Arrivano in Italia con una malattia grave, sperando di potersi curare. Ma tra costi, lungaggini e leggi che cambiano, non possono accedere alle terapie di cui hanno bisogno. Vi raccontiamo le storie di questi bambini

Al pronto soccorso pediatrico si sente lo strepitio dei bambini, mentre fuori c’è il brusio del mondo. Si perde nelle braccia della madre, il volto è scomparso tra le pieghe del cappotto. Non piange, non chiede. È un porto di urla, di risate, di lamenti e richieste. Due bambini si divertono moltissimo a nascondersi dietro una colonna, impressionando il padre che fa finta di impaurirsi ogni volta che li vede sbucare con la testa. Il padre gode degli attimi, loro degli scherzi improvvisati dentro un pronto soccorso pediatrico, qui all’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, a Bologna.

 

In mezzo a quei volti c’è la storia di Z., bambino marocchino con la leucemia mieloide acuta, arrivato in Italia nell’ottobre scorso per un trapianto di midollo osseo. La ricerca del donatore è al momento sospesa per un errore dell’ambasciata nell’emissione del visto. Le sue condizioni sono così gravi da non permettergli più di camminare. C’è anche la storia di A., 5 anni, macedone, arrivato in pronto soccorso nel maggio 2021 con la sua mamma, con una diagnosi di leucemia linfoblastica acuta con recidiva precoce. Per un cortocircuito normativo non può chiedere la copertura delle spese sanitarie, nonostante ne abbia diritto. C’è poi M., cittadino sloveno, adolescente biondo, bellissimo. È arrivato in Italia, pochi mesi fa, a settembre ed è affetto da leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio, perché resiste alle terapie di prima linea. Alla luce della gravità della diagnosi, alla famiglia è stato detto che il trapianto di midollo osseo è l’unica possibilità. Questo trattamento, altamente specializzato, per i cittadini stranieri non iscritti al Sistema Sanitario ha un costo di oltre 100mila euro. La sua richiesta di residenza temporanea in Italia è sospesa.

Uno dei bambini ospitati nella Casa Siepelunga dell'Ageopop (Associazione Genitori Ematologia Oncologia Peiatrica) di Bologna. Per contatti info@ageopop.org

Sono storie che partono dai pronto soccorso pediatrici italiani, in questo caso dall’Irccs Policlinico di Sant’Orsola, ospedale del capoluogo emiliano. I protagonisti sono alti quanto una caramella, i loro fedeli assistenti sono le associazioni che aiutano questi piccoli combattenti nelle lunghissime pratiche, i fidati amici sono invece i medici degli ospedali che sbrigano il prima possibile qualsiasi pratica per far vedere che il male esiste, è violento, veloce, immediato. E che bisogna agire, perché no, la leucemia non attende. La malattia si insinua nel corpo fragile, lo prende e lo devasta. Ha un tempo limitato di cura, oltre il quale nulla è più consentito.

 

Tra le dozzine di volti all’interno del pronto soccorso ci sono coloro che torneranno a casa, quelli che rimarranno per un breve day-hospital e coloro a cui verrà diagnosticata una malattia più complessa. Ci sono bambini che vengono dal Sud Italia, altri da Bologna e provincia e poi ci sono i bambini del lungo viaggio. Vengono chiamati così, perché partono con il sogno di sopravvivere e per riuscirci devono lottare con la burocrazia italiana e procedure a ostacoli. Una lotta portata avanti dalle associazioni per la tutela dell’infanzia, senza le quali molti non riuscirebbero e destreggiarsi nel labirinto delle richieste per ottenere il permesso di soggiorno e il diritto alla cura senza pagare cifre proibitive per un trapianto che può costare fino a 130mila euro. Arrivano da fuori Europa, altri invece da quella parte dell’Europa dove la medicina non ha le terapie per combattere la malattia.

