Protezione animali
Cavalli abbandonati da chi non ha più soldi per mantenerli: scoppia l'emergenza
Centri di ippoterapia, maneggi, strutture sportive. Un intero settore devastato dalla crisi e dal Covid. Mentre gli attivisti si battono per salvare i puledri e farli riconoscere come animali domestici
Ramses e Idea non possono aspettare. Ogni due giorni Claudio, finito il turno da infermiere, carica sua figlia in macchina e insieme salgono in montagna, sull’Appennino emiliano, a trovarli. Cento chilometri fra andata e ritorno. Quando arrivano lui ha sempre poco tempo: deve riempire le taniche alla cisterna per portare all’abbeveratoio almeno trecento litri d’acqua, necessari fino al dopodomani, visto che non arriva l’acquedotto. Sistemare il fieno. Controllare gli steccati. Solo dopo può fermarsi, e accarezzarli, e pettinare i crini, e ricordare l’ultima passeggiata. È da tanto che non li sella. Ogni volta la bambina non vuole andare via. «Ho pensato di venderli, o regalarli, ma sarebbe un dolore troppo grande. Mia figlia poi non me lo permetterebbe mai».
Claudio Paolini ha 57 anni. Ramses e Idea sono i suoi cavalli, cresciuti con lui - Idea, la mamma, 22 anni; Ramses il faraone suo figlio 15. «Tu ricordi esattamente il loro compleanno?» chiede sorridendo alla bambina, mentre racconta che da giugno finalmente ha trovato posto come infermiere. È qualcosa. Ma non è facile. Per vent’anni Claudio ha gestito una rete di strutture per il reinserimento delle persone con handicap lungo la riviera romagnola. La sua cooperativa era arrivata a gestire sette centri. Poi i ritardi nei pagamenti delle amministrazioni pubbliche hanno mandato i conti in rosso. Le rette sono saltate, e così le società. A Claudio, che era il legale rappresentante della cooperativa, è stato tolto tutto: casa, auto, moto. Gli avrebbero tolto anche i cavalli. Ma lui li ha nascosti prima, portandoli sul terreno di un conoscente che ora però vorrebbe farli sgomberare. «Non avrò mai i soldi per un maneggio. Qualcosa ci inventeremo però. I cavalli sono una tradizione di famiglia. Non la perderemo».
Ad aiutare Claudio nei giorni bui del pignoramento è stata l’associazione Horse Angels, che insieme a Italian Horse Protection (IHP) e ad altre realtà italiane si occupa di proteggere i cavalli dall’abbandono e dallo sfruttamento. Da alcuni anni, collaborando con loro, la fotografa Cinzia Canneri documenta storie personali di relazione con questi animali nelle pieghe della crisi economica, raccontando cosa succede quando un proprietario non può più permettersi di mantenere quei puledri tanto cari. «Ho voluto approfondire la sofferenza di queste persone quando non possono più rispondere alle esigenze degli animali, concretamente, e allo stesso tempo l’impossibilità che vivono nel darli via, proprio per l’affetto che li lega», racconta. La pandemia ha ovviamente aggravato una situazione già difficile per molti. Rendendo il lavoro di Canneri ancora più attuale.
«Mantenere un cavallo costa. Quando partecipammo nel 2011 alla commissione per togliere il possesso di equini dal redditometro si arrivò a delle cifre di sintesi: 1.500 euro all’anno per tenere un esemplare in proprio, tremila se attraverso il maneggio», spiega Roberta Ravello, la presidente di Horse Angels: «Ma sono cifre basse. Perché in realtà le spese sono molto maggiori. Pur senza considerare i maneggi di lusso che chiedono anche mille euro al mese solo d’affitto, anche con i paddock più economici bisogna contare tutte le voci extra: 150 euro al mese di veterinario per il check up, che sono 400 al primo intervento, oltre ai costi della mascalcia, ovvero il controllo obbligatorio degli zoccoli, e poi le spese per ogni trasporto, per l’equipaggiamento, le lezioni...».
Insomma è un possesso caro quanto antico, quello del cavallo, un legame che non a caso rimanda alla nobiltà, anche se nel tempo l’affezione da Redford si è fatta strada anche in Italia, ben oltre le comunità che hanno le danze equestri nel Dna come è per i rom, oppure ben oltre la passione per le gare clandestine, le scommesse illegali e la proprietà di stalloni di razza che i clan mafiosi hanno sempre sfoggiato. Anche qui, seppur meno che in Francia o negli Stati Uniti, il cavallo è cresciuto come amico possibile, proprietà di compagnia. La crisi economica prima, e il Covid ora, però, hanno scosso il settore profondamente. Di recente la Federazione sportiva della Sardegna ha lanciato l’allarme: senza nuove gare, concorsi o rette assicurate, il mantenimento degli 862 cavalli tesserati in regione, dicono, è a rischio.
I “tesserati” sono i puledri sportivi, quelli montati per le gare o per le lezioni di equitazione in allenamento. La Fise, Federazione italiana sport equestri, ne censisce 32.180. Gli ippodromi riconosciuti sono 30. L’ippica, controllata dal ministero delle Politiche agricole, è considerata un settore importante per lo Stato, che vi investe oltre 170 milioni di euro l’anno, fra sovvenzioni agli ippodromi, controllo delle competizioni, oppure «ottimizzazione del palinsesto televisivo al fine di incrementare le scommesse», come si legge nel programma triennale del ministero per il periodo 2017 – 2019. Le scommesse. L’adrenalina di puntare su trotto e galoppo è in crisi da anni; continua a trainare milioni di puntate, ma non come un tempo. Il Covid anche qui sembra aver dato un colpo definitivo.
