La basilica del Sacro Cuore e la Torre Eiffel furono concepiti dalla Francia cattolica e da quella laica come simboli della vittoria sui rivoluzionari

Sono passati centocinquant’anni dalla Comune di Parigi e adesso si dà all’anniversario un carattere diverso, non più impigliato in ideologie consumate o superate negli scorsi decenni. Pur essendo durato soltanto settantadue giorni l’avvenimento occupa un posto di rilievo nella storia, non soltanto di Francia. E accende nuove passioni come dimostrano le numerose commemorazioni discordanti in programma nelle prossime settimane nonostante le difficoltà sanitarie del momento. Lo scorrere del tempo corregge o addirittura cambia la nostra lettura di quei fatti. I monumenti più alti di Parigi sono stati costruiti o dedicati all’annientamento dei comunardi. La basilica del Sacro Cuore, sull’altura di Montmartre, è stata eretta dai cattolici, si dice, anche per celebrare la sconfitta della Comune; mentre sull’altra sponda della Senna, sulla Riva destra, dove ci sono i Campi di Marte, spunta la Torre Eiffel vista anche come il simbolo della Francia laica. Vale a dire della moderata Terza Repubblica, nata dalla sconfitta inflitta, nell’autunno del 1870, dai prussiani di Bismarck al Secondo Impero di Napoleone III. E subito sorpresa, nel 1871, dalla Comune, una sommossa popolare ricca di generosi propositi, ma con pochi giorni di vita, e decine di migliaia di cadaveri. La Terza Repubblica francese sconfisse i comunardi francesi con l’aiuto dei prussiani che ancora occupavano la Francia, e sopravvisse, con vari sussulti, per quasi settant’anni fino all’invasione tedesca del 1940.

Due anime francesi annientarono dunque la Comune, quella cattolica e quella laica moderata, allora percorse ancora, entrambe, da nostalgie monarchiche. I due monumenti, la basilica di Montmartre e la Torre Eiffel, possono essere considerati i simboli di quelle due anime. Ha prevalso la Torre Eiffel. Quella laica. Anche su un piano urbanistico. È la più alta, misura 324 metri, comprese le antenne. Il Sacro Cuore è monumentale, vistoso, ma senza calcolare l’altura di Montmartre, su cui è posato, è più basso: 83 metri. Un drammatico capitolo della storia nazionale si confronta con i monumenti in costruzione in seguito alla sconfitta della Comune. Emile Zola dà al protagonista di un romanzo (“Paris”) l’intenzione di far saltare la basilica del Sacro Cuore. Ma alla fine ci rinuncia. Zola ha messo nel suo romanzo la politica, la religione, i sentimenti e tante altre idee. Il lettore vede nell’intenzione e poi nella rinuncia del mancato terrorista la non sempre facile convivenza raggiunta dalle due anime della Parigi che distrugge il progetto dei comunardi.

Il 28 gennaio 1871, appena proclamato l’Impero tedesco a Versailles, dove sono accampati come occupanti, i tedeschi (i prussiani) firmano un armistizio con i francesi. A Sedan Napoleone III ha perso l’impero nell’anno precedente. La Terza Repubblica, che lo sostituisce, è ancora incerta, “in ginocchio” davanti ai tedeschi. Tra il 18 marzo e il 28 maggio 1871, la Parigi proletaria, umiliata e affamata, si ribella e si dissocia dalla balbettante Terza Repubblica in cui contano i monarchici. E proclama la Comune. La società borghese ha lasciato la capitale o si è rinchiusa nei suoi quartieri. Gli operai, i lavoratori non perdono tempo nella città assediata dai prussiani di Bismarck e dai soldati della Terza Repubblica: cambiano le regole sulle proprietà e sul commercio, dichiarano la laicità della scuola, libera e gratuita, la separazione tra lo Stato e la Chiesa, la libertà d’associazione, la sospensione degli affitti e il diritto delle donne al lavoro. Le truppe di Adolphe Thiers, che è alla testa della Terza Repubblica e vi resterà a lungo, reprimono nel sangue l’insurrezione, non dandole il tempo di realizzare le sue audaci riforme. Delle quali si ricorderanno nel 1917 i bolscevichi, che considereranno i comunardi parigini i loro audaci e sfortunati predecessori.

La Comune non avrà il sostegno degli intellettuali, ostili all’avventurismo dei suoi animatori e indignati dalla durezza dei suoi difensori che non risparmiano né borghesi né preti (neppure l’arcivescovo). Ma l’esercito di Thiers sarà più spietato, farà decine di migliaia di morti e altrettanti deportati. Victor Hugo, che si era tenuto in disparte durante i settantadue giorni della Comune, invocò subito dopo l’amnistia per gli insorti scampati alla repressione. (Le Monde pubblica l’intero intervento dell’autore dei “Miserabili”). Rimbaud e Verlaine si espressero in favore delle idee della Comune (lo ricorda la rivista Télérama in un numero unico sugli avvenimenti del 1871). Ma furono in pochi a seguirli nelle loro idee. Per Flaubert la Comune è stato l’ultimo rigurgito medievale. Alessandro Dumas Figlio disse delle donne, numerose nell’insurrezione, che assomigliavano a vere donne soltanto da morte.

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