mosaico, mitrei, affreschi, ambienti lussuosi di epoca imperiale: sono tante le scoperte straordinarie sull’Aventino. È forse il meno conosciuto tra i sette colli di Roma, ma sicuramente il più riservato. Diviso in “piccolo” e “grande” per la differenza delle due alture di cui è composto, nella parte più elevata domina il silenzio e la discrezione: prevalgono residenze circondate dal verde e istituti religiosi; nessuna edicola o bar, a scambiare due chiacchiere o solo per bere un caffè.
I turisti arrivano perché attirati dallo spioncino sul portone di Santa Maria del Priorato, che inquadra la cupola di San Pietro, mentre i romani frequentano il Giardino degli Aranci e qualche bella chiesa in occasione di matrimoni. Anche nell’antichità si trovavano dimore esclusive: vi hanno abitato, fra gli altri, gli imperatori Vitellio, Traiano prima di salire sul trono, la famiglia di Decio (249-251 d.C.), che vi costruì le ultime terme pubbliche, i cui resti si trovano in proprietà privata.
Non spiccano però edifici monumentali; le tracce di un passato di tutto rispetto si trovano riusate nelle chiese, o sotto le moderne costruzioni, emergendo casualmente per lavori edilizi. Interventi di consolidamento, anni fa, hanno infatti evidenziato, in Largo Arrigo VII, alcuni ambienti della cosiddetta Casa Bellezza, dal nome del primo proprietario del villino, noto direttore d’orchestra. Risalente alla fine della repubblica (I sec. a.C.) e risistemata in età neroniana, ha ben conservato due ambienti affacciati su un criptoportico. Colpisce la stanza a sfondo giallo smagliante, decorato con esili prospettive architettoniche, figurine fantastiche e quadretti centrali di paesaggi. Era la parte ipogea dell’abitazione, destinata a ricevimenti estivi; al di sopra, vani disposti allo stesso modo dovevano comprendere al centro un giardino.
Non accessibile al pubblico, a breve Casa Bellezza sarà oggetto di una visita virtuale sul sito della soprintendenza statale. Anche un’altra domus in via Sant’Alessio è stata intercettata durante i lavori per realizzare un garage; non è rimasto molto, ma il mosaico di tessere bianche con tante crocette di tutti i colori sembra un prato fiorito. Doveva appartenere a un personaggio di primo piano che esibiva opere d’arte, come dimostrano i resti in bronzo argentato e in marmo di due sculture rinvenute nello scavo. Chissà se era Nerio Crispo, patrono della Spagna Citeriore, al quale i rappresentanti della comunità iberica avevano dedicato nella zona la statua documentata da un’iscrizione.
«C’è ancora tanto da scoprire, il sottosuolo dell’Aventino è uno scrigno prezioso», osserva il soprintendente speciale di Roma Daniela Porro. «La soprintendenza è impegnata in un continuo lavoro di restauro, manutenzione, sorveglianza; ma presto presenteremo una bellissima scoperta, valorizzata in collaborazione con BNP Paribas RE. È un’operazione di grande rilievo, perché sottolinea il nostro impegno nel ricomporre l’antico assetto di questo colle, portando alla luce ulteriori testimonianze, anche grazie al sostegno dei privati, come è avvenuto stavolta con successo».
Il ritrovamento, davvero eccezionale, si trova alle pendici meridionali del grande Aventino, in piazza Albania, dove l’istituto bancario ha riconvertito i suoi locali in appartamenti. Nel 2014, durante il consolidamento antisismico dell’edificio, era spuntato un pavimento risalente alla fine del II sec. d. C., con resti di strutture murarie affrescate. Sembravano reperti relativi a una casa di piena età imperiale; invece, le ricerche successive hanno scoperto che si trattava dell’ultima fase di una dimora dalla vita lunghissima: quasi due secoli. La continuità abitativa si deve all’estensione della proprietà e alla posizione invidiabile: a due passi dal porto fluviale e dal Circo Massimo.
Si sono recuperati ben sei livelli, testimoniati da altrettanti mosaici pavimentali, sostituiti ogni venti-trenta anni a seconda del gusto dei nuovi inquilini. L’ultimo in ordine di tempo presentava un avvallamento, con ripercussioni in quelli precedenti: un crollo improvviso che deve aver provocato l’abbandono della casa. Il cedimento può essere attribuito alle cavità del sottosuolo: una rete di gallerie per l’estrazione di materiali tufacei da costruzione, attiva fino all’Ottocento. I mosaici, più o meno estesi, sono molto differenti l’uno dall’altro e tutti di un certo pregio. Tra quelli appartenenti a cinque ambienti, gli ultimi a essere abitati, si notano un vaso da cui partono girali di foglie e fiori con un uccellino; un motivo con tanti “8“ allineati e rovesciati - come il simbolo dell’infinito - non visti altrove; e, per quanto danneggiata, la figura di un pappagallo con becco giallo e collare rosso.