 

A loro è chiarissima la prognosi prima di salire su un pullman, un traghetto o un aereo. Suona così, quando la pronunciano i loro medici: «Qui da noi non siamo in grado di effettuare questo trapianto, deve portare suo figlio dove possono curarlo». E allora i genitori preparano la valigia, mettono dentro il gioco che non è scelto a caso, il maglione mai indossato perché lì fa caldo e non c’è mai stato bisogno di coprirsi. Dentro la valigia il bambino ci spinge, senza fatica, tutta l’energia che ha e che si prosciugherà mentre piccoli tubicini ridisegnano le vie del futuro. La meta non è sempre l’Italia, ma anche la Germania o la Turchia. Quando arriva in Italia scopre insieme alla sua famiglia il lungo elenco: leggi, decreti, cavilli, lotte legali, alloggi, residenze temporanee, cedolini, tesserini momentanei, codici fiscali, liste. Tempo, soprattutto quello. E procedure che in pochi conoscono. Vengono aiutati dalle associazioni, come fa Ageop a Bologna (Associazione Genitori Ematologia Oncologia Pediatrica), che provvede con personale formato ad hoc e con un avvocato. Un avvocato per essere curati dalla leucemia. «Nei casi pediatrici, di cui noi ci occupiamo, si dovrebbe procedere velocemente, perché un mese può significare la vita», spiega Francesca Testoni, presidente di Ageop: «Un bambino può essere curato in Italia solo con una copertura finanziaria o con l’iscrizione temporanea al Sistema Sanitario Nazionale. Iscrizione che avviene ottenendo dalle questure un permesso di soggiorno per cure mediche, se sei extracomunitario, e una residenza temporanea se non sei cittadino italiano».

 

Se qualcuno crede che a cinque anni non si sappia cosa sia il cancro si sbaglia. Ognuno di loro è un bambino consapevole. Sa che dovrà affrontare mesi di malattia. È cosciente di cosa sia un cancro, del perché a un certo punto i capelli cadono e subentrano le fasi più dolorose della malattia. A Bologna, così come nei centri nazionali di alta specialità, il personale sanitario è preparato umanamente e professionalmente per far fronte alla sofferenza.

 

Z. è marocchino. Nell’ottobre del 2021 è andato al pronto soccorso pediatrico del Policlinico di Sant’Orsola con una diagnosi di leucemia mieloide acuta. Quando è arrivato le sue condizioni erano gravissime e i giorni in ospedale sono trascorsi tra la rianimazione e il reparto di oncologia. In Marocco avevano tentato di curarlo, ma alla fine l’unica soluzione era il trapianto di midollo osseo, che lì non viene eseguito. I genitori hanno quindi deciso di andare all’ambasciata italiana, per ottenere un visto. L’ambasciata emette un visto per cure mediche, senza spiegare loro che quel visto gli avrebbe impedito il rilascio di un tesserino sanitario, l’unico modo per essere curati senza dover pagare decine di migliaia di euro.

 

Salgono in aereo, arrivano in Italia, si precipitano al pronto soccorso per salvare Z.. Ma una volta entrati in ospedale, l’Azienda Sanitaria, come prevede la legge, presenta loro un preventivo di circa 130mila euro per il trapianto. I medici allertano Ageop che inizia le pratiche. Vanno in Questura e tramite un legale fanno richiesta di permesso di soggiorno come previsto dall’art. 19 comma 2 del Testo unico Immigrazione. La valutazione del caso è da questo momento rimandata alla discrezione della Questura perché, a differenza del passato, il decreto “Salvini” (testo unico immigrazione), ha cancellato la protezione umanitaria che consentiva il rilascio immediato del tesserino sanitario per i casi più gravi e urgenti. Durante questi mesi a Z. sono state somministrare le cure necessarie per rimanere in vita, ma al momento la ricerca di un donatore di midollo è congelata nell’attesa che venga regolarizzata la sua posizione. Z. non cammina e se la Questura non accoglie la domanda e non verrà emesso un tesserino sanitario, i medici dovranno cessare le cure.

