Il padre fa il lavavetri, pulisce finestre dietro cui scorrono fotogrammi di vite che non sono la sua. Il figlio ha quattro anni e accompagna quel padre paziente in giro per case che non sono la loro. Al padre infatti restano pochi mesi di vita, ma questo il piccolo Michael non lo sa. Se John lo porta con sé è per trovare la famiglia a cui affidarlo quando lui non ci sarà più. Le signore del Centro per le adozioni ne hanno individuate parecchie, gente di ogni tipo e livello sociale. Bisogna solo andare, vedere, capire. Intanto il tempo passa. Pian piano mettiamo a fuoco la storia dell’indomito John (lo straordinario James Norton, di una bellezza perentoria perfino ingrigito e con gli occhi spenti, non a caso è l’attore al momento più accreditato come potenziale futuro James Bond). Il cuore segreto di “Nowhere Special” però non è lo strazio di quel padre, raccontato con ammirevole economia di mezzi, ma un tema perfino più arduo. La scoperta della morte vista con gli occhi di un bambino.
Alla terza regia dopo il comico “Machan”, una specie di “Soliti ignoti” in salsa cingalese, e il poetico “Still Life”, protagonista un travet addetto alle esequie dei defunti che nessuno reclama, Uberto Pasolini conferma il suo talento e il suo gusto per le sfide. Un occhio alla misura di Ozu e dei Dardenne (parole sue), l’altro a certo teatro e a certa fotografia inglesi per il gusto icastico dei dialoghi e degli interni familiari, questo ex banchiere d’affari trapiantato a Londra, parente molto lontano di Pier Paolo Pasolini, ma pronipote di Luchino Visconti, già produttore di bei film come “Palookaville” e di campioni d’incasso come “Full Monty”, non racconta la vita che se ne va ma quella che continua. Usando il dolore evidente del padre per avvicinarci senza parere a quello, irrappresentabile, del figlio (sappiamo dai tempi di Chaplin e De Sica di cosa sono capaci i bambini al cinema, ma questo non rende meno sbalorditivo il piccolo Daniel Lamont).
In altre mani sarebbe stato un film sentimentale e ricattatorio. In quelle di Pasolini genera uno studio di caratteri attento a ogni sfumatura, dunque capace di non scivolare mai nella pornografia del dolore. Chi vuole può considerarlo una metafora di quel tramonto del Padre di cui si parla da decenni. Ma nulla vieta di viverlo e di emozionarsi senza tanti alibi intellettuali.