Notizia: un italiano innocente viene ucciso a New York da un tizio afroamericano appartenente a una gang dedita alla violenza gratuita. Un evento triste, luttuoso, sicuramente di grande impatto per la famiglia della vittima nonché per tutti noi che ci identifichiamo, istintivamente, in quel ragazzo accoltellato, forse, anche perché di pelle diversa da quella dell’assalitore.
Un evento però, e purtroppo, marginale, per la cosiddetta Big Apple. Laddove si viaggia a circa un omicidio al giorno e le bande su base etnica sono un problema endemico, peraltro illustrato da un’ampia letteratura e persino al cinema e nella musica. Così, sul New York Times, che non è esattamente noto per appassionarsi alla cronaca nera, il fatto di sangue finisce nelle brevi. Ed è qui che che scatta il relativismo del cronista italiano.
Il primo a metterlo in pratica è uno dei quotidiani satirici, la versione in piombo dei Donatoooo di Rete 4, che appaia l’accaduto alla vicenda di Greta Beccaglia. Titolo del fondo in prima pagina: “L’omicidio razzista indigna meno della pacca sul sedere”. La combinazione dei due eventi è capziosa, immotivata, peregrina, pelosa. Né è immaginabile come le due vicende possano in alcun modo escludersi: si può essere contro le molestie e contro i fendenti omicidi. Addirittura graduando lo stato d’animo. Inoltre, attiene a quel derby dell’indignazione per cui a certe latitudini non ci può accalorare per Patrick Zaki senza prima aver espresso solidarietà a Chico Forti, dacché la Destra ha sentito l’esigenza di avere un proprio martire da contrapporre a quelli altrui.
Mentre il sottoscritto tifa per Forti anche se sostiene la Meloni, per dire. Il giorno dopo, su colonne molto più paludate, ecco un’analisi che invece se la prende, appunto, con la stampa “liberal”. Si sostiene, ad opera di una firma ben più autorevole, che i media americani avrebbero taciuto la vicenda per una sorta di razzismo al contrario. In nome del politicamente corretto.
Il senso è: i giornali “liberal” - eh? - non parlano dei neri cattivi perché temono di risultare disallineati dal coro. Si sostiene cioè che “black lives matter” ma “white matters” un po’ meno. Problema: anche negli Usa, il coro è da tempo quello dei trumpisti. Il giornale più pervasivo a New York City è il Post, sorta di La Verità con qualche novax in meno, che della vicenda ha trattato ampiamente. La Fox pesca a piene mani nel retequattrismo più becero, o viceversa.
L’immaginario popolare è saldamente nelle mani di chi vende ignoranza e intolleranza per sedimentarle e incassarne i dividendi. Quindi che certe cose non si possano più dire è (purtroppo) un’imprecisione importante: le dicono tutti, a qualunque ora del giorno e della notte, pressoché a reti unificate. Eppure anche in quel che resta della “sinistra”, soprattutto da una certa età in poi, si sente il dovere di mondarsi dalle stimmate radical chic e insegnare al popolo cosa vuole. Anzi: cosa si crede voglia. E forse, al netto del fatto che l’informazione non nasce per essere pedagogica, il problema è tutto lì.
GIUDIZIO: Usa e jett