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Cultura
novembre, 2021

Nadeesha Uyangoda: dopo il libro un podcast per cacciare il razzismo fuori dalla stanza

Si chiama “Sulla razza” perché per combattere gli stereotipi bisogna chiamarli con il loro nome. Lo scrive con altre due “new Italians”, ma qui spiega perché è nell’interesse del Paese intero. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale del mondo arabo

Il libro di Nadeesha Uyangoda è uscito all’inizio di quest’anno ma ancora continua a far parlare di sé: perché “L’unica persona nera nella stanza” (66thand2nd) ha messo a fuoco un problema sempre più avvertito nel nostro Paese. Che relega le persone di colore a un ruolo di nicchia, calpestando non solo le potenzialità dei singoli, ma anche della società nel suo complesso.

 

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Dal dibattito che ha accompagnato il libro è nato un podcast a più mani: si intitola “Sulla razza” ed è curato, oltre che da Uyangoda, da Natasha Fernando (ricercatrice su temi di immigrazione e identità all’università di Westminster) e Maria Mancuso (che lavora nel settore no-profit, scrive di ecologia e cura con Fernando il podcast S/Confini del sito The Submarine). Lo si trova al link sullarazza.it, con illustrazioni di Valeria Weerasinghe.

Adesso quel podcast arriva nelle sale della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma in uno degli appuntamenti della serie “Decanonizing”, conferenze che mettono a fuoco limiti e tabù dell’immaginario contemporaneo per proporre pratiche più inclusive nella rappresentazione dei corpi e delle identità. L’appuntamento (su prenotazione) è per oggi, martedì 23 novembre, alle 17 nella Sala delle colonne. Con le curatrici di “Sulla razza” ci sarà Himasha Weerappulinghe: esperta di cinema e colonialismo, lavora per “Asiatica Film Festival” e presiede un’associazione dedicata alla promozione del cinema nelle periferie delle città italiane. Abbiamo chiesto alle curatrici di raccontare a lettori e lettrici di Arabopolis l’esperienza di “Sulla razza”: ecco le loro risposte.

Come nasce l’idea del podcast?
Uyangoda: «Scrivo di identità, razza e migrazione da ormai diversi anni, e col tempo - soprattutto con la stesura del libro - mi sono resa conto di far riferimento al linguaggio, alle esperienze e alle ricerche angloamericane. Raccontavo la questione razziale in Italia utilizzando un filtro linguistico inglese: mi sembrava una contraddizione. Questo, unito al fatto che non esistevano podcast che trattassero le tematiche della razza e del razzismo, mi ha spinto a proporre l’idea di “Sulla Razza” a Nathasha Fernando e Maria Mancuso».

E come funziona la collaborazione con i coautori, com’è la divisione del lavoro?
Mancuso: «Scriviamo la sceneggiatura tutte e tre insieme, scambiandoci riflessioni e idee. Nathasha si dedica soprattutto alla parte storico-accademica perché è una docente universitaria, Nadeesha contribuisce con materiale dai suoi articoli e dalle ricerche ed esperienze raccolte per il libro “L’unica persona nera nella stanza” (66thand2nd) e io cerco di concentrarmi soprattutto su esempi pratici per mostrare come quei concetti si riflettono nella società italiana e nella vita di tutti i giorni. Questa struttura vale solo in linea di massima però, ci piace sperimentare e scambiarci i ruoli. È pur sempre una conversazione. Ad ogni puntata poi partecipano altre persone, per la maggior parte appartenenti a minoranze, perché vogliamo tenere aperto il dialogo e sentire che cos’hanno da dire le italiane e gli italiani neri».

