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Cultura
aprile, 2020

Chant d’hiver, il cinema lieve e aggrovigliato di Iosseliani

Proseguono i nostri consigli di visione: su RaiPlay un film anarchico, assurdo, senza trama ma pieno di gag

Se pensate che un film debba narrare una storia. Se la trama è il vostro unico dio. Se sopra ogni cosa temete lo “spoiler” (sia maledetta questa parolaccia), passate oltre. Il georgiano Otar Iosseliani, classe 1934, autore di capolavori come “C’era una volta un merlo canterino”, “Caccia alle farfalle” o “Giardini d’autunno”, non fa per voi.

Se invece volete riscoprire un cinema lieve come un balletto e aggrovigliato come una formula matematica non perdete “Chant d’hiver”, su RaiPlay grazie al benemerito “Fuori orario”. Naturalmente in originale con sottotitoli, anche perché i dialoghi sono ridotti al minimo ma sullo schermo volteggia un turbine di personaggi inafferrabili e memorabili che attraversano epoche e paesi sfuggendo al peso della storia, della colpa e forse della morale.
Si parte con una decapitazione semicomica in piena Rivoluzione francese. Si passa attraverso una guerra caucasica feroce quanto grottesca.

Quindi eccoci a Parigi, oggi, dove il decapitato (impagabile Rufus, grande caratterista francese) e alcune facce già viste, più molte altre, sopravvivono come possono in un’epoca non migliore delle precedenti malgrado gli agi e il progresso. È un mondo piuttosto assurdo ma molto divertente, con gag da cartoon e inattesi sprazzi di libertà, per chi sappia vederla. Qualcuno vende armi in cambio di libri antichi. Altri perdono il castello di famiglia non potendo più mantenerlo (un toccante Enrico Ghezzi). Altri ancora riescono perfino a innamorarsi, o almeno ci provano, a tutte le età (sublime la scena dei due vecchi marpioni in panchina che insegnano a un giovane tonto come sedurre la sua bella).

Tra giardini fatati e ladruncole su pattini, potenti dotati in ogni epoca della stessa ghigna e sgomberi di campi nomadi, si pensa a Kaurismäki o a Elia Suleiman. Iosseliani però è oltre. Più disilluso, più anarchico e insieme più sentimentale, arruola colleghi illustri e dimenticati come Pierre Etaix e Tony Gatlif in piccoli ruoli. Appare lui stesso nei panni di un medico che annusa un pitale. Lavora sul sonoro come nessuno. Intanto non perde occasione per bere e cantare. E pazienza se il racconto è un po’ sbilenco. Più che la trama conta l’incanto. Chi cerca una morale guardi quei cani, uno diverso dall’altro, che attraversano la strada in perfetto ordine. Buffissimi e serissimi. Ma soprattutto liberi.

“Chant d’hiver”

di Otar Iosseliani
Francia - Georgia, 117’

 

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