Il gruppo di lavoro multidisciplinare, istituito allo scopo, ha trovato la soluzione per raccontare questo sito nel piano interrato dello stesso complesso residenziale, denominato Domus Aventino. «Si tratta di un contenitore architettonico che si può definire “scatola archeologica”», spiega Roberto Narducci, l’archeologo responsabile del colle. «Attraverso la ricollocazione dei pavimenti e delle murature pertinenti, nella loro successione cronologica, con l’ausilio di installazioni multimediali e la proposta comunicativa di Piero Angela e Paco Lanciano, si potrà così offrire al pubblico un percorso di visita di grande interesse. Una dimostrazione di come l’archeologia, in un contesto urbano, anziché essere ostacolo, può diventare opportunità di conoscenza e fruizione».
Nella memoria popolare, l’Aventino è ricordato per la secessione dei plebei nel 494 a.C., come protesta nei confronti dei patrizi, e per il monologo del console Menenio Agrippa che li indusse a tornare sui propri passi. Più tardi, fu varata la legge “Icilia” che, proprio qui, assegnava alla plebe terreni occupati dagli aristocratici. A distanza di secoli, un’altra ribellione è rimasta famosa: il 27 giugno 1924 un gruppo di deputati antifascisti abbandonò il Parlamento in segno di protesta all’indomani del delitto Matteotti. E, da allora, i dissidenti che abbandonano l’Aula sono detti “aventiniani”.
L’occupazione da parte dei romani meno abbienti diede all’inizio un’impronta popolare al colle; ma presto si moltiplicarono abitazioni e locali di commercianti per la vicinanza al porto sul Tevere, e le ricche residenze nella zona più panoramica. Dopo i saccheggi dei Goti nel V sec. d. C., l’Aventino rimase pressoché disabitato; i ritrovamenti di monete e altri materiali deformati dalle fiamme indicano l’estesa devastazione. Furono prima eremiti venuti da lontano e poi monaci che, utilizzando materiali rimasti in loco, o sovrapponendosi a costruzioni esistenti, eressero chiese e conventi, punteggiando con i loro edifici un paesaggio diventato sempre più rurale. La chiesa di Santa Prisca sorge infatti su ambienti d’età imperiale - viene collocata qui la domus di Licinio Sura, amico dell’imperatore Traiano, con terme annesse - tra i quali si conserva un mitreo, che testimonia la vita religiosa sullo scorcio del III secolo d.C.
Commercianti, marinai e soldati provenienti da Oriente diffusero a Ostia e a Roma il culto di Mitra, divinità salvifica di origine persiana, dai riti misterici. Raffigurato con berretto e mantello rosso svolazzante mentre uccide il toro cosmico, era venerato in santuari sotterranei che prevedevano una grotta, dove si trovava la statua di culto. «Il mitreo dell’Aventino», fa notare l’archeologa della SSA-BAP-RM Letizia Rustico, «ha caratteristiche uniche, come l’apparato scultoreo in stucco dorato e l’incisione della data in cui fu dedicato: sabato 20 novembre 202 d.C., sotto una propizia congiunzione astrale. Inoltre, gli affreschi con la processione degli iniziati, ricordati da iscrizioni nei loro diversi livelli gerarchici, sono stati oggetto, recentemente, di indagini “Imaging Multispettrale”. Si tratta di una tecnica non invasiva, poco costosa, che permette di recuperare particolari non visibili a occhio nudo» (per visite guidate: CoopCulture, tel. 06 39967702).
Nel piccolo Aventino, la chiesa di San Saba risalente al XII secolo, e poi ampliata nella forma attuale col suo monastero, rivela un’altra stratigrafia. È stata innalzata su un luogo di culto dovuto a monaci orientali che nel VII secolo fuggirono dalla Palestina per l’invasione musulmana; ma ancora più giù vi erano i resti di una coorte romana di Vigili. Nel tempo, si sono alternati vari ordini religiosi, fino agli attuali gesuiti. Grazie all’impegno del parroco Sergio Calicchia e del Vicariato, sono stati procurati i finanziamenti per restaurare gli affreschi della chiesa più antica, sotto la navata centrale.
Scoperti nel secolo scorso ma rimasti celati da uno strato di sali, sono finalmente leggibili, per quanto enigmatici. Infatti, sopra un motivo a tendaggi, appaiono solo le parti finali degli abiti, e i piedi con calzari, di sedici figure maschili. La restauratrice Valeria Valentini, ancora intenta nei lavori di pulitura, sulla scorta di studi precedenti suppone la figura di un pontefice per la maggiore ricchezza della veste, insieme a vari santi, riconoscibili dalle estremità più sollevate da terra. Molto attesa è l’imminente apertura al pubblico.
Se numerosi rinvenimenti ricostruiscono tanti pezzi di storia, mancano all’appello altre residenze e “il” tempio per antonomasia dell’Aventino, dedicato alla dea Diana. Era un santuario particolare, voluto dal re etrusco Servio Tullio per un fine “diplomatico”. Nacque per aggregare pacificamente le tribù latine, ma divenne anche asilo per gli stranieri, rifugio per schiavi e immigrati.
Dove Remo perse la sfida al potere con il suo gemello, il santuario rimase luogo di accoglienza per i diritti e le necessità dei più deboli.