 

A., è un bimbo di 5 anni macedone, il suo sogno è di essere un super eroe. Quello che preferisce è Spiderman che disegna in ogni dove. Arriva in pronto soccorso nel maggio 2021 con la sua mamma, con una diagnosi di leucemia linfoblastica acuta con recidiva precoce. È stato subito ricoverato in degenza per effettuare i 15 giorni di quarantena previsti dalla normativa Covid-19. Appena solca la porta del pronto soccorso, la situazione appare molto grave e bisogna procedere il prima possibile con il trapianto. In Italia c’è il papà del bimbo con un permesso di soggiorno per ragioni di lavoro con la durata di un anno, uno zio e un cugino, tutti residenti nel modenese. Insieme ad A. e alla mamma è venuto in Italia il fratellino O. nato nel 2012, che potrebbe essere un donatore.

 

In questo caso la normativa prevede che i cittadini macedoni possano rimanere sul territorio italiano con un visto turistico, per un massimo di 90 giorni. Durante questo periodo sono a tutti gli effetti regolari, ma non possono richiedere né un permesso di soggiorno, né l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, né la tessera sanitaria come stranieri temporaneamente presenti, perché è necessario che scada il visto turistico per richiedere un permesso per cure mediche, superiore ai 90 giorni. Questo significa che il costo delle cure non è coperto. E le cure hanno costi proibitivi. Anche in questo caso è cominciata una lunga corsa ad ostacoli contro il tempo, per trovare una via legale per risolvere il cortocircuito normativo. È di nuovo un avvocato a dover scartabellare le richiesta e far luce tra codici e codicilli. Alla fine A. riesce a ottenere il tesserino sanitario, purtroppo non retroattivo. Questo significa che i genitori dovranno pagare tre mesi di cure oncologiche, nonostante avessero diritto alla copertura. A pagare le spese alla fine sarà Ageop, perché non tutti i bambini che arrivano in Italia hanno le possibilità economiche per curarsi. A. adesso sta migliorando, il trapianto è riuscito. Vive a Casa Siepelunga, dove è considerato il capobanda dei bimbi.

 

M., cittadino sloveno, ha gli occhi intensi e tristi. È arrivato in Italia a settembre 2021 ed è affetto da leucemia linfoblastica acuta ad alto rischio. Quando era sotto morfina abbracciava e baciava tutti quelli che entravano nella sua stanza. L’unico modo per salvarlo è un trapianto di midollo osseo. Costa oltre 100mila euro. La normativa prevede la possibilità per i cittadini comunitari residenti sul territorio di iscriversi volontariamente al Servizio Sanitario Regionale, pagando una quota annua proporzionata al reddito del richiedente. Iniziano le procedure e la famiglia, grazie ad Ageop, fa richiesta in una delle sue case di accoglienza, ma non riesce a ottenere la residenza temporanea. Nel frattempo la famiglia fa domanda di iscrizione volontaria al sistema sanitario nazionale e a settembre ottiene un tesserino sanitario di soli tre mesi, anche se la validità dovrebbe essere di almeno un anno.

 

A questo punto inizia un vero e proprio calvario. I genitori, in possesso di tutti i requisiti, si scontrano con i vari uffici competenti. L’ufficio anagrafe e l’Ausl di Bologna avanzano una sfilza di richieste non necessarie. Intervengono gli avvocati per spiegare che M. ha tutto il diritto di essere curato e che la documentazione richiesta è superflua. «In questo caso l’Ausl ci ha comunicato che non è possibile accordare un’iscrizione sanitaria volontaria se le persone sono ancora iscritte al servizio sanitario del Paese di origine o comunque coperte in qualche modo a livello sanitario», spiega Francesca Testoni: «È la prima volta che ci succede un tale cortocircuito nel quale tutti, anagrafe, Ausl e Ageop sono rimasti impigliati. La normativa è così complicata che il margine di discrezionalità, legato al caso o all’intervento amministrativo o politico, trasforma il diritto alla salute in un privilegio». A intervenire è la politica, alcuni assessori comunali si interessano alla vicenda, scoprendo che M. è in regola e può ottenere la sua residenza temporanea e il diritto alla copertura della cura. Al momento è in attesa di trapianto. Al momento è in attesa, come tutti i bambini, che la burocrazia non sia più un ostacolo al diritto di vivere.