L’Organismo ippico italiano, citando dati dell’agenzia delle Dogane, ha pubblicato poco fa la comparazione fra i primi sei mesi del 2019 e i primi sei del 2020: i ricavi sono passati da 24,5 a 12,5 milioni di euro. Quasi dimezzati. E sì che per i puledri nazionali è un momento d’oro: l’Italia è tornata a primeggiare con campioni cresciuti a Napoli che si stanno imponendo da eredi di Varenne, il mitologico trottatore dei record allevato in provincia di Ferrara, che oggi è in pensione in Lombardia ma continua a valere un montagna di soldi come inseminatore a distanza di giumente, e per questo è tenuto in rigoroso isolamento protetto. I suoi duemila figli entrano sulle piste da favoriti. Per quanto forti, però, ne usciranno presto: la carriera sportiva di un cavallo è breve, la rincorsa dei risultati porta a lasciare un preferito in panchina già quando ha solo fra i 10 e i 15 anni. Il cavallo ne vive però 40. Cosa ne sarà di lui? Cosa succede a tutti i galoppini di livello medio, che non possono garantire i profitti di un Varenne, quando arrivano a fine carriera?
Rispondere a questa domanda è il chiodo fisso di Sonny Richici, fondatore e portavoce di Italian horse protection. L’attivista, che di battesimo fa Santo ma viene chiamato Sonny dalla nascita perché sua mamma non sopportava le tradizioni calabresi che quel nome si portava appresso, combatte da anni contro le contraddizioni e le opacità del mondo ippico in Italia, denunciando soprattutto la mancanza di controlli rigorosi e di norme per contrastare la macellazione clandestina. «Molti dei problemi che riguardano la protezione dei cavalli nascono dalla situazione paradossale in cui si trova la specie, per via dell’uso così trasversale che ne fa dell’uomo», racconta Richichi: «Gli altri animali sono in qualche modo “settorializzati”: da compagnia, come cani o gatti, o sfruttati nell’allevamento e nell’industria della carne, o nella moda come i visoni, o negli esperimenti come le cavie. Il cavallo invece attraversa tutti gli ambiti: è un animale d’affezione, ma anche il campione sportivo dell’ippica, e la bestia da macello per fare la carne, di cui l’Italia è uno dei principali consumatori al mondo, e ancora lo show da montare al circo».
Manca solo la soma, sbaragliata dalla macchine, e l’elenco è completo. «È una delle specie più trasversalmente usate, ma paradossalmente è una delle meno tutelate». Il perché è proprio nella confusione, normativa e di controllo, sugli usi. In Italia l’anagrafe degli equidi, un database nazionale gestito dall’associazione degli allevatori, registra 376mila esemplari. Ogni cavallo ha, o dovrebbe avere, un passaporto che divide rigorosamente i capi “per uso alimentare”, ovvero i cavalli allevati per essere macellati e diventare costate, straccetti o tartare. E quelli “non per uso alimentare”. In questo secondo gruppo entrano gli sportivi, che per via di antinfiammatori o integratori somministrati per gareggiare non dovrebbero essere destinati al macello quando non sono più utili alle gare.
È una prospettiva grama da immaginare, ma per gli allenatori/allevatori i cavalli diventano un peso quando smettono di essere una fonte di reddito. Mantenerli costa. Possono esserci affezionati al punto da volerli tenere per sempre, anche se anziani o infortunati, limando gli zoccoli per tenerli in forma. Oppure volersene sbarazzare presto. Nel migliore dei casi gli ex puledri da ostacolo e da galoppo entrano nei maneggi che portano i turisti a passeggiare, oppure vanno nei centri minori, o ancora trovano nuovi centri di solidarietà. Ma le certezze sulla loro pensione sono poche. La stessa Federazione sportiva, interpellata dall’Espresso, ha confermato che non è in possesso di dati nazionali sui cavalli che non sono più in attività. Associazioni come Ihp denunciano da tempo la facilità con cui queste bestie possono allora finire macellate clandestinamente.
«Bisogna assolutamente investire nella trasparenza e nel possesso responsabile, a tutti i livelli, compresi i piccoli maneggi privati», riflette Roberta Ravello di Horse Angels: «Oltre che nella costituzione di fondi, e di sovvenzioni pubbliche, non solo per il mondo delle competizioni e delle scommesse, ma per tutti coloro che si sforzano a garantire un buon mantenimento degli animali fino alla fine. Serve una nuova etica nel settore». La sua associazione ci sta provando, collaborando con agriturismi e fattorie come la Eden di Montepolo, in provincia di Urbino, che offre passeggiate e prove di equitazione con otto cavalli di cui sei adottati per salvarli dall’abbandono. Uno arriva della Botticelle romane, un altro da un agriturismo chiuso per debiti. «Il cavallo è considerato infatti un bene mobile, e quindi pignorabile in caso di fallimento. Le associazioni si battono perché venga definito legalmente un animale domestico», ricorda Cinzia Canneri, la fotografa, che non a caso ha chiamato il suo progetto “Cavallo Denaro”, come il film di Pedro Costa. Intorno ci sono tutte le contraddizioni: gli interessi e gli affetti, il peso economico e il desiderio umano. In mezzo, loro: i cavalli.