Razza è ormai una parola proibita, si vuole anche cancellarla dalla Costituzione. Perché avete scelto di usarla, e quali reazioni avete avuto?
Fernando: «È vero, specialmente nel contesto italiano, l’uso della parola ‘razza’ è quasi un tabù. Nei paesi anglofoni invece, “race” è una parola di uso comune e viene studiata in molti campi accademici, perché si sottolinea proprio l'importanza del termine ‘razza’ come costrutto sociale. Bisogna ricordarsi che è inestricabile dalla politica, dal passato e dagli avvenimenti storici e sociali che hanno caratterizzato una determinata società. È importante parlare di razza soprattutto per capire certe tendenze razziste, o perché molte società siano impregnate di razzismo strutturale».
Mancuso: «Le reazioni non sono mancate. Alcune ascoltatrici e ascoltatori bianchi hanno chiesto come mai avessimo scelto questo titolo, perché, come dice Nathasha, “razza” è vocabolo che rappresenta quasi un tabù linguistico in Italia, evoca il “Manifesto della razza fascista” e tutto il filone della pseudo scienza razziale. Le ascoltatrici e gli ascoltatori neri invece hanno mostrato entusiasmo di fronte al titolo del podcast perché, come diciamo nella prima puntata, la razza come costrutto sociale esiste e influenza la vita di migliaia di persone in Italia. Se non esistesse la razza come costrutto sociale non esisterebbe il razzismo, perciò dobbiamo incominciare ad usare questo termine se vogliamo parlare onestamente di razzismo».

Il podcast va avanti da diversi mesi. Chi è il vostro pubblico, che reazioni ha avuto, e come si è evoluto il podcast?
Uyangoda: «La realizzazione del podcast ci ha messe a dura prova: nessuno voleva produrlo, sembrava quasi potesse non interessare al pubblico italiano. Oggi sappiamo che i numeri contraddicono quelle prime considerazioni. Infatti Sulla Razza, grazie anche al supporto di Juventus, è arrivato a un pubblico ampio che va oltre gli accademici, appassionati, italiani neri o di seconda generazione. Abbiamo anche una fetta di ascoltatori residenti all’estero, expat italiani che, nel vuoto linguistico tra due paesi, non riescono a trovare la traduzione di un’esperienza».

Quando incontrate altri italiani neri, che hanno radici completamente diverse dalle vostre (spesso africane, a volte islamiche) sono più le cose che vi uniscono o le differenze?
Fernando: «Decisamente le cose che ci accomunano. Nonostante abbiamo tutt* storie, esperienze, culture e identità diverse tra di noi, in realtà fattori come l’incertezza sul nostro senso di appartenenza in Italia, il senso d'inferiorità che ci viene imposto e le continue discriminazioni che subiamo creano, o meglio, dovrebbero creare solidarietà tra le diverse minoranze. Specie in questo periodo storico, l'islamofobia è molto presente in Italia, come in tanti altri paesi del mondo purtroppo. Proprio per questa ragione, non si può che empatizzare con la comunità musulmana italiana».

Uyangoda, nel suo libro lei ha denunciato le difficoltà delle persone nere per inserirsi nella società italiana. Le sembra che sia cambiato qualcosa da quando lo ha scritto? Le uniche “stanze” d'Italia aperte a persone nere mi sembra siano ancora quelle dello sport (ma non della nazionale di calcio…)
Uyangoda:
«Il problema che persiste è proprio questo: gli Italiani Neri fanno già parte del tessuto sociale, sono membri attivi della nostra società, tuttavia non hanno accesso a determinati settori, come quello culturale, politico, mediatico. Ci sono poi delle stanze, quelle della musica e dello sport, in cui la loro rappresentanza è particolarmente evidente. Nel libro faccio solo delle supposizioni circa questo divario: è, per esempio, accettabile che un soggetto nero “abbia il ritmo nel sangue” o una velocità sovrumana. È altrettanto accettabile che sieda nel nostro Parlamento? Un vecchio articolo de L’Espresso sembra darci la risposta».

Il richiamo è a un articolo di Willnonleggerlo del 2013, una agghiacciante raccolta di “Cento giorni di insulti” alla ministra Kyenge: otto anni più tardi lei non è più al governo, ma il razzismo è ancora attuale.
 

 

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