Il consigliere che ha ricevuto la delega all'intelligence è la persona che ha introdotto Conte alla cancelliera Merkel. E la sua nomina serve a sopire le richieste di M5S e Pd

Piero Benassi e, sullo sfondo, Giuseppe Conte
Ancora una volta Giuseppe Conte si è detto disposto a fare una cosa che fino all'altrieri respingeva con sdegno. In maniera categorica. E l'ha fatto giovedì a tarda sera con un consiglio dei ministri imprevisto: il premier ha ceduto la delega all'intelligence a Pietro Benassi, consigliere diplomatico dall'agosto 2018 e dunque già dall'avvocato del popolo in versione gialloverde, dopo il mandato di ambasciatore in Germania, in precedenza fu capo di gabinetto alla Farnesina di Emma Bonino e Federica Mogherini.

Come prescrive la legge sulla cosiddetta "autorità delegata" ai servizi segreti, Benassi ha assunto il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. L'alternativa era ottenere un ministero senza portafoglio. Deve adempiere al suo incarico in maniera esclusiva, ma per il premier resta un riferimento per le questioni diplomatiche. Fu Benassi a introdurre Conte alla diffidente cancelliera Angela Merkel, che si ritrovava a trattare con un premier debole e stretto fra i due vice Luigi Di Maio e Matteo Salvini, una coppia assai critica con l'Europa. È lo stesso Benassi che ha indirizzato Conte in politica estera, spesso in aperta (e dannosa) competizione con il ministero degli Esteri. Al punto che Benassi ha tentato invano la promozione a segretario generale della Farnesina al posto di Elisabetta Belloni. Il ministro Luigi Di Maio, però, non ha alcuna intenzione di cambiare il gruppo - dal capo di gabinetto Ettore Sequi al direttore generale Sebastiano Cardi - che gli ha permesso di affacciarsi sulle cose del mondo. Così il premier ha fatto coincidere le sue esigenze con le aspirazioni di Benassi e l'ha indicato - con il consenso dei ministri - sottosegretario all'intelligence privandosi della delega dopo due anni e mezzo.

"A noi ha ripetuto sempre mai e poi mai", rivela Matteo Renzi. Pd e 5s sono riusciti lì dove Renzi ha fallito.

La gestione dell'intelligence, al momento, è l'unica differenza fra il Conte due e il Conte due e mezzo - varato con i voti di ex berlusconiani, antichi socialisti e bizzarri Lello Ciampolillo - che viene strattonato verso il Conte tre. Era la condizione, non più eludibile, imposta dai dem per continuare. Era la richiesta, non più flessibile, che ha legato le posizioni di ministri come Luigi Di Maio (Esteri) e Lorenzo Guerini (Difesa).

L'argomento intelligence, altro movente ignorato della rottura di Italia Viva, non è fra i più popolari e semplici, è indigesto nei pastoni dei telegiornali, non è spendibile in propaganda, ma è necessario per gli equilibri politici e geopolitici.

Gli incontri degli americani con l'intelligence italiana autorizzati da Conte spiegano molto, non tutto. Gli inviati di Trump, capeggiati dal ministro William Pelham Barr, tentarono invano di aggiornare l'indagine Russiagate e trasformarla in complotto contro The Donald per mano di agenti americani in Italia ai tempi di Obama e di Renzi. Alla Casa Bianca si è appena accomodato Joe Biden. Il Pd l'ha considerato sin dal giorno delle sue elezioni di novembre.

Allora dopo 14 mesi da premier gialloverde e dopo 17 mesi da premier giallorosso, Conte si è accorto che ha troppi impegni in agenda "per seguire l'operato quotidiano" dei servizi segreti. La ragione, però, l'ha accennata giù nel discorso alle Camere: "Teniamo fuori il comparto intelligence dalle polemiche".

Per la vicenda Russiagate e le contestuali critiche al generale Gennaro Vecchione, il capo del dipartimento che coordina l'intelligence (Dis), promosso e protetto da Conte, da oltre un anno i servizi segreti sono diventati oggetto di contesa politica, di sospetti, di illazioni.

Nell'Italia delle trame fa sia folclore che sgomento. Questo vociare in sottofondo è pericoloso: inquieta gli apparati poiché potrebbe intralciare le attività, come le informali collaborazioni internazionali. I servizi, per l'appunto segreti e non palesi, si muovono in settori e con criteri non convenzionali per la sicurezza dello Stato. Non si scherza come alla